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Ricordo di Billy Preston
Ricordo di Billy Preston

Billy Preston, uno dei più celebri tastieristi che la musica nera ci abbia fatto conoscere negli ultimi quaranta anni, se ne è andato in Arizona, dopo aver combattuto due anni una battaglia con la morte che sapeva difficilmente avrebbe potuto vincere.
Preston, nato a Houston, Texas, il 9 settembre 1946, ci lascia dopo una carriera quasi quarantacinquennale coronata di successi ed eccessi.
A soli dieci fa già parte della band che accompagna Mahalia Jackson, suonando l’organo Hammond per lei e appare nel film St. Louis Blues, nel 1960 entra a far parte della formazione di Sam Cooke e nel 1962 e nelle fila di quella di Little Richard che si esibirà in Inghilterra in una celebre tournee che vedeva l’apertura affidata ai Beatles. Nasce lì l’amicizia con i quattro futuri conquistatori del mondo.
Dopo le prime registrazioni per la Derby e la Vee Jay (inciso per quest’ultima etichetta e da avere, pur raro, “The most exciting organ ever “, pubblicato all’epoca in Gran Bretagna dalla appena nata Island), Billy Preston riscuote un piccolo successo con lo strumentale “Billy’s Bag”, sulla scia di altri strumentali dell’epoca affidati a organisti quali Jimmy Smith o Jimmy McGriff, ma sarà solo quando firmerà per la Capitol records e diventerà musicista residente del programma televisivo Shinding che la sua popolarità, spinta anche dal suo nuovo datore di lavoro, Ray Charles, crescerà esponenzialmente.

Durante una visita in Inghilterra al seguito di Charles, Preston “sposta” il suo contratto dalla Capitol alla appena nata Apple, incidendo “That’s the way God planned it “ e apparendo con i baronetti in “Get Back” (celebre la sequenza live – l’ultima – sui tetti con i quattro) e “Let It Be “, contribuendo non poco a smorzare gli oramai irreversibili attriti per arrivare in fondo a un faticoso lavoro, reso ancora più faticoso dalla presenza di Phil Spector come produttore, da una parte, e di Yoko Ono, dall’altra di Lennon. Proprio con Lenon Billy Preston legherà subito di più partecipando nel Natale 1969 al “Peace for Christams Concert” organizzato da John per l’Unicef.
Iniziano lì gli anni più produttivi di Preston che incide, sempre con successo “I wrote a simple song”, “Outa space“ (1972) , “ Will it go around in circles“, “Space race“ (1973), “Nothin’ from nothin’” (1974), “Struttin’” (1975) mentre continua a partecipare a una session dopo l’altra. Fra le più impartanti restano quelle per Sly & the Family Stone, George Harrison – ricordiamo la sua partecipazione al Concerto per il Bagla Desh nell’agosto 1971 a New York City – e Ringo Starr.
Nel 1975 viene assoldato dai Rolling Stones per la loro tournee mondiale di quell’ano ritagliandosi un ruolo sempre più originale ed applaudito con grande gioia di Keith Richards e irritazione di Mick Jagger.

Gestito dall’allora marito di Diana Ross, Billy Preston approda nel 1976 alla Motown dove rilancia la sua carriera solista prima con una della più azzeccate partecipazioni all’imbarazzante film “Sgt Pepper Lonely Hearts club band”, dove appare al fianco di Peter Frampton e Bee Gees e poi con uno dei suoi più azzeccati singoli “With You i’m born again “, del 1979, cantato in duetto con Sereeta Wright, già moglie di Stevie Wonder.
Dagli anni ottanta in poi, nonostante una copiosa produzione in casa Motown, dedita sopratuto al Gospel e al funky la figura di Preston si stempera con l’avvento di giovani che, in qualche modo, si sono costruiti anche sulla immagine di Billy. Artisti come Prince gli riconosceranno una unicità che le sue molte partecipazioni degli ultimi anni – riconoscimento di una straordinaria carriera – non rispecchiano in pieno.
Billy Preston dopo gli anni d’oro, tutti caratterizzati da eccessi spesso estremi (basta rileggere la lista dei nomi fin qui citati) si ritrovò alcune volte in situazioni addirittura imbarazzanti, a causa della sua voracità umana e di manager senza scrupoli. Eccolo allora in villaggi vacanze, al fianco di artisti improbabili e impensabili solo pochi anni prima e così via.
Difficile dire fino a che punto Preston si sia riuscito gestire e dove sia iniziato il punto di non ritorno. In grado di produrre sempre performance di rilievo – sul palco era uno showman nato – negli ultimi anni si stava riabilitando, più per merito dei colleghi che per merito suo, dopo essere caduto davvero in basso.

Nonostante solo cinquantanovenne Billy Preston ha vissuto due vite in una volta sola: ex eroinomane, diabetico, reduce da una operazione non riuscita, uscito di coma due ani fa, Preston non aveva perso il suo smalto e si era esibito l’ultima volta dal vivo pochi mesi, se pur soggetto a dialisi giornaliera, in un benefit per New Orleans. Il suo umore era parso ottimo, sornione come sempre e malizioso oltre il dovuto.
Fra le produzioni a cui ha ultimamente partecipato, potete ascoltare, ancora al meglio, il suo inconfondibile stile all’organo Hammond nel disco di artisti vari prodotto da Joe Henry “I believe to my soul“, in “Stadium arcadium“ di Red Hot Chili Peppers e nel nuovo disco (in uscite il 27 settembre in Italia) di Sam Moore.
Molto più di un semplice gregario, insomma, mancherà non solo a chi ama la black music ma a tutti quelli che credono che la buona musica sia il risultato dell’interazione di corpo e spirito.
Amen
Ernesto de Pascale
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