. |
Il suo nome era Michael Bloomfield e ci lasciò il 15 Febbraio 1981. Era nato a Chicago il 28 Luglio 1943.
Noi lo ricordiamo oggi attraverso la voce di alcune delle persone che gli furono accanto
Barry Goldberg (compagno di studi e comprimario dei KGB, presidente della Columbia negli anni ottanta e produttore)
EDP: come vi eravate conosciuti con Michael?
Barry Goldberg: Michael ed io ci ritrovammo alla Central YMCA High School. Ci avevano entrambi cacciato dai rispettivi collegi privati. Lui aveva 15 anni e già si parlava di lui in città. Io iniziai a suonare a Rush Street mentre Michael e Paul già si esibivano nei blues clubs come The Old Town. Bloomfield ci introduceva regolarmente a gente come Big Joe Williams che era per lui una specie di passpartù e che gli permise di conoscere personalmente tanti leggendari bluesmen sparsi qua e là per l’America. Era amico di tutti, attraverso lui conobbi musicisti come Steve Miller, Charlie Musselwhite e Harvey Mandel. Lui si faceva prestare la macchina dalla madre e mi chiedeva di seguirlo in questi locali pazzeschi, assolutamente inusuali per noi bianchi. Una sera mi portò in un posto dove suonava Howling Wolf che, naturalmente, riconobbe subito Michael e ci chiese ad entrambi di suonare. Io me la facevo sotto perchè quel pubblico di neri mi impauriva, ma non appena Howling Wolf sorrise la gente ci accettò con un gran appaluso. Lo stesso accadde tante volte con Muddy Waters e la sua band quando Otis Spann sedeva al piano. Una sera Muddy fermò la band e chiese a Otis di lasciarmi il pianoforte e io chiusi gli occhi e partii con loro. È stato uno dei grandi momenti della mia vita...Poi, di seguito conoscemmo altri giovani che cercavano la nostra stessa musica, gente come Robbie Robertson e Levon Helm. Dylan veniva a suonare a The Bear, il locale di proprietà del suo manager, Albert Grossman. La mia fidanzata e la fidanzata di Michael erano due care amiche...passavamo la notte ad ascoltare oscuri 45 giri di blues e a commentarli come non si fa più da tempo...mi ricordo perfettamente di una notte passata ad ascoltare “Shake Your Money Maker” nella versione di Otis Rush su Cobra records.
Elvin Bishop (chitarrista della Paul Butterfield Blues Band)
Fu una grande esperienza stargli al fianco perchè quando lo conobbi lui era già Michael Bloomfield e io ero intimorito dalla sua presenza. Ma lui faceva di tutto per metterti a proprio agio. Io ero il country boy della Butterfield blues band, ero arrivato là su con Steve Miller che veniva dal Texas, io dalla Georgia. Lui ci raccontava delle storie pazzesche e aveva solo 23 anni: Sembrava essere cresciuto nel delta del Mississippi e quando raccontava di Bukkha White, Sleepy John Estes, Freddie Mc Dowell, potevi sentire la loro presenza nella casa...
Mark Naftalin (tastierista della Paul Butterfield Blues band)
Arrivai a Chicago nell’inverno 1962 per frequentare l’università. Nei locali si ballava il twist, ma poi si esibiva una band dal vivo. Fra queste band ve ne era una con Mike alla chitarra che mi impressionò per la precisione con cui suonava e per la velocità tecnica di Bloomfield. Il mio primo approccio con lui fu quasi da fan, gli chiesi come faceva a suonare così e lui mi rispose che passava le giornate studiando cosa che scoprii poi essere falsa poichè Michael non provava mai e suonava solo d’istinto.
L’università di Chiacago è proprio nel bel centro del Southside e fu così che cominicia a notare la presenza di Paul Butterfield. Dove si esibiva c’era un pianoforte e io a volte li accompagnavo, ma ciò che suonavo era inaudibile e ci perdemmo di vista.
Nella primavera 1965 me li ritrovai sul palco del Village Gate di New York City come Butterfield Blues Band e con Jerome Arnold e Sam lay alla ritmica, proprio quelli del disco d’esordio. Ciò che ascoltai quella sera fu la miglior musica che non sentivo da anni, musica pura, vero Butterfield Blues Sound. Nell’estate 1965 divennero resident band al Cafe au Go Go e Mike era con loro. Mi ammisero a ruolo di pianista “non amplificato”, quasi un gioco ma presto, doveva essere Settembre, Mike mi disse che per loro era ok avermi nel gruppo. Mi portarono in studio. Loro avevano già registrato interamente un vero album che però avevano rifiutato obbligando la casa discografica a non realizzarlo. Mi chiesero di suonare l’organo quel giorno, ma era tardi. Tornammo il giorno dopo per un brano che finì sul primo disco, "Thank You Mr. Poobah"; io vi suono un solo, ma se la vostra idea di organista è Jimmy Smith, allora dimenticatevelo! Avevo il fottuto terrore di non essere accettato dal gruppo, ma quel giorno steso registrammo 8 degli undici brani del disco d’esordio. A ripensarci mi sembra la storia di Cenerentola!…Lasciamelo dire: non esistevano band come la Butterfield Blues Band…”East west” come la conoscete su disco è solo la punta dell’iceberg, ascoltate quella su “Strawberry Jam”…e ve ne sono almeno altre due registrazioni dal vivo che potrebbero svegliare Mike!!! E pensare che per un pelo non suonai con loro a Newport quando accompagnarono Dylan...ma da qualche parte mi ricordo che esistono sicuramente delle fantastiche session con Big Joe Turner…
Al Kooper (comprimario di Supersession, fondatore dei BS &T, artista solista e produttore, suonò l’organo hammond per la prima volta nella sua vita in ”Higway61 revisited" di Bob Dylan)
EDP: mi ricordo di aver letto interviste con Bloomfield piuttosto esitante sulla vostra collaborazione
AK: conoscendo bene Mike lasciami pensare che aveva più a che fare con il successo che con il contenuto del nostro lavoro. Nessuno di noi voleva diventare una rock star !
EDP: sicuramente il vostro lavoro su Supersession è fra i più rappresentativi del suo stile…
AK: quello era il mio vero fine, infatti. Da produttore, oltre che da musicista, io volevo catturarlo al meglio perche, ascoltando le sue precedenti registrazioni, avevo l’idea che nessuno aveva mai colto il vero Bloomfield. Mi sentivo in missione: i dischi della Butterfield blues band non restituiscono il sound di quel gruppo dal vivo e l’album di The Electric Flag fu una buffonata per una band dal potenziale pazzesco che dal vivo poteva uccidere chiunque! Quello era il mio punto di vista e ancora oggi credo che Supersession rappresenti un preciso osservatorio del migliore Michael alla chitarra. La mia idea era quella di emulare il sound e lo stile della Blue Note degli anni cinquanta. Nella nostra mente il successo doveva essere la cosa più lontana da quel disco e da noi. E si è invece rivelato l’album di maggior successo della carriera di entrambi, più dei Blood, Sweat & Tears per me. Meglio di quello guadagnai solo con le mie produzioni dei Lynard Skynard, ma il coinvolgimento era un altro. Io penso che Supersession sia il più alto momento di Bloonmfield e mi auguro che presto la Columbia pubblichi un nostro fantastico concerto al Fillmore East di New York (13 e 14 Dicembre 1968, da cui sono tratte le foto di questo articolo). Poi, negli anni a venire Michael sarebbe lentamente sfumato via come persona prima ancora che come chitarrista.
EDP: cosa veramente accadde a Newport quella sera del 1965, anche lei era lì?
AK: Dylan non venne mai veramente fischiato. Fu la star di quei tre giorni, aveva una corte che lo seguiva dovunque. Furbo come è sempre stato fece solo infuriare il pubblico perchè dopo tre brani suonati in stile rock & roll salutò tutti e se ne andò! Ecco come andarono le cose. La verità è che si era passata la notte precedente al concerto provando solo tre canzoni e la mia idea personale è che Bob non volesse suonare più di quelle tre canzoni quella sera…
Barry Goldberg
EDP: cosa accadde a Newport ? Lei si unì al gruppo di Butterfield ma anche Al Kooper era dei vostri.
BG: io giravo spesso con loro, Nick (Gravenites) non suonava ancora con il gruppo, ma per Newport il produttore Paul Rotschild disse bruscamente che non voleva organisti fra le palle, quando mi vide però Michael, Paul e Bob in persona misero in piedi una specie di rappresaglia di soppiatto mentre Alan Lomax e Albert Grossman per poco non se le davano nel retro placo. Montammo tutti su e Michael alzò il volume del suo amplificatore a dieci e urlò ”Partiamo!”. Dopo quel momento non ricordo altro. Eravamo coscienti di essere in missione!
Bob Dylan (Robert Zimmermann)
Era il 1959 o il 1960 e stavo esibendomi in un club di Chicago quando arrivò un giovanotto e mi disse di essere un chitarrista. Aveva lo strumento con sè ed io gli chiesi cosa era in grado di suonare e lui cominciò con cose tipo Big Bill Broonzy e poi nello stile di molti, citandomi Sonny Boy Williamson come influenza. Qualunque cosa io suonassi lui era in grado di accompagnaemi e se io suonavo un brano che lui conosceva lui mi seguiva nello stile dell’autore originale della canzone se quello era stato un chitarista lui stesso! Mi rimase impresso quel ragazzo...
Nel 1963, o forse era il 1964, io ero a New York per una registrazione e io avevo bisogno di un chitarrista e mi ricordai di lui e lo chiamai. Mi dissero che da poco faceva parte della prima band di blues bianco dell’area del Massachussettes, la Butterfield Blues band. Lo mandai a cercare. Fu lui a farmi conoscere Al Kooper e tutta la sua band. Aveva le idee molto precise. Mi fece capire molte cose sul significato del Blues nel rock & roll. A Newport il suo supporto fu essenziale. Poi ci perdemmo per molti anni e reincontrammo solo nel 1980, ma era molto molto cambiato.
Barry Goldberg
EDP: Michael ebbe il credito che si meritava in vita?
BG: Sicuramente dalla madre Dorothy e dal fratello Allen. Musicisti come B.B. King lo stimavano per quello che lui aveva fatto per loro. Il Blues ebbe un suo posto importante sul palcoscenico del Fillmore di Bill Graham grazie a Michael. Fu lui a convincere Bill ad aprire le porte a quei musicisti. Bloomfield chiamò personalmente quei musicisti uno ad uno. Il merito non è di nessun altro.
Bloomfield era una persona eccellente, con lui mi sentivo sempre al sicuro. Quando suonava era in grado di ispirarmi a livelli superiori, l’unico altro essere umano a darmi quello fu Hendrix. Aveva uno stile intenso e quando faceva vibrare le corde sui registri alti il suono che produceva, quello di un moderno, elettrificato B.B. King, non avevav pari. B.B. ha sempre riconosciuto a Michael questo! Senza Bloomfield Mr. King non avrebbe avuto lo stesso successo.
B.B. King
Era un fantastico essere umano e una persona emotivamente ricca. Un vero studioso del blues...sapeva cose che per me o, credo, per molti altri artisti della mia razza erano apparentemente poco importanti. Più di una volta ho pensato che se questo ragazzo bianco aveva assimilato così a fondo la conoscenza a molti musicisti aiutandoli quando era necessario e io l’ho visto prendere la nostra parte in situazioni spesso diffcili da difendere. Sono orgoglioso se qualcuno pensa che io ho dato a lui qualcosa, perchè lui mi diede tanto e mi fece capire il punto di vista del blues dei ragazzi bianchi aiutandomi a costruire un pubblico.
Charlie Musselwhite
Ho dei bellisssimi ricordi di Mike. Lui è quello che introdotto più giovani bianchi al blues di chiunque altro. Il suo era un lavoro sistematico e maniacale. Poi era una persona divertente, ma un attimo dopo cambiava completamente umore. Era come se la sua mente non staccasse mai. Magari un dottore potrebbe spiegartela con una vera diagnosi, ma in poche parole Mike non dormiva mai, la sua era insonnia cronica. La vita fu molto dura con lui.
Fabio Treves
Per me fu una grande ispirazione...ci incontrammo i primi di settembre 1980, Claudio (Trotta) lo aveva portato in Italia con Woody Harris e una violoncellista per una breve tournee acustica. Io mi presentai e lui mi disse che assomigliavo a Paul (Butterfield) e che gli davo delle buone vibrazioni. Gli dissi che ero armonicista. La sera mi chiamò sul palcoscenico per suonare con lui un brano che poi divennero due o tre e al termine mi abbracciò forte. Nelle sere successive mettemmo in piedi due date, Torino e Verona, con la TBB e registrammo un disco insieme. Non dava l’impressione di stare male, era sempre positivo.
Pensare a lui mi emoziona ancora oggi… è bello ricordarlo.
Maria Muldaur
Era un bel tipo, un uomo affascinante. Incidemmo insieme una colonna sonora, il film si chiamava “Steelyard Blues” con Jane Fonda e Donald Sutherland. Fu un periodo bellissimo perchè sperimentammo moltissime cose insieme a lui e a Paul. Per lui risuonare con Butterfield e Gravenites, che produsse il disco, era una cosa eccitante, si vedeva; voleva fare bella figura ed era sempre pieno di entusiasmo. Respiravamo l’aria della baia, erano i primi anni settanta.
Nick Gravenites (fondatore di The Electric Flag, produttore e amico di Bloomfield)
Io ho ricordi molto variegati: buoni, cattivi, alcuni addirittura di indifferenza. Quello che mi impressionò di più sin dalle prime volte fu il suo modo d’essere. Lui era qualcuno, e la gente ha fatto presto a dimenticarsi il suo carisma. Sopratutto quando muovevamo i primi passi musicali insieme lui aveva davanti a se una visione chiara di ciò che voleva. E la gente della nostra età voleva stargli accanto per beneficiare di qualche frangia di tutto ciò, della sua generosità, del suo straordinario essere. Ha cambiato profondamente alcune persone, e non poteva essere altrimenti. Michael ha aiutato molte persone a proprio scapito. Molte cose che erano importanti per gli altri non lo erano per lui. Era di una ottima famiglia ebrea e rifiutò qualsiasi beneficio e si ritrovò nel cannibalistico business della discografia con la sensazione che tutti gli stessero portando via qualcosa. Ma qualsiasi cosa gli portassero via nessuno poteva toccare la sua artisticità. Viveva perciò questa dimensione doppia fra ciò che poteva dare musicalmente e ciò che voleva dare a quegli squali.
Pensieri sulla morte di Michael Bloomfield
Charlie Musselwhite
EDP: quando lo incontrai a Firenze nel settembre del 1980 non dava certo l’idea di essere più un junkie. Tutti dicevano che stava bene già da un pò
Charlie: Posso dirti che andò in overdose in casa di qualcuno e che poi venne montato su una macchina e portato da qualche parte e lì abbandonato così che i padroni di casa non potessero essere connessi alla sua morte. È anche vero che aveva OD’d altre volte. C’era un diavolo che da anni stava tentando di portarselo via....Come avrei voluto che fosse rimasto con noi ancora....l’idea di non rivederlo più, di non sentire più il suo candore, la sua passione per il blues mi squarcia. Sono certo che aveva delle grandi idee musicali da comunicarci ancora.
Nick Gravenites
EDP: cosa c’era che non andava ?
Nick: Una strana chimicità muoveva il corpo di Michael. E molti problemi psicologici. Era un terribile insonne e questo lo minava moltissimo. Poi le droghe, parti delle quali erano tranquillanti per farlo dormire, non aiutavano certo! Non trovo una spiegazione singola alla domanda. E tutte le storie a propositi dei suoi problemi correlati alle droghe sono superficiali rispetto alla sua umana grandezza. La stampa nei confronti di ragazzi che morirono così giovani come Janis, Jim, Jimi o Michael non ha mai voluto scendere in profondità. Non sono personaggi che puoi liquidare a causa di una overdose!
Al Kooper
EDP: perchè rifuggi il successo ?
AK: tutto deve essere ricondotto alla storia della sua famiglia. Era una famglia immensamente ricca. La sua reazione fu staccarsene e prendere la strada per il Southside Chicago.
Barry Goldberg
EDP: è morto vicino a San Francisco, ma è sotterrato a L.A:, un luogo che lui non amava. Non è ironico?
BG: è cremato in un cimitero che guarda l’autostrada. Recitai l’euologia mortuaria su richiesta dei genitori al suo funerale. È stato il momento più duro della mia intera vita quello…rimettere insieme le cose di Michael davanti alla sua famiglia, durissima!…a parte la madre e il fratello, io credo che la sua famiglia non aveva capito l’impatto di quel ragazzo nella musica, sulla gente e il suo alto senso religioso.
EDP: Un ultimo ricordo…
BG: non c’è un giorno della mia vita che passi che io non mi ricordi di lui, non mi rivolga a lui. Oltre a mia moglie e a mio figlio è stata per me la persona più importante. Difficile spiegare. Mi conforta solo l’idea che se ne parli, che si possa ascoltarlo ancora oggi
Gail Goldberg
EDP: come potè accadere tutto così in fretta ?
GG: non sono sicura che la fine sarebbe comunque tardata ad arrivare. Anche se fu un incidente lui era diretto verso quella destinazione. Ma visse una vita meravigliosa, questo lo posso dire, lui trasmetteva questo entusiasmo. Fu solo una vita troppo corta per noi che siamo rimasti.
Ernesto De Pascale, Firenze 25.12.2000
Tutte le interviste sono dell’autore escluso le dichiarazioni di Bob Dylan.
Per una versione in italiano del libro di Michael Bloomfield ”Me & Big Joe” leggi la review e/o inviate una e-mail a meandbigjoe@hotmail.com
Il Popolo del Blues ricorderà Michael Bloomfield al Festival Blues di Torino nel mese di Aprile 2001 e presso il club “La Galera" di Correggio.
Ernesto De Pascale stà atttualmente coproducendondo un documentario su Michael Bloomfield con la Ravin’ Film di San Francisco
back to bloomfield
|
. |