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Intervista a Giorgio Gaber
Milano 8 maggio 2001

di Ernesto De Pascale

Ernesto de Pascale. Volevo partire con  una riflessione. Il suono del titolo del disco (La mia generazione ha perso), io non l’ho sentito l’ho letto sulla copertina…

Giorgio Gaber. …c’è nel disco, c’è la frase.


EdP. E ha un suono molto particolare che è molto più sfaccettato della lettura che esce sulla copertina, per me questo è una chiave importante

GG. Sì!, è un titolo sommatorio di tante cose, e quindi ridurlo soltanto ad un discorso di mancanza di ideali di aspirazioni di incertezza di futuro mi sembra in qualche modo piuttosto riduttivo.
Nell’album ci sono vari momenti che decretano questa, che io chiamo sconfitta, senza per altro prefigurare una catastrofe, ma soltanto una constatazione, che  secondo me, utile per poter ripartire e  poter ricostruire qualcosa di positivo.

EdP. L’arco generazionale della perdita descritta, è un arco piuttosto vasto.

GG. È un arco che mi riguarda…

EdP. È un arco che riguarda anche me, io ho 43 anni, o chi come me frequenta i tuoi spettacoli

GG. Ma io sono della generazione del dopoguerra, quindi io parlo di una generazione che evidentemente ha vissuto diversi periodi della nostra storia  dell’Italia di questi ultimi cinquant’anni, per cui penso che bene o male sia riferita alla mia generazione, poi se questa cosa riguarda anche generazioni successive che intuiscono, per lo meno, cosa vuole dire questo titolo questo mi fa molto piacere.

EdP. In queste ultime settimane gli incontri che hai avuto sono stati incontri pubblici, come quello che ci sarà a Firenze. In questi incontri suppongo tu abbia avuto  una percezione, che va oltre a quella che hai tutte le sere in teatro, ma presentandoti davanti a dei giovani ancora più spostati…

GG. La loro generazione ha ancora molto tempo prima di dire una frase di questo genere, però li riguarda nel senso che in qualche modo noi siamo i genitori, la generazione che li ha preceduti che ha avuto molti sogni, molte aspirazioni e che ha saputo creare nei giovani lo stesso stato d’animo di entusiasmo che possa portarli ad un futuro aperto a un futuro pieno di possibilità, mi pare che i giovani, al di là di frasi come disagio giovanile, che non sopporto più, però bisogna riconoscere che per loro esiste una difficoltà diversa di quella che avevamo noi, bisogna riconoscere che non gli abbiamo preparato un meraviglioso futuro. Siamo troppo confusi noi per poter dare per dire loro delle cose che  gli possono essere utili.

EdP. Ritieni che questa confusione sia diventata esponenziale nel corso di questi ultimi trent’anni, anche ripartendo dagli esordi teatrali…

GG. Mi pare di avere detto e ripeto qua, ma essendo questa generazione uscita dalla guerra ha in qualche modo avuto la possibilità questo sviluppo legato ad un progresso  ad una presa di coscienza dell’ individuo fino ad un certo punto poi da un certo punto in avanti mi sembra che il livello di coscienza sia sceso ed ora ci troviamo in una fase in cui c’è un grandissimo sviluppo, con un o scarsissimo progresso.

EdP. Nel percorso compiuto, poi io prendo il disco come una parte di un percorso molto piu vasto, naturalmente dove non eri ne mai scomparso  ne tirato indietro, tutt’ altro…

GG. non sparito, io lavoro...

EdP. Questo obiettivamente  a volte si riducano le cose, purtroppo, insomma…

GG. Il teatro è un mezzo di comunicazione molto più limitato, bisogna venirci, bisogna prenotare, bisogna parcheggiare, venire a teatro è un po' una punizione, però se ci vengono vuol dire che sono interessati!

EdP. Il percorso, di cui stavi tu accennando e i cambiamenti, mi sembra che sia stato anche quello, nel corso degli anni, e le canzoni sono comunque il sunto, è di ricerca tra il privato ed il pubblico senza dare per forza una soluzione, con moltissimi sforzi anche di toccare ambiti diversi. Come senti tutti i passaggi, anche attraverso i personaggi, l’evoluzione che si è creata?

GG. Intanto vorrei citare subito, il mio coautore Sandro Luporini con il quale scriviamo i testi e che è decisivo, e un po' più grande di me, e quindi è il mio maestro, con il quale ho collaborato da tantissimo tempo e con il quale ho scritto gli  spettacoli. Come ci muoviamo, nella scrittura della canzone e dello spettacolo, in un certo senso è come se noi indagassimo nella realtà individuale cercando di descrivere degli stati d’animo dei disagi delle osservazioni che in qualche modo vorrebbero essere, almeno per noi, non solo una piccola scoperta, partendo sempre da una idea di testo, perchè per quanto ci riguarda la musica diventa un arricchimento emotivo, ma noi non partiamo dalla musica dove mettiamo delle parole, partiamo sempre da un’idea di testo, attraverso la canzone noi restituiamo a questa specie di brusio che abbiamo percepito intorno a noi e cerchiamo di renderlo convinti che in qualche modo queste piccole scoperte che sono di carattere corruttivo, certamente, ma anche di carattere personale, come giustamente osservavi possano dare una piccolissima verità in più, ci mancherebbe altro…

EdP. …è aumentato il brusio…

GG. …no, il brusio è più difficile da ascoltare, questa è una  sensazione  che noi abbiamo avuto quest’anno tant’è non abbiamo scritto lo spettacolo abbiamo preferito prenderci un anno di pausa, abbiamo scritto qualche canzone, ma non abbiamo individuato bene che tema centrale, e questo tema centrale mi sembra che sia la confusione e quando il tema è la confusione meglio non scrivere ed aspettare e vedere un pò come vanno le cose.

EdP. Però in questa confusione, il fatto che l’album, permettimi, sia arrivato in questo momento è da intendere come un segno, perchè per chi ti conosce meglio ha frequentato tutti i tuoi spettacoli i programmi, le registrazioni, è una summa doc…

GG. Allora focalizzando sul momento il fatto che comunque questo disco,per fortuna in  questa è una sorpresa, ti dirò, questa è assolutamente una sorpresa perchè non ce l’aspettavamo, abbiamo fatto questo disco perchè in effetti siamo in debito con alcune cose, che hanno avuto una diffusione soltanto teatrale e così avrebbero potuto essere un pò più allargate come possibilità e fruizione più larga dal pubblico ed effettivamente abbiamo constatato che l’album nel mercato discografico da questa possibilità spero che si allarghi maggiormente il pubblico e credo che, come dicevamo prima alcune persone che hanno pensato che io sia stato zitto per trent’anni, invece ho lavorato moltissimo, in qualche modo mi hanno riscoperto,o forse non mi conoscevano.

EdP. La tua scelta mi sembra che sia stata abbastanza precisa, mi piace sottolinearla in questa maniera se dovessi ridurla in poche parole, rispetto all’ipotesi di sentirti artista, tu hai scelto il lavoro…

GG. Io nel settanta ho avuto questa occasione che è stata determinata da due episodi, uno dal Piccolo Teatro di Milano che mi ha offerto di fare uno spettacolo, “Il signor G”, e dall’altra parte uno o due anni di tournee in giro per l’Italia con uno spettacolo con Mina, e ho trovato che la dimensione del palcoscenico era quella sicuramente più appassionante e più congeniale per le mie possibilità e ho scelto di fare il teatro. Non è un sacrificio perchè andare sul palcoscenico e raccontare quello che uno è, (quel che) che pensa, quello che in qualche modo esprime. Credo che sia la cosa più… di grande privilegio… in fondo io e Luporini quando scriviamo abbiamo soltanto la preoccupazione di fare delle cose interessanti, non abbiamo preoccupazioni ne di audience nè di vendita di dischi, nè di gradimento allargato, abbiamo solo il pubblico che ci segue,questo è lusinghiero perchè in effetti avere sempre…, in effetti quando la gente viene a teatro a vedere i miei spettacoli non è che si aspetti di vedere chissà che cosa, viene a sentire ciò che diciamo e quindi questi trent’anni di teatri esauriti veramente sono un fatto molto lusinghiero, direi anche rado, perchè tutto sommato non capita spesso non è che…

EdP. E per mettere insieme questo materiale qual’è che avete cercato…

GG. …abbiamo scelto le canzoni, perchè tutto sommato quando si scrive per uno spettacolo teatrale si scrivono anche delle cose musicali ma anche con della prosa,abbiamo allargato lo specifico della canzone portandolo a livelli diversi. Molte canzoni sono mezzo monologo mezza canzone… queste le abbiamo escluse dal disco perchè un disco è effettivamente diverso,invece uno spettacolo teatrale ha delle proprie esigenze ritmi diversi, un disco deve essere fatto di canzoni. Il disco è stato fatto scegliendo le cose degli ultimi anni e aggiungendo delle cose nuove e le ultime cose scritte, però è una scelta legata allo specifico della canzone.

EdP. Tu senti dentro l’esigenza di tenere alta la guardia rispetto a ciò che comunque succede intorno, quindi anche nella ricerca nel tuo rapporto  con i testi, lo spettacolo, il palcoscenico, fino al disco…

GG. Più che la guardia è un modo di lavorare di scrivere, è chiaro: non esiste un discorso di una concessione al pubblico, esiste solo l’esigenza di fare delle cose che ci rappresentino…

EdP. Il problema è la concessione a te stesso?

GG. Si, è chiaro che Luporini ha una notevole capacità letteraria,io ho una capacità teatrale,le due cose in qualche modo si fondono ed è chiaro che esiste un mezzo espressivo che è il teatro  che ha anche delle  sue esigenze,non tanto nei contenuti  o nelle diverse composizioni, quanto nei ritmi di uno spettacolo che ha evidentemente delle caratteristiche particolari. A un certo punto lo spettacolo deve crescere diventare una cosa concreta e credo che il mio spettacolo lo sia, anche se,riprendiamo il discorso di prima, non dà delle soluzioni; però ho la sensazione, tu poi visto che ne hai visto qualcuno… che la gente alla fine degli spettacoli, anche se si dice qualcosa di negativo, ne esce caricata. Non esce depressa, quindi questa è una caratteristica energetica molto positiva.

EdP. Il problema è la mattina dopo!?!

GG. Questa (problematica) non la vivo. Sono d’accordo con te!

EdP. Questa tensione che si crea e  porta fino alla fine dello spettacolo a volte, naturalmente, ha un pò la sindrome di quello “chiudiamo la serata teatrale”, i gesti ricominciano ad essere quelli di sempre. Forse voi come autori non vi siete nè posti e nè vi dovete porre,come sarebbe per un autore di canzoni - quando la canzone è licenziata appartiene a quelli dall’altra parte -però è anche giusto che io ti ponga una domanda in più…

GG. Il problema di modificare il comportamento mi sembra eccessivo, non è un compito che noi ci poniamo. Come ti dicevo, prima preferiamo proporre una serie di temi su cui la gente, magari nell’intervallo o alla fine dello spettacolo, esca, rifletta discuta e ne parli. Mi pare già un ottimo risultato.

EdP. Fra tutte le cose  dette, cantate, parlate, messe insieme nel corso del tempo vi siete mai, non tanto posti dei problemi ma quanto siete mai, arrivati ad un punto dove vi siete detti, ”abbiamo detto moltissimo”. Quindi, vi siete un attimo distaccati, fermati?

GG. Si ci sono stati, come quest’anno, dei momenti di pausa, è chiaro che ogni volta è più difficile perchè hai detto tante cose,magari sei insoddisfatto di alcune composizioni, di alcuni brani che hanno segnato, per quanto, ti riguarda un momento importante dopo di chè l’idea di rimetterti a scrivere è sempre faticosa nel senso che uno dice “ce la faremo?” il nostro comportamento è ogni volta dire “vale la pena?”, vale la pena andare sul palcoscenico a raccontare qualcosa?, se non vale la pena non si va. Se si riesce a scrivere si va, se no pazienza non è un obbligo. Ecco noi siamo piuttosto legati a questo risultato, a dire si mi sembra che queste cose vadano dette,questa è la nostra teoria. Magari qualcuno può dire che se non le dicevo era lo stesso, ciò è molto legato al fatto che noi siamo convinti che quelle cose vadano dette; questo è il nostro sistema, se non ci riusciamo..., infatti ci sono stati alcuni anni di pausa…
Mi ricordo,dopo uno spettacolo che si chiamava “Polli di allevamento” siamo stati fermi due anni ;era un periodo dove si cominciava a capire poco il mondo, eravamo un po in difficoltà. Lo spettacolo “Polli d’allevamento” era uno spettacolo molto duro che finiva con contestazioni, con gente che era e non era d’accordo con quello che noi dicevamo, per cui è stato necessario per noi fermarci e riflettere, vedere un pò se si maturavano delle cose da dire. Era il momento delle BR un momento delicato. Poi abbiamo scritto “Se io fossi Dio” e ci siamo...

EdP. Dopo è ripartito un periodo molto ricco...

GG. Questo si, non so se riusciremo a scrivere altri spettacoli, perchè ci viene da dire “questo è l’ultimo” e poi magari qualcosa succede, ci riprende la voglia ci vengono alcuni spunti, certo che in questo momento è molto confuso, abbiamo…, o  non abbiamo, una grande capacità di capire un mondo che sta cambiando così velocemente e che  presupporrebbe evidentemente una capacità di intuire, che noi in questo momento non abbiamo, si può denunciare il proprio sconforto la propria confusione ma questo si può fare in una canzone. Non lo possiamo fare in uno spettacolo dove bisogna dire qualcosa...

EdP. Però il teatro come “piccolo borgo “ è confortante’...

GG. Molto, molto; non mi sono mai pentito di aver fatto questa scelta di essere in qualche modo  uscito da un mercato più grosso, è un fatto a parte marginale, però credo  che i condizionamenti della televisione, il condizionamento anche dei  dischi, di queste cose poi  pesino: poi bisogna fare un disco poi…, noi non dobbiamo fare nulla, se ci riesce… se non ci riesce stiamo a casa!

EdP. A proposito di questa confusione, prima ancora del brusio, ora mi veniva in mente, una frase di un grossetano che tu probabilmente avrai conosciuto, che era Luciano Bianciardi, che una volta disse e scrisse “in Italia non si sa dove si va ma ci si va” ed erano tanti anni fa…

GG. In qualche modo, se posso dire, era un amico; si è vero lui lo scrisse negli anni sessanta, forse noi eravamo allora pieni di entusiasmo, piene di voglie, poi lui è mancato mi pare prima del movimento…

EdP. Nel settant’uno...

GG. …quindi quel periodo fu un periodo molto ricco di cose, noi scrivevamo uno spettacolo l’anno senza problemi, eravamo estremamente produttivi, quindi noi siamo stati un po coinvolti da quegli anni. Spesso cito questo periodo come uno dei periodi più interessanti della nostra produzione ma anche della mia vita, e quindi ne sono legato, anche se devo dire che l’appartenenza a quella razza è una appartenenza di breve durata perchè già dopo 4 o 5 anni in qualche modo ci siamo risentiti soli, questo è doloroso ma se è (tale) una constatazione necessaria, al di là del pubblico, perchè il pubblico poi a teatro viene, ma in qualche modo non senti una appartenenza un'idea che si sviluppa ti senti  un pò isolato…

EdP. C’è stata una forte disgreganza  improvvisamente intorno alla tarda seconda metà degli anni settanta, corrisponde allo spettacolo “Polli d’allevamento”?

GG. A “Polli d’allevamento” e “Libertà obbligatoria”. In “Libertà obbligatoria è usato spesso il “noi” quindi c’era un senso di appartenenza, ma già in “Polli d’allevamento” no(n più)…

EdP. Mi pare di comprendere che se una operazione è stata compiuta è stata anche quella di una forte concentrazione su se stessi come visione totale anche del mondo, cioè concentrarsi molto sulla propria identità...

GG. Ma noi abbiamo avuto fin dalla partenza questa esigenza di guardare il sociale, di guardare il movimento collettivo come un momento di insieme di individui e quindi ci siamo sempre molto preoccupati dell’individuo, e ci siamo sempre trovati in contrasto con i politici di allora,non i politici ufficiali, perchè allora tutti quanti si occupavano di politica, e noi eravamo un pò diversi. Io ricordo che una delle canzoni chiave, che magari è meno compiuta delle altre,che per noi fu molto significativa, fu una canzone che si intitolava “Chiedo scusa se parlo di Maria” dove in mezzo a questo grande movimento legato alla politica al sociale e al cambiamento, noi sottolineavamo il fatto che il rapporto  con il quotidiano, con le cose, con il proprio sentimento, con la vita di tutti i giorni, faceva parte di questo cambiamento… era importante,era importante che fosse legato a un discorso anche più collettivo e lì ci fu questa specie di continua discussione  che possiamo dire che continua tutt’ora, e in qualche modo questa “non sintonia” e ancora una politica che di questo ancora non si occupa…, la politica non si occupa di a che punto è l’individuo. Secondo noi il soggetto è disastrato, è a pezzi e si pensa di poterlo risolvere con delle leggi,con dei cambiamenti, secondo noi, viceversa, non va basta: c’è un degrado culturale che forse è stata la molla che ci ha… che invece aveva voglia di evoluzione, di cambiamento di crescita individuale e che oggi non c’è…

EdP…. e anche la voglia di scrivere di...

GG. Certo la voglia di scrivere è molto legata a questo fatto e, quindi voglio dire, mi sembra che tutto poi sia andato in un altra direzione,la direzione dell’apparire, la direzione del mercato, la dimensione anche tecnologica, che naturalmente non può essere giudicata ne bene nè male ma che non si occupa della crescita individuale.

EdP. Probabilmente sarà un processo che avrai fatto:ti capita mai di rimettere i personaggi che sono passati sul palcoscenico in trent’anni, anche fermati nel momento in cui sono nati, e vederli come una striscia, come una serie di fotografie, come un film ?

GG. Ci capita spesso quando scriviamo: ci sembra che in qualche modo abbiamo detto tante cose solo che forse cambia un po l’angolazione. Ecco, tutto sommato, credo che noi ci siamo ripetuti, alcune volte, però è sufficiente spiegare,spostare l’angolazione per cui questa serie di cose dette  diversamente possono essere di nuovo una scoperta. Questo senz’altro,noi,in quegli anni, scrivevamo moltissimo, uno spettacolo all’anno,con un coraggio anche notevole, perchè passavamo da un tema ad un altro con una facilità anche un pò, se vogliamo, incosciente. Però toccavamo tantissime cose, e allora dicevamo “quella frase li mi pare che si sia già detta da qualche parte” andiamo a vedere ed effettivamente l’avevamo detta. Però l’abbiamo un pò, così, l’abbiamo toccata,per cui in effetti ci passano davanti tante cose del passato, non ce lo nascondiamo,credo che bene o male noi facciamo sempre lo stesso discorso, sempre quello, che è poi quello di occuparsi dell’individuo, abbiamo avuto, sicuramente, alcuni maestri che ci hanno influenzato, direi da un punto di vista letterario, sicuramente citerei Celine che ci ha dato una grande voglia di scrivere. Celine ha ridato, secondo me, al romanzo una forma talmente teatrale che era difficile non prendere da Celine ; dal punto di vista musicale, io personalmente dal punto di vista dell’espressione, come maestro ho avuto George Brassens che era un grandissimo autore e un grandissimo interprete  della canzone francese, poi siamo arrivati via via a questa filosofia di Francoforte che parla della morte del soggetto e quindi ci siamo occupati molto di questo, di questo annientamento dell’individuo  a carico di un mercato sempre più incalzante. sempre più disgregante, Quindi direi che questo è un filone conduttore di tutti i nostri spettacoli …

EdP. …che vi siete portati appresso. Però questo rende anche più forte, rispetto all’angolazione che dicevi leggermente diversa, anche l’espressività del disco  perchè comunque sia delle cose scritte e dette  negli ultimi dieci anni già rileggerle ora,fuori dallo spettacolo, rimesse in un disco, prendono (una forma e una forza differente e unica), è stato anche divertente per voi risentirlo ?

GG. …noi abbiamo questa,non so cosa sia, io la chiamo elasticità, insomma ci ritorniamo sopra e riscriviamo,cambiamo delle frasi, cambiamo delle cose,già adesso, per esempio, c’è venuta una frase che è in una canzone del disco..., negli spettacoli si cambiano ogni sera, nei dischi quando sono incisi non si possono cambiare,quindi devo cantare come è scritta lì. Ma non so forse la ricanterò cambiandola,quindi noi torniamo su alcune cose e le rimodifichiamo, interveniamo; insomma non consideriamo il nostro lavoro  inamovibile. Se c’è qualcosa che si può migliorare  si migliora!

EdP. Nel rapporto con  gli autori, il rapporto con Luporini è un rapporto di lunga data,però mi vengono in mente almeno un altro paio di rapporti estremamente positivi, penso, Simonetta, Dario Fo con cui tu hai fatto un 45 giri nel 1961...

GG. …questa è una chicca storica!…

EdP. …Però è una cosa che tiene…

GG. …abbiamo parlato di maestri e non ho citato Dario Fo che sicuramente ha influenzato alcune  mie scelte. Quando  lasciai la televisione e ricaddi in teatro è sicuramente è dovuta agli spettacolo di Fo, agli spettacoli della Comune. Sicuramente è contato, poi lui mi faceva un mazzo tremendo, perchè mi diceva che dovevo essere più politico più di quanto già ero, e quindi  sono nate una serie di discussioni anche divertenti; è chiaro che siamo due persone molto diverse però è chiaro è stato sicuramente un maestro…

EdP. Quando eravate giovani, soprattutto nei primi anni sessanta, quando lui aveva già compiuto alcune scelte, quale era l’impressione che avevate?

GG. …l’impressione?… aveva fatto uno spettacolo con Jannacci, ed io ero molto invidioso…, devo dire la verità su Jannacci: che avesse questo privilegio di lavorare con Dario Fo - io andai a vederlo e trovai che Jannacci era bravissimo e Dario lo aveva molto aiutato -  in effetti è un invidia dichiarata non nascosta, avrei voluto anch’io avere un contatto così diretto. Lui aveva fatto della scelte che risalgono alla fine degli anni sessanta perchè lui fino alla fine degli anni sessanta frequentava teatri normali e diceva che anch’io dovevo andare a fare spettacoli in teatri alternativi. Io ho fatto le mie scelte e ho scelto il teatro comunque  al di là dei prezzi politici… Sai allora c’era il discorso di far venire molti ragazzi. In effetti i prezzi erano bassi, anche i miei, certamente dei prezzi che escludevano qualcuno, ma al di là di questo io ho mantenuto la mia linea e spesso ci siamo incontrati e abbiamo in qualche modo condiviso molte cose; ora è un è po che non ci vediamo, ma è stato sicuramente molto importante.

EdP. I trentenni di ora, in fin dei conti, sono nati quando tu hai iniziato a raccontare “Il Signor G“ ma i trentenni di allora erano figli di un’Italia ancora contadina, che usciva dalla guerra e che poi si sarebbe trovata dentro a un cambiamento, che avrebbe portato al boom economico  improvviso, in un breve periodo di tempo estremamente forzato anche da fuori, fortemente voluto. C’è una fortissima discrepanza anche di tempo, di realizzo, di queste generazioni che crescono...
GG. Sì!, c’è un grande salto che avviene, secondo me, verso la fine degli anni cinquanta e c’è un momento decisivo. Ho qui davanti un libro che parla del Rock’n roll in Italia, noi siamo partiti a fare questo Rock’n Roll intorno agli anni ’59, ’60 ed effettivamente lì cambia un pò tutto perchè è, forse, la prima volta che il disco  costituisce la testimonianza che i giovani diventano protagonisti del consumo, perchè prima i dischi li compravano i genitori...

EdP. …e li cantavano artisti più anziani di che li acquistava…

GG. …esatto! e quindi ci fu questa specie di “rivoluzione giovanile“ che è effettivamente un grande cambiamento del costume e anche un grande cambiamento dei ragazzi: diventano protagonisti del consumo e scelgono loro le cose da comprare  e quello è un periodo di grande cambiamento. Noi siamo, in qualche modo, di quella generazione  e sto parlando, e lo dico ironicamente, di gente che  è in classifica nella vendita dei dischi, quindi oggi è uscito un giornale che ha scritto “la sua generazione ha perso  ma vende i dischi”, questo è un titolo abbastanza curioso perchè effettivamente in testa alla classifica ci siamo noi di allora...

EdP. Hai mai pensato i tuoi stessi spettacoli fra cinquant’anni interpretati da qualcun’altro, che racconta le tue storie, cerca un attimo di capire..., gira il mondo dello spettacolo sul palcoscenico...

GG. …non so non ciò mai pensato, l’unico contatto che ho avuto ultimamente è con un giovane che è uscito da poco e che si chiama Antonio Albanese  e che mi piacerebbe..., anche lui ha espresso questo desiderio, che facesse una cosa che io ho fatto in prosa, 12 anni fa che si chiamava “Il grigio” che era uno spettacolo di questo uomo…

EdP. …di poche canzoni…

GG. …non c’erano canzoni, era uno spettacolo di prosa, e devo dire che mi piacerebbe molto che lui lo facesse, ma l’idea che tra 50 anni,  sono tanti!, che queste cose vengano riprese mi sembra difficile perchè io stesso faccio fatica a riprenderle perchè sono molto legate al periodo. In uno di questi incontri pubblici nelle università (aprile 2001) mi hanno chiesto perchè non canto “Se io fossi vivo” una canzone dell’ottanta. Non la canto perchè mi sembra che non mi riguardi più, è una canzone sicuramente importante della nostra produzione, ma credo che in qualche modo vada cantata nel momento in cui tu senti  come è l’umore del periodo, dopo, quando passa…, quindi non credo che tra cinquant’anni qualcuno canterà le mie canzoni, non credo proprio, alcune magari più piccole più sentimentali, alle quali noi siamo particolarmente legati, anche perchè spesso, anche se lo spettacolo sembra più rivolto al sociale in realtà dei momenti di intimità, magari canzoni più piccole che sono per noi preziose che rappresentano una vena che sembrerebbe marginale ma che per noi è sicuramente importante, e poi direi che un  altro aspetto interessante che si è creato negli ultimi anni è l’aspetto musicale, un aspetto di cui ancora non abbiamo parlato, io ne parlo di solito poco, all’inizio le canzoni nascono sempre da un’idea di testo però poi c’è uno sviluppo musicale e il lavoro poi diventa  poi teatro in questo lavoro musicale ho trovato un gruppo molto solido, fortificato, con il quale addirittura noi abbiamo la possibilità di discutere i testi in qualche modo di entrare nel commento musicale o addirittura nella costruzione musicale  con una intenzione che è molto legata al  sentimento della canzone non è solo un fatto formale, ultimamente questo gruppo che è formato da diversi musicisti… Mirko Guerrini che è fiorentino, è un nuovo acquisto molto prezioso, e che in questo disco ha dato un contributo molto importante…

EdP. Ti chiedo un'ultima cosa, prima stavi parlando di queste piccole canzoni più intime a cui voi siete molto legati…, l’intimità, il concetto di intimità risolve certe problematiche sociali?

GG. …non è disgiunto…, che le risolva è un po' difficile da dire, però mi pare che sia comunque  collegato, e che eluderlo sia una colpa. Mi pare che sia molto importante che vicino a momenti di  denuncia a una situazione  di disagio collettivo ci sia la difficoltà di rapporti tra le persone e che  quindi anche queste piccole canzoni abbiano un peso, abbiano un valore di completezza, un discorso che sarebbe davvero troppo lungo…

EdP  Lo faremo un’altra volta.

GG. …volentieri!
 
 
Milano, 8 Maggio 2001
Ernesto De Pascale


Dal concerto in Piazza Maggiore dei Clash lo scorso anno a Bologna ad oggi molte cose sono cambiate nella mia vita. Sono tornato per la seconda volta a New York City, sono tornato a Londra per immergenrmi nel revival mod al Marquee di Wardour Street con i Purple Hearts, è morto John Lennon, si è ricominciato a vedere della buona musica dal vivo anche a Firenze dove l’atmosfera musicale è in fermento, ho seguito la tournee dei talking heads come loro ospite, il mio gruppo, I Lightshine, si apprestano a incidere il loro primo disco e siamo sotto a scrivere brani originali provando cinque volte la settimana, determinatissimi come non mai. Ma sopratutto sono stato chiamato dalla rai radio televisione italiana a trasmettere sul primo canale in onde medie della radio, la trasmissione si chiama ”Combinazione Suono” e va in onda ogni pomeriggio. Un pò per fortuna, un pò per merito (speriamo!) qualcuno, durante una mia diretta dalla sede romana di Radio Luna si accorge del gruppo di lavoro al microfono (Gianfranco Schiavone, Giorgio Battaglia, Stefano Battioni ed il sottoscritto) e ci assolda in toto. Il nome di qualcuno è Wolfango Vaccaro, funzionario radio, uno che pare saperla lunga. Comincio a frequentare assiduamente Roma, la Contempo records dove ho lavorato per anni passa in secondo piano, all’università sono impegnato in seminari di storia del cinema e della cultura afroamericana negli Stati Uniti. L’unica cosa che non è cambiata è la fidanzata, Tamara. I nostri rapporti non sono stellari, ma la depressione del rapporto in crisi è celata dall'euforia del resto. Infatti non sono per niente depresso!. Con la storia della Rai mi tengo fuori dalle logiche delle radio private, ma frequento Radio Cento Fiori e molte persone di Controradio, o forse loro frequentano me, visto che la Contempo records di Via Verdi è il luogo dove tutti convergono e io dal 1977 sono lì tutti i pomerigi a fare il commesso. Per farla breve allo stadio di Firenze, il 12 Giugno 1981 ad accompagnare i Clash in quei centodieci metri che separano l’uscita degli spogliatoi, lato fiesole, al palco, voltato verso la curva ferrovia, insieme a Cosmo Vinyl ci sono io e pochi altri.
La giornata era cominciata presto con l’arrivo degli amici romani e l’incontro con i nuovi colleghi de “Il Mucchio Selvaggio”, la rivista per cui da un pò scrivo: Max Stefani, Maurizio Bianchini, Federico Guglielmi e poi Giorgio Battaglia e Stefano Battioni. Allo stadio ferve l’attività pre spettacolo. Carlo Massarini si presenta al cancello grande della tribuna coperta numerata con la sua duetto beige e chiede candidamente di parcheggiare dentro, sotto le tribune (permesso che gli verrà accordato), i promoter convogliano il pubblico sugli spalti della curva che alle 20 è un solo respiro. La gente è pigiata, stipata, la lingua che più frequentemente senti parlare oltre il fiorentino è il romano mentre io scompaio giù. Nei camerini Simon sta suonando il basso dentro un juke box che manda a tutto volume vecchi 45 giri di blue beat, rock steady e primo dub, praticamente il suo strumento è amplificato dall’ampli dell’oggetto vintage, bellissimo, potentissimo. Un odore pungente di erba pervade il luogo e conto qualcosa come 200 lattine di birra aperte. Il seguito del gruppo è vasto, colorato, informe e si muove con il fare di chi sta partecipando a una festa. La voce roca e potente di Strummer risuona doivunque nei corridoi, capisco che certi business sono in mano ai neri che girano con la band mentre altri ruoli nell’entourage sono diversificati per scale sociali che al momento mi sfuggono. È insomma un disordine coordinato che, rifletto, deve comunque riuscire a sostenere una baracca del genere, dove le spese errate si sprecano a vista d’occhio. Il lato estremo del palcoscenico che guarda la curva è delimitato da un ondulato che funge anche da scenografia. Alle note di mezzogiorno e mezzo di fuoco le luci si spengono e sullo stadio di Firenze cade una atmosfera tombale, la curva, lato maratona è la prima ad applaudire quando vede apparire dall’ombra lunga e nera della struttura il gruppo di uomini che si avvicina a quella e io sento distintamente questo ondeggiare umano oltre i praticabili e i tubi innocenti che ci ostruiscono la visione completa. Saliamo tutti su uno ad uno e ci andiamo a posizionare, noi ai fianchi dell’area di azione, loro presso le loro posizioni assegnate. Quel che vedo da qua su mi fa venire la pelle d’oca. Sono così orgoglioso adesso di essere a Firenze, e mi pare di conoscerle tutte, una ad una, le migliaiai di persone confluite qui oggi. Sulle ultime note del brano registrato sta a Strummer salutare con un semplice ”hello” seguito da un più volgare e strascicato ”Heee!” che sfocia nelle note durissime di”London Calling”. C’è una compattezza, una potenza, una robustezza che solo un anno fa non c’era, il gruppo ha assunto uno status internazionale e la autorevolezza che si compete a una band di rockstars internazionali. Quello che ho visto nei camerino, mi viene da pensare, deve essere solo la punta di un iceberg ben profondo. ”London Calling” è suonata a palla dalle radio rock fiorentine e non, al Casablanca riempie la pista, la abbiamo suonata anche noi a ”Cobinazione suono” su Radio uno, senza problemi alcuni. La gente si sta sciogliendo, il brano ha un significato speciale per ognuno di noi ancora adesso, qualcuno è euforico, altri si abbracciano, qualcuno si commuove e leva in alto il pugno chiuso. È un concerto durissimo quello dei Clash che lascia spiazzati anche quelli che li avevano visti dal vivo solo un anno fa a Bologna. Massarini fotografa da un pò dovunque con il suo solito fare da padrone del mondo, sale e scende dalla struttura come se il gruppo fosse lì per lui e fuma spinelli preconfezionati che offre a tutti da un pacchetto di sigarette americane mentre io, dalla sinistra del palco, sono a due passi da Simonon che pare ignorare chiunque, preferisco tenere la postazione per paura di perderla e continuo a scattare con la mia olympus. ”Guns of Brixton”, ”Charlie Don’t Surf”, Magnificent Seven”, ”One More Time”, ”Brand New Cadillac”, ”Jimmy Jazz” e ”I Fought The Law”, di Bob Fuller Four, immancabile bis, sono alcuni dei brani suonati dal gruppo e finiranno nell’oggi rarissimo bootleg in vinile ”The Clash-impossible mission, live in Italy”. Dal mixer Cosmo Vinyl non si limita neanche un attimo con l’utilizzo dell’echo e il concerto è caratterizzato da un uso spudorato e giamaicano dell’unità di riverbero. L’effetto crea una specie di scatola entro cui il pubblico vivrà l’intero spettacolo che la deriva punk rende ancora più tagliente.Alla fine dello show,il gruppo saluta laconicamente e se ne va mentre a noi viene vietato di seguirli. Li raggiungeremo solo dopo un pò nei camerini dove c’è posto veramente per tutti. Simonon è disteso su un lettino per i massaggi,inerme, mentre Strummer (il bassista ci raggiungerà poco dopo) e io iniziamo una lunga discussione registrata amichevole, resa ancora più friendly da uno spinello d’erba ”vera” che Cosmo Vinyl si era premunito manufarre prima ancora dell’inizio dello show. Girano delle bottiglie di vino, ma per i Clash berne è un fatto di quantità più che di qualità e poi mi sembrano tutti troppo ubriachi per capire. Jones è circondato da alcune ragazze e non familierà con molti. Si va avanti così per un bel pò in una atmosfera da party after concert. Poi iniziamo a salutarci mentre della loro presenza resta solo il sudicio. Lo spettacolo lascerà un segno ancor profondo di quello del 1980 sul nascente rock fiorentino e verrà citato come esempio di forza e temperanza per quel punk che è oramai new wave. Non incontrerò mai più di persona Joe Strummer ma mi piace vederlo ancora seduto davanti a me che mi offre lo”spliff”, impegnatissimo a parlarmi di nuove band, del suo gruppo degli esordi i 101ers, di vecchie gliorie, di Gene Vincent, del rock nei pub di Londra prima dell’avvento del punk.

Del miracolo del Rock & Roll, insomma.

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