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Montreux Jazz Festival 2005

Montreux è sempre ricca di sorprese a anche questa edizione 2005 inizia bene con una prima proposta che delizierà chi cerca qualcosa di inusuale.
Dedicato a chi cerca in un piano solo l'imprevedibilità, a chi cerca il suono, ma anche l'originalità, l'intelligenza e l'arguzia. Dedicato a chi ama la canzone leggera ma non abbastanza leggera da volare via. A quanti pensano che "il mezzo è il messaggio". Dimenticatevi Stefano Bollani e segnatevi un nome nuovo sul vostro taccuino delle cose preziose: il pianista canadese, Gonzales.



Non ancora trentenne, canadese ma naturalizzato francese, quattro album all'attivo e un’arguzia senza pari, Gonzales entusiasma sin da quando entra in scena.
Cresciuto nell'underground berlinese, scoperto da David Bowie, ex rapper e clown, l'artista ha un futuro roseo davanti a se.
Gonzales ha entusiasmato il pubblico del casino' di Montreux con una performance istrionica, accompagnandosi, in un percorso a tutto tastiera che ha tramutato il suo piano verticale (un duttile strumento che il pianista ha saputo usare in ogni sfumatura) in un mezzo di comunicazione, con tutto il corpo oltre che con una oculata scelta di grande musica - propria o altrui - proposta in 45 minuti di piacere ininterrotto.



Adesso tutti parlano di lui in Francia. in Italia ignorano chi sia. E' un peccato perchè era molto che non vedevamo usare cosi' bene e con praticità l'ingegno. Metà Monk, un po' Dr. John, un pizzico di Richard Claydermann e la faccia tosta di Louis de Funes e Jacque Brel riuniti in una sola maschera, Gonzales ci è entusiasmato.
E da oggi il concetto di piano solo non sarà piu' lo stesso.
www.gonzalespiano.com

Nella capiente sala Miles Davis (3500 posti a sedere) anteprima europea per Brian Wilson, cinquantanove anni, già leader dei Beach Boys, il gruppo che nei primi sessanta meglio di chiunque altro interpretò l’estetica del surf con le loro intramontabili canzoni. Brian è un genio, tutti si sono espressi così commentando la sua arte, da Paul Mc Cartney a Leonard Bernstein. Brian è, però, anche un uomo torturato dalle proprie ombre e dai suoi fantasmi e la tournée, ed ancor prima, il ritorno sulle scene, sarebbe stato impensabile fino a pochi anni fa. Così come impensabile era credere che l’artista di Los Angeles avrebbe potuto un giorno portare a termine la sua opera prima, quel “Smile” rimasto incompiuto dai giorni delle sparse registrazioni del 1967 e pubblicato oggi in cd e in dvd. Wilson, all’epoca dell’ ”estate dell’amore” aveva forse dato già il meglio di se stesso con “Pet Sounds”, il disco definitivo dei Beach Boys, l’album a cui i Beatles si ispirarono per “Sgt Pepper lonely hearts club band” e con l’immenso sforzo nel realizzare “Smile “; un album apparentemente semplice ma dagli arrangiamenti sfaccettati e luccicanti. Brian non ce la fece e crollò. Un crollo nervoso, psicologico e lisergico che lo avrebbe portato vicino al baratro, da cui si sarebbe ripreso solo nella seconda metà degli anni novanta. Poi, nel 2001 l’incontro con il giovane Darian Sahanaja, tastierista ma soprattutto fan sfegatato di “Smile “ e più in generale del grande compositore californiano il quale aveva, nel corso degli anni, certosinamente collezionato tutte le registrazioni illegali del disco “disperso”.
In una lunga, complicata e a volte dolorosa operazione di recupero psicologico e psicoanalitico, Darian è riuscito a far ritornare a galla il Brian Wilson artista, creativo, magico, un piccolo George Gershwin dei nostri tempi. Documentato nello straordinario dvd dedicato alla “rinascita“ di Brian e di “Smile“, il disco “disperso”, questa la storia che Wilson porta oggi sul palco accompagnato da 10 musicisti guidati da Sahanaja.
Lo spettacolo di Brian Wilson è fondamentalmente un concerto di grandi successi: da “California Girls” a “Surfin’ USA“, da “Soopy John B.“ (da “Pet Sounds“) a “I get Around”, da “Help me Rhonda “a “Barbara Ann” (ma c’è anche tempo per un omaggio al suo maestro Phil Spector con “And then i kissed her“ delle Crystals) fino allo speciale quarto d’ora dedicato al disco “Smile“ in cui il gruppo interpreta “Our Prayer/Gee”, la straordinaria “Heroes & Villain“ per esplodere nella conclusiva “Good Vibrations“, lo show è il massimo che si possa chiedere alla valenza musicale e artistica di un ensemble in cui ogni singolo musicista doppia se stesso con strumentazioni complicate e tutte tese alla perfetta coloritura della tela musicale.



Wilson è un Van Gogh in musica, quindi; con le stesse problematiche mentali – fuori dal palco Brian Wilson è ancora ossessionati dalle “voci“ e il suo sguardo si accende solo al suono delle sue canzoni – ma anche con la stessa straordinaria sensibilità. Brian è però anche un uomo coraggioso: con una famiglia oramai decimata e il cugino Mike Lowe (l’altra voce dei Beach Boys) sempre sul filo della bega legale, l’artista ha avuto il coraggio di mettersi in gioco – per quante fossero state le richieste Wilson non aveva certo bisogni di questi concerti – e già solo per questo merita una attenzione speciale. Le grandi canzoni che ha scritto hanno fatto il resto, anche qui a Montreux davanti a un pubblico entusiasta e caloroso.

Fra le molte attività parallele ai grandi show nelle sale Miles Davis, Stravinski, presso il Casinò Barriere e il Jazz Cafè il festival ideato da Claude Nobs presenta da alcuni anni a questa parte una prestigiosa Solo Piano Competition (info presso: pianocompetition@montreuxjazz.com che ha assunto, sin da subito, un tono autorevole grazie al main sponsor TIME e agli sponsor tecnici del calibro di Nagra (i celebri registratori super professionali, un vanto delle grande aziende come la Rai), Steinway e sotto l’egida del conservatorio di Montreux.
Nel 2003 aveva vinto l’Armeno Tigran Hamasyan mentre nel 2004 il primo premio era andato all’ungherese Robert Botos. L’australiano luke Howard aveva però particolarmente colpito con il suo brano originale “the other side of the bar “ il recensore.
L’edizione 2005 della Montreux Solo Piano competition ha visto affinare l’organizzazione: sin dall’anno scorso la giuria ha iniziato a rimpinguarsi di nomi celebri (quest’anon c’erano Joe Sample e George Duke) mentre una più precisa scelta di brani da interpretare inizia a farsi strada tra i selezionatori (quest’anno i semifinalisti potevano scegliere fra “Donna Lee” di Charlie Parker e “Giant Steps” di John Coltrane mentre i finalisti dovevano misurarsi su “Memories of Tomorrow” di Keith Jarrett e “Whisper not” di Benny Golson, cioè avevi da un minimo di 24 ore a un massimo 48 ore di tempo se entravi in finale per studiare i brani in questione). Un brano originale era la terza scelta per l’esibizione. Ammessi in finale il brano originale doveva, comunque, cambiare da quello della semifinale.
Un occhio ai premi. Per il primo classificato: 5000 franchi svizzeri, un concerto nella edizione successiva del festival di Montreux (presso il Casinò Barriere, per l’esattezza), Concerto, master clas e pertecipazione gratuita alla 33esima IAJE (international Association of Jazz Educators) che si svolge a New York City nel Gennaio 2006, regitrazione estampa di un cd presso il prestigioso studio svizzero The Balik Farm Gmbh). Premi anche per il secondo e il terzo e premio del pubblico. Età massima di partecipazione: 30 anni.
L’edizione 2005 della Montreux Solo Piano Competition è stata vinta il cubano Harold Lopez- Nussa Torres, un musicista serio e dal tocco convincente che ha sfruttato al massimo le possibilità del bellissimo gran coda rossa messo a disposizione dalla Steinway e che – intelligentemente – ha fatto leva sul grande universo folclorico musicale della sua terra senza voler, a tutti costi, imperversare nell’universo jazz.
Vittoria meritata, ma una segnalazione va al nostro Vittorio Mezza da Telese Terme, arrivato a Montreux Solo Piano Competiton con le sue gambe, senza spinte, senza amicizie, perfino senza indicazioni. Vittorio che, diplomatosi, continua i suoi studi a Santa Cecilia, si esibisce a fine Agosto a Roccella Jonica e vale la pena ascoltarlo. C’è chi dice che ricorda Cecil Taylor ma con la simpatia dell’italiano più schietto. Da tenere d’occhio.
Complimenti a tutti e occhio al sito del Montreux Jazz festival presso cui – cliccando su “piano competition” – è possibile scaricare il bando. Periodo buone per presentarsi: Gennaio/Febbraio.


Lasciamo la splendida cornice dell’Hotele Montreux Palace presso cui si svolge la Solo Piano Compettiton per tornare alla Stravinski hall. La 39esima edizione del Montrux jazz festival offriva quest’anno la splendida occasione di vedere, riuniti in una sola sera, alcune delle più interessanti del nuovo folk, in una sera intitolata – con tono forse ridondante – “The Kings of Folks “. Devandra Barhart, le Cococorosie, Billy Boy Prince con Matt Sweeney ma soprattutto Joanna Newson, la giovane arpista californiana più volte nominata su queste pagine.



Minuta, timida ma molto molto determinata a raccontare tutte le sue piccole storie. Storie da cameretta - proprio ieri sera Brian Wilson cantava " C'è tutto un mondo là fuori ma quello che io sogno lo trovo nella mia cameretta" (in my room), Joanna Newson è il risultato di una combinazione astrologica eccezionale. Mai si sarebbe immaginato che nell'era digitale il suono acustico e intimo, versione moderna del tanto amato folk pre Beatles, avrebbe trovato spazio in ampie sale da concerto come la Miles Davis hall del Festival jazz di Montreux, giunto alla 39esima edizione e solleticato da tutte le ultime tendenze.
Un pubblico attento, molto simile a Joanna nei modi e nelle mode, le ha tributato un caloroso applauso fin da subito e lei, senza indugio, sola con la sua arpa, ha rotto il ghiccio con il primo brano. Un inedito; che durava solo 20 minuti. Questa è Joanna: voce alla Luciana Littizzetto, lo sguardo vispo di chi osserva tutto e tutti, e lo stupore di chi non si immagina che l'algido pubblico svizzero possa amarla già cosi' tanto.
Gli svizzeri non sono di bocca buona, diciamolo subito. Alle due Cocorosie- seguivano la Newson in scena- hanno dimostrato una certa indifferenza e non era una reazione anticlimax. La verità è che la Newson è un talento ed ha una marcia in più' aiutata da miscela di arpa e di una voce usata come uno strumento che rendono lo spettacolo non solo piu' accattivante come il suo bell'album"The milk eyed mender" ma proprio conturbante nella sua fragrante innocenza l'intera performance. 40 minuti, non uno di piu' e la sensazione a fine set di aver visto una artista destinata a stupirci.
Devandra Barhart delude il recensore invece; troppo autocelbrazione, troppo fricchettone senza che nessuno gli abbia mai chiesto, tante canzoni ma tutte troppo deboli in un delirio di riferimenti alcuni non in sintonia con altri. Bonnie "Prince" Billy arriva dopo Devandra Barhart e i suoi accoliti; è molto diverso dalle interviste e le descrizioni. Bonnie "Prince" Billy è un uomo delle montagne, ma non ha niente di oscuro nè di perverso come lui stesso si è amato descrivere soprattutto verso la stampa inglese cui deve tanto.



Matt Sweeney è la sua giusta controparte: sembrano due tagliatori di alberi di foreste, gente che se ne va un giorno e sparisce per anni.
Le canzoni dei due sono infatti tutte in quella chiave: canzoni dell'assenza, della mancanza, della dimenticanza e dell'attaccamento all'amor perverso.
Tutto questa sera ha poi più' senso perché in un angolo Azita- la pianista di Chicago che ha inciso due bellissimi album per la Drag City e che non attendevamo in una situzaione musicale del genere - fa la differenza.
Se le canzoni non parlano di lei hanno nella ragazza di origini iraniane (giovane per altro, affascinante. oscura fra mille sigarette e birre, computer e problemi alla tastiera irrisolti) la controparte.
La musica intanto - realizzi - non prende mai il volo, come se un piede schiacciasse le ali alle composizioni; questa e' una sensazione di impotenza che si legge bene sul volto di Bonnie "Prince" Billy. L'antica nobiltà del viso e i solchi della vita si sommano alla presenza della pianista, dei due musicisti, di un percussionista/batterista che ha funzioni di orchestratore iniyziano a far tornare i conti sulla presunta depressione di Bonnie "Prince" Billy.



Il pubblico - che nel corso di questa lunga sera ha visto nell'ordine Joanna Newson, Cocorosie, Devandra Barhart - qui davanti a Prince, Sweeney e Azita, adesso ondeggia.
Lo stato di semiparalisi non è più' apparente: le chitarre semi distorte e i temi vocali larghi e concentrici, dove le parole si avvitano l'una con l'altra, sono diventate il mantra di questa lunga sera dedicata ai "King of Folks".
Forse, viene da pensare, il perdente Bonnie "Prince" non saprà che è stato anche lui, una volta nella vita, re di qualcosa, qui a Montreux, questa sera.

ErnestodePascale



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