Gli album tributo sono da sempre croce e delizia degli appassionati.
Io ne ricordo di bellissimi (come quelli a Merle Haggard, Pete Seeger, Kate Wolf, Greg Brown, Gram Parsons), di parzialmente soddisfacenti ( come quelli ad Hank Williams, Jimmie Rodgers e Cash, nonostante il cast stellare) e di veramente brutti (Tom Waits e Dylan, quasi tutti quelli che sono stati fatti eccetto una produzione su Red House records).
Oggetto di attenzione è stavolta il grande Kris Kristofferson, che proprio quest’anno festeggia i 70 anni tondi tondi.
E dopo aver consegnato un capolavoro a propria firma (“This old road”, uscito lo scorso marzo), è adesso il turno di questo ottimo disco tributo, ottimo perché stavolta non si è tentato, tranne rari casi, alcuni improbabili cross-over di genere, ma si è tenuta una linea artisitica vicina all’autore in questione.
Se la palma va, per affinità elettive, a Willie Nelson (che riveste di Messico “The Legend”), non possiamo non citare Emmylou Harris, Rosanne Cash, Rodney Crowell e Shooter Jennings (sì, il figlio di Waylon) alle prese con alcuni classici del songbook del texano.
Sorprese dal “gladiatore” Russell Crowe con la bella “Darby’s castle” e dalla cantante latina Marta Gomez che giustamente rilegge “The circle”, una canzone che tratta il dramma dei tanti desaparecidos dell’America del Sud.
Pollice verso invece per Lloyd Cole (di cui del resto si sono perse tracce dai tempi di “Rattlesnakes”) e specialmente per tal Brian McKnight che compie improbabili forzature vocali per rendere “Me and Bobby McGee” (cioè, non un pezzo qualunque) un accattivante R’n’B (o come diavolo lo chiamano).
Chiude il disco un demo inedito del 1970 dello stesso Kristofferson, con un’appropriata “Please don’t tell me how the story ends”.
Altri 70 di questi anni, Kris!

Massimiliano Larocca