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Si conclude il Pistoia Blues 2007
Sul palco un Joe Cocker in forma segue le esibizioni di Danny Bryant e Andy J.Forest.
PISTOIA, PIAZZA DUOMO, 15 Luglio 2007
Il Pistoia Blues chiude l’edizione 2007. Nelle serate precedenti si sono avvicendati grandi artisti come Jeff Beck, Patti Smith, Gregg Allmann e John Mayall.
La chiusura troverà tuttavia delle ottime ragioni per farsi ricordare e non solo per la presenza, titanica, di un Joe Cocker in buonissima forma.
Apre il concerto un bluesman istrionico e talentuoso: Andy J. Forest. Travolgente con la sua armonica Andy J. porta sul palco la scena di New Orleans, quella sconvolta e allo stesso tempo ispirata dal disastro umano e culturale provocato dall’uragano Katrina. Lo fa tuttavia senza melodrammaticità, ma anzi divertendo il pubblico. Perché fin da subito Forest si rivela una sagoma, un simpaticissimo animale da palcoscenico. Lo aiuta il supporto di una band di talento. Soli di armonica, chitarra elettrica, tastiere e percussioni elettrizzano una piazza che va lentamente riempiendosi.
In tempo per assistere all’esibizione successiva. Sale sul palco Danny Bryant, giovane chitarrista inglese, accompagnato dalla Red Eye Band, dove, al basso, figura suo padre Ken. L’apparenza iniziale inganna. Danny, non esattamente un fuscello, lascia perplessi; pingue, rosso in viso, sbuffante e accaldato dà l’idea di crollare da un momento all’alto. Anche la prima parte di esibizione non emoziona, la tecnica c’è, ma sembra un compitino svolto, e i pezzi cose risentite. È un crescendo però. Danny è un diesel, dopo 10 minuti di quello che possiamo chiamare riscaldamento si esalta. Le manine, su cui non avresti scommesso un soldo, si divorano lo strumento. Girl Of The North Country, dove duettavano Dylan e Cash, diventa un lunghissimo ed esaltante inno blues. E poi quella chiusura, quella chiusura con cui, in uno sfoggio di repertorio forse furbetto ma di sicuro effetto, Danny si conquista l’amore di un pubblico rapito. Per Elisa alla chitarra elettrica, mentre una distorsione porta il suono verso le tonalità dell’organo, solo elettrico, chitarra dietro la schiena e per chiudere due o tre note con i denti, mangiandosi letteralmente le corde. Furbetto sicuramente, ma il ragazzo ci sa fare, e gli applausi tributati sono tantissimi.
Cambio palco e imprevisto, Joe Bonamassa è in ritardo da Rotterdam, si esibirà Joe Cocker. Per Bonamassa è un mezzo disastro. Il giovane e talentuoso artista suonerà a tarda notte di fronte a un pubblico piuttosto stanco, appagato e dimezzato. I suoi pezzi, tra blues e rock, non troveranno purtroppo un clima ideale.
Clima che trova invece Joe Cocker. Quando il “cane pazzo” sale sul palco l’ovazione è di rito. A 63 anni Cocker è un po’ imbolsito, la sua air guitar, moda di cui è stato tra i precursori, non va spedita come un tempo. Ma la voce è sempre quella, inconfondibile. È la voce maledettamente romantica degli anni ’80 quelli di You Are So Beautiful, quella di Ufficiale e Gentiluomo in Up Where We Belong.
Ma Joe ha anche altri validi assi nella manica. Futilmente ma non troppo è l’unico artista blues, e forse anche rock, in grado di far spogliare una piazza sulle note di You Can Leave Your Hat On.
Inoltre è sempre e comunque il re delle cover. Quelle di talento, quelle che esprimono l’amore per l’originale e talvolta lo migliorano. Ne sa qualcosa John Fogerty, a cui l’artista dedica Long As I Can See The Light, ripresa dall’ultimo album Hymn For My Soul, e I Put A Speel On You. Ma soprattutto ne sa qualcosa il signor McCarthy. Sono passati quasi 40 anni da quell’estate e da quel palco di Woodstock, ma With A Little Help From My Friends è ancora oggi uno dei pezzi il cui ascolto emoziona di più. È la cover delle cover, quella più famosa dell’originale. È la canzone della vita, per Cocker come per i suoi fan accorsi a cantarla a Pistoia. La band c’è, le coriste ci sono, la voce è intatta e sono sei minuti da sogno, il culmine di uno show lungo e generoso. Il “cane pazzo” si congeda. In Piazza Duomo il pubblico cala velocemente. La serata continua, ma un’esibizione per certi versi così ingombrante mette idealmente la parola fine sul festival.
Matteo Vannacci
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