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Jim Carroll, Paura di sognare
Frassinelli, 2005-03-21

www.catholicboy.com



È da poco uscita in traduzione italiana una raccolta di poesie di Jim Carroll,Paura di sognare, un’interessante scelta che copre il decennio ’80-’90.La foto di copertina racconta già molto : il primo piano di un uomo con l’eterna espressione del ragazzino cresciuto troppo in fretta, lo sguardo ironicamente duro di chi si è trovato ad attraversare anni e esperienze destinate alla pura leggenda metropolitana. Autobiografia a parte, Jim Carroll è a tutt’oggi un’icona della cultura post punk nonché un artista a 360 gradi. Poeta,di arista, rock star e performer di spokenword, senza contare le sue apparizioni in album di altri artisti e in alcuni film. La scena in cui è nato e cresciuto è quella della New York città d’elezione per gli ultimi cinquanta anni e oltre in fatto di ricerca espressiva tout court, dalla musica alla scrittura all’arte. Per Jim Carroll sono le strade e i parchi di Manhattan – luoghi deputati per incontri, scorribande, sballi – e contemporaneamente sono la St. Mark’s Church nella Bowery, le gallerie sulla decima e il Lower East Side. L’altra scena fondamentale per la sua vita è la Clifornia della Bay Area, dove negli anni ’70 si disintossica definitivamente e approda alla musica formando la sua band e tenendo i primi concerti. Ma sarà in seguito New York a costituire la perfetta dimensione spazio-temporale per dare corpo alla creatività. I suoi compagni di percorso, sia artistico che esistenziale, si chiamano Patti Smith, Robert Mapplethorpe, John Asherly, Tom Verlaine, Richard Myers : un ambiente ricco di scambi e collaborazioni come quella speciale scenografia richiedeva. Così negli anni ’80 escono i tre album della “Jim Carroll band” per la Rolling Stone Records e le prose dei Basketball diaries per la Bantam. I due sentieri creativi si svolgono paralleli e d’altra parte non sembra esserci per lui un confine netto e preciso fra musica e letteratura, quando lui stesso afferma : ‘ lo studio di Henry Miller su Rimbaud è stato per me il grande fattore per entrare nel rock.’ Le cronache di questi anni ci vengono fedelmente raccontate nei Diaries (Jim entra nel campo di basket e Jim ha cambiato strada, editate sempre da Frassinelli), mentre quest’ultima uscita Paura di sognare ci conduce in una sorta di viaggio interiore nel cuore e nella mente di Jim Carroll. Senza dubbio le presenti traduzioni sono il tassello che mancava per delineare il lavoro di un artista tutt’altro che riconducibile a un solo movimento, a poche suggestioni da elencare sommariamente. Il ritratto che ne esce è stupendamente poliedrico e a tutto tondo, sia per le immagini che per le soluzioni linguistiche (peccato soltanto che questa edizione manchi del testo a fronte, che ci avrebbe consegnato anche lo stile originario di una scrittura efficace quanto suggestiva). Paura di sognare si apre con the book of nods (il libro degli sballi), una serie di poemi in prosa che associano elementi di fiction con autobiografia e surrealismo; a seguire troviamo le variazioni newyorkesi, una sezione essenzialmente poetica. E se nella prima parte l’autore annota un intero immaginario di alterazioni psichiche, nella seconda si abbandona a un lirismo mai intellettuale e piuttosto scandito come una ballad. E questa altro non è che la pratica del suo modo di vivere la poesia, di come si tenga lontano da una scrittura destinata solo agli addetti ai lavori, di quanto si lasci guidare dall’emozione piuttosto che dall’intelletto. Ancora una volta è la strada suggerita da Henry Miller o, come lo stesso Carroll ha dichiarato, indicata dalle canzoni-poesia di Dylan e di Phil Ochs. Importa qui ricordare un altro nome tutelare per la sua scrittura, un tributo che si avverte in questi testi così quotidiani e al tempo stesso così universali. Si tratta di un altro newyorkese di rilievo, quel Frank O’Hara al cui stile Jim ha accordato l suo e che ha influenzato un’intera generazione di poeti e pittori. Allora questo variazioni newyorkesi è alla fine un altro quadro di quel ‘mondo senza gravità’ da lui cantato nell’album Catholic boy, un mondo fatto di angeli e rovine, di sogni e incubi… ”guardo alla mia generazione/ e sogno in esplosioni di idrogeno/ dove i residui di tutte le mie notti/ si trasformano in stelle/ il processo è un cerchio, è geniale e funziona/ mentre il collasso finale di soli morenti ne culla di nuovi alla vita.”
Chiude questo volume una scelta di testi che arrivano ai primi anni ’90, fra cui alcuni presenti anche nell’album di spoken word Praying mantis – apparso nel ’91 per la Giant Records. Non manca altro per completare un’attività artistica rivolta in più direzioni, da quando Jim Carroll ha cominciato a frequentare la St. Mark’s Church per i readings a fianco di Allen Ginsberg e di Patty Smith. In Praying mantis avevamo ascoltato la voce del poeta scandita e pulita, priva di qualsiasi sonorità musicale di accompagnamento. Le stesse poesie in traduzione si presentano in tutta la forza della parola. Come dire che Jim Carroll è un poeta a prescindere da ogni contaminazione abbia intrapreso per la sua arte e che i vari percorsi in cui si è avventurato finiscono per ruotare intorno alla parola pura. E all’interno di ogni composizione c’è sempre il “tredicenne, grazioso, bianco” con la paura di sognare e il terrore di svegliarsi troppo tardi. Davvero non possiamo che incontrare lui e nessun altro. “Then turn up the volume – scrive Jim Carroll – all the way/ until you are facing me/ eye to eye.”

Elisabetta Beneforti


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