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Joush Rouse: Nashville
(Ryko)
www.joshrouse.com
Josh Rouse stops living in Nashville an leaves for Altea ( Spain ) but dedicates his wonderful latest album to the American city. Great songwriting with a brit pop flavour which will surely make its way through the English audience
Che bel disco ha realizzato Joush Rouse lasciando la sua seconda patria, Nashville, dopo dieci anni di residenza nella capitale della country music e un matrimonio spezzato. Un album dall’ampio respiro con cui ha salutato l’America, adesso Rouse vive ad Altea in Spagna, e per niente intriso dal sound che usualmente siamo soliti collegare all città del Tenneessee. Rouse, dopo l’ottimo “1972” e l’interessante “Under Cold Blue Star” era per molti uno di quei personaggi da tenere davvero sott’occhio e dal quale ci si aspettava molto. Grazie anche alla complicità del produttore Brad Jones, per niente invadente ma determinato affinché Josh tirasse fuori solo della bella musica, Rouse forse consapevole che non c’era proprio più niente da perdere a Nashville ha messo insieme il suo album migliore: 10 storie in forma canzone di una Nashville che non conosciamo, di una capitale vista dal dentro, da quelle trame che soffrono a venire alla luce del giorno. Ecco allora un disco dai toni inglesi si può parlare di un brit pop cantautorale? che svetta in brani come “winter in the hamptones“, “my love has gone“ e rimanda dritto alla musica di grande band come i sottovalutati Prefab Sprout. In “Nashville“ di veramente nashvilliano c’è davvero poco e anche strumenti come pedal steel guitar o mandolini assumono un valore differente. Qui è lì spunta un amore profondo di Josh Rouse e Brad Jones per Neil Young (“saturday“ con il suo tempo di batteria alla “out on the weekeend”, la successiva “sad eyes“ con il piano che riporta a “after the gold rush“) preso dal produttore ad esempio per il disinteressa verso la discografia e per quella forma di understatement che attraversa la musica del canadese. Josh piacerà molto in Inghilterra ma non riusciamo a immaginarlo sfondare nel mercato americano soprattutto per un sottile e trasversale sapore glam e camp che qui e lì esce all’improvviso in primo piano e che lo rende ancora più originale e imprevedibile ( il finale di “ sad eyes “). Piuttosto inutili gli ultimi due brani della raccolta che non aggiungono niente al già ascoltato.
Certo, sarebbe straordinario se facesse un botto magari proprio a Nashville. Magari talmente grande da doverlo obbligare a riprendere casa laggiù, forse due passi da quella dell’ex moglie. Will the circle be unbroken ?
Ernesto de Pascale
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