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UN RAGAZZO PERBENE
Eravamo intorno al ’70, l’anno preciso non lo ricordo, ed era da poco iniziato il mio apprendistato come editore musicale.
Il mio capo, per farmi fare esperienza, volle portarmi al Midem di Cannes, allora un avvenimento di grande rilievo nell’ambito musicale che dava la possibilità agli operatori del settore di incontrarsi, parlarsi, proporre e scambiare produzioni e canzoni senza essere costretti a svenarsi in viaggi lunghi e non sempre fruttuosi nei vari angoli del mondo.
Una sera decidemmo, io e un collega di un’altra società, di andare dopo cena in un bar a berci qualcosa.
Ci sedemmo a un tavolino, ordinammo e dopo un po’ notammo un giovane che entrava, jeans e maglioncino scuro attillato, capelli corti e occhiali rotondi alla moda .
Dava l’impressione di una naturale raffinatezza e, con quella sua aria da ragazzo perbene, era l’esatto contrario di quello che allora i musicisti e i cantanti volevano apparire facendo a gara a chi fosse più stracciato, trasandato ed arruffato: insomma, tutto si poteva pensare di lui, fuorché fosse un artista.
Si avvicinò al banco del bar, si sedette su uno sgabello e bevve un drink guardandosi un po’ in giro, poi se ne andò, tranquillamente come era venuto.
Il mio amico mi spiegò che era un inglese di cui si dicevano meraviglie e la sera dopo avrebbe tenuto il suo show al teatro vicino, anzi, se volevo un biglietto avrebbe potuto procurarmelo.
Lo ringraziai e declinai l’invito: il giorno dopo avrei avuto diversi impegni e la sera prevedevo che sarei stato stanco, così preferivo andare a dormire presto.
Qualche mese dopo mi detti dello stupido un miliardo di volte.
Il ragazzino perbene che non sembrava neanche un artista si chiamava Elton John e il suo disco era una delle cose migliori uscite negli ultimi anni.
La sua influenza fu tale che in quel periodo nessun pianista o tastierista di gruppo pop poté esimersi, nei pezzi lenti e nelle ballads, dall’accompagnare “alla Elton John”, con gli accordi appoggiati su ogni quarto, un must per essere moderni.
Ma è chiaro che gli elementi che contavano di più erano la voce splendida e particolare di Elton e le sue fantastiche canzoni, di chiaro stampo anglosassone ma con una marcia melodica in più, completate dai bellissimi testi di Bernie Taupin: uno di quei connubi che nella storia della musica avvengono una volta su un milione e danno frutti eccezionali che resistono alle mode e al tempo.
Your Song, Crocodile Rock, Rocket Man, Daniel, Sixty Years On, ecc., come dimenticare queste e tutte le altre grandi canzoni degli inizi, seguite poi ogni anno da album che sempre lasciavano il segno?
Ma la sorpresa per me fu il vedere la trasformazione, davvero inaspettata, del giovane apparentemente riservato ed elegantino in un animale da palcoscenico con occhiali incredibili, abiti sgargianti, parrucche improponibili, divertente e ironico come solo un grande sa essere.
Poi, si sa, il successo oltre misura porta anche ad eccessi e non ci fu articolo su Elton John che non parlasse delle sue stravaganze, dei suoi particolari orientamenti sessuali, dei milioni di sterline buttati in capricci, case, vestiti e, perché no, in cocaina.
Può essere che tutte queste cose abbiano determinato, negli ultimi anni, il calo di creatività che molti hanno attribuito alla inesorabile legge del tempo che passa: uno invecchia e perde voglia e freschezza, specie poi se di soldi ne ha da buttare e non ha più nemmeno lo stimolo di migliorare il proprio tenore di vita.
E invece no, perché gli ultimi due album ci ripropongono Elton al meglio, di nuovo grintoso e con un’ispirazione da ventenne.
Ha fatto sapere pochi mesi fa che intenderebbe sposare il suo compagno David Furnish.
Se riuscissimo ad entrare nell’ottica della sua non ortodossa visione delle cose sessuali forse potremmo arrivare ad ipotizzare che, come il libertino che a una certa età decide di accasarsi perché stufo del disordine mentale che alla lunga la troppa libertà porta, Elton ha deciso di mettere la testa a partito.
E magari potrebbe ritornare a vestirsi sobriamente e a sfoggiare occhiali quasi invisibili.
Tutto può essere: l’importante è che rimanga musicalmente lo stesso di oggi.
Rinaldo Prandoni
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