. Lester Bangs - Deliri, desideri e distorsioni

Lester Bangs - Deliri, desideri e distorsioni
(minimum Fax, 2006)
Titolo originale “Mainlines, Blood Feasts, and Bad Taste” (2003)
www.minimumfax.com



“Deliri, desideri e distorsioni” non eguaglia il precedente ”Guida ragionevole al più frastuono più atroce”(Minimum Fax, 2005, titolo originale” Psychotic Reactions and Carburetor Dung”) per il semplice motivo che quello venne compilato in tempo non sospetto e permise al curatore di esso di raccogliere in prima scelta i migliori scritti di Bangs. “Deliri, desideri e distorsioni” soffre di essere arrivato secondo. Fra i migliori scritti: quello dedicato a Captain Beefheart, “Captain Beefheart è tutto speciale”(pagina 179),quello dedicato a “Metal Music Machine” di Lou Reed, ”Monolite o Monotono”(pagina 204) e fra i ricordi di viaggio, “La California”(pagina 324).
Paragoni a parte, resta pur sempre Lester Bangs, quindi assolutamente da leggere. Poi, dopo aver assimilato e aver intanto imparato perfettamente l’inglese e ogni suo slang, dimenticare tutto, e andarsi a comprare gli originali. E’ lì che comincia lo spettacolo del vero Lester !!!.

Ernesto de Pascale

In occasione della pubblicazione di “Deliri, desideri e distorsioni”(“Mainlines, Blood Feasts and Bad Taste”, una raccolta di scritti di Bangs di differente provenienza temporale che include anche appunti e diari recuperati dal fondo a lui dedicato, Il Popolo del Blues ripubblica “Vivere e Morire da Lester Bangs”, un ricordo di due incontri casuali di Ernesto de Pascale con il più incredibile scrittore rock d’America.

Vivere e morire da Lester Bangs

Amato e odiato dagli artisti, criticato dai colleghi, portato sugli scudi dai discografici e poi scaricato, il giornalista rock Lester Bangs non era un uomo destinato a raggiungere i quarant’anni, morì nel 1982 a soli 32. Era umorale, permaloso, alla costante ricerca di conferme e di una donna da amare ma quando ne conquistava una – più per il suo fare da orsetto lavatore che per vera ars – era in grado di perderla in un batter d’occhio.
Si gettò a capofitto nel punk con la passione di un bohemien, per diventare solo un’altra death casualties in una lunga lista che nel 1982 recitava nomi più importanti di lui.
Quando morì, per un mix di droghe sbagliato, qualcuno, addirittura, tirò un respiro di sollievo: ”Les ha finito di farsi male” disse il più giovane collega Cameron Crowe, oggi regista di successo, che lo ricorderà con affetto in un film sulla vita “on the road” di una band sudista degli anni settanta accompagnata in tournée da un critico rock, sorta d’autoritratto del nostro, “Almost Famous”.
Quando se ne andò l’allora già più autorevole critico Greil Marcus stava terminando di preparare un volume “Psycotic Reaction & Carburator Dung: The work of legendary critic: rock & roll as literature and literature as rock & roll “ che avrebbe visto la luce solo nel 1987 dalla newyorchese Alfred A. Knopf, un libro che se Lester fosse rimasto in vita non avrebbe mai permesso la pubblicazione, nonostante l’avesse ipotizzata da vivo.
Il motivo ? Bangs considerava Marcus un reazionario ....

Il più giovane Jim De Rogatis ha pubblicato nel 1999 fa “Let It Blurt : the life and times of Lester Bangs, America’s greatest rock critic “ ( Broadway ) e da allora si sono riaccese vecchie polemiche intorno a Bangs.

Quando qualche anno fa mi avvicinai a Lou Reed per mostrargli il libro appena pubblicato da De Rogatis il suo risentimento trasparì senza alcun dubbio sul suo viso inespressivo:
“ Lester mi rese la vita difficile sin dai giorni dei Velvet – mi disse senza intonare la voce - sembrava che qualunque cosa io facessi non fosse di suo gradimento. Io ero ancora giovane e non in me e mi feci trascinare in un vortice oserei dire... personale che terminò solo con la sua morte, come se un lato oscuro dei miei dischi fosse stato realizzato solo ed esclusivamente a suo appannaggio. Capisco che può suonare weird, ma credo che ogni artista per parlare a molti si concentri su un punto dell’Universo - ne dibatteva anche Harry Miller - ecco...Les era il mio punto! E in più lui – continua Lou prendendo un tono mai sentito prima nella sua voce - mi massacrava più io scavavo dentro di me. Il nostro punto comune di non ritorno ? senza dubbio “Metal Music Machine “! : Credo che Les lo ritenesse il più grande album della storia della musica...Io ?.... Beh ! ...non ho imbarazzo a ricordarlo...per altri miei dischi invece un po’ di imbarazzo lo avrei...”.

Ma allora, chiedo a De Rogatis che intervistò Lester per la sua tesi sul giornalismo musicale in America dall’epoca del Rolling Stone al Punk, solo 15 giorni prima di morire, chi era veramente Lester Bangs ?
“ Non avrei dubbi a dirti – mi dice senza imbarazzi – che certamente non era un punk, solo a guardarlo te ne rendevi conto! Lui odiava la cultura hippy e se Lenny Kaye compilò nei primi settanta quella che si rilevò essere la prima e ancora insuperata grande opera sulle radici rock pre psichedeliche, “Nuggets” (Elektra, 1972 – 1973 ) il meritò fu solo suo e di “Creem” magazine, il primo vero antagonista serio di “Rolling Stone”. Eppure Lester Bangs, nonostante il suo amore per il punk primordiale – da MC5 a Alice Cooper a Electric Prunes - aveva un forte spirito da figlio dei fiori... certo, aveva frequentato il Rolling Stone, da dove se ne scappò ancora prima di Ben ( Fong Torres ) per riunirsi a i suoi compagni di liceo che avevano aperto il “Mad” della musica rock, “Creem”, eppure quello spirito era una parte inscindibile del suo carattere”.

Continua Jim De Rogatis:“E’ infatti fuori di dubbio per praticamente tutti i critici rock americani “adulti” che proprio alcuni articoli per Rolling Stone risultano ancora oggi epici ed indimenticabili per il tono spaurito e onesto, deciso ed inflessibile ma mai acido, tipico di chi aveva vissuto l’avvento dell’estate dell’amore. Alcuni esempi ? il reportage su Altmont pubblicato il 21 Gennaio 1970, in cui si scagliò pesantemente contro il sistema, oppure l’Elegia per un Angelo Desolato ( Eulegy for a Desolation Angel), obituary per la morte di Kerouac pubblicato il 29 Novembre 1969, o ancora uno dei suoi più bei (pezzi) che ricordava sempre con affetto e cioè la recensione di “ Moondance” di van Morrison pubblicata il 19 Marzo 1970 o quella di “Hot rats “ di Zappa di soli 15 giorni prima. Articoli che, nonostante il successivo rifiuto per l’epoca del flower power restituirono a Lester un alone di purezza che gli anni del punk e di New York, dove morì e dove viveva dal 1978, non riuscirono a cancellare”.

Viene spontaneo chiedere a DeRogatis se Bangs avrebbe potuto continuare a scrivere, a vivere di musica o semplicemente a vivere negli anni che separano la sua morte da oggi.
“ Non penso proprio – afferma certo il giornalista di Jersey City – in questo Lester era come Sid Vicious – autodistruttivo – o Ian Curtis – non self confident – inoltre quando lo incontrai era ridotto veramente male. Connetteva poco, beveva come una spugna e ogni volta che beveva si scusava con noi, che lo incontravamo per la prima volta. Non si vergognò a dire di sentirsi terribilmente solo. Ci fece pescare da una cassetta di frutta piena di dischi tutti quelli che volevamo e ce li regalò...io avevo quasi il terrore a uscire di casa sua con certi singoli che oggi valgono una fortuna....mi ricordo che salutandoci ci chiese se sapevamo di qualche altro lavoretto intorno di qualunque tipo, “anche non di musica” disse....per me fu uno shock...trovarmi dinanzi all’uomo che più aveva influenzato il mio modo di scrivere e vederlo ridotto così...decisi che non mi sarei mai voluto trovare nella mia vita in uno stato dl genere....”
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Vediamo di farci spiegare cosa aveva di tanto speciale Il modo di scrivere di Lester.
Dice DeRogatis: “...era... unico! Era uno stile che usciva in prosa fluente con immagini forti e la capacità di dire tutto senza girare intorno. Lester sceglieva di scrivere esclusivamente di ciò che gli interessava, che non vuol dire che si dedicava esclusivamente a dischi e artisti che fossero di suo piacimento ma che significa scegliere un tema o un artista e trattarne in maniera decente, approfondita, autorevole e intoccabile da chiunque altro. Questo suo modo di approcciare l’artista, o il tema che fosse, lo rendeva unico. Forse impauriva qualcuno ( Lou Reed forse ? ) e lo rese fin da subito singolare in un ambiente che si deteriorò presto e perse giovane la propria identità”.

Era odiato per questo ?
“ Era odiato per altri motivi – ci spiega De Rogatis – e molti erano motivi personali. Devi pensare che era un periodo in cui la critica rock stava nascendo, i critici erano pochi e sparpagliati per l’America, eppure si conoscevano tutti perché confluivano tutti negli stessi posti. Poi c'erano le solite storie di droghe e di bevute e le storie di donne (Bangs ne divise numerose con altri critici, non solo statunitensi ) che sono tipiche soprattutto di chi ha vent’anni. Ma quello che veramente lo distingueva dagli altri era il suo modo di “Sentire” la musica...”

Bangs, infatti, proprio a New York tentò la carriera di cantante di punk rock, con risultati poco edificanti.
“ Chi lo conosceva da molti anni – continua l’autore del volume – afferma che questa mancanza di successo fu uno dei motivi del suo deterioramento psichico. Ad un certo punto si spostò in Texas, a casa di Billy Gibbons dei Z.Z. Top – che conosceva dai tempi dei “Moving Sidewalks” – perché sentiva la scena punk di Austin più interessante di quella di New York City dove tutti avevano perso considerazione di lui come essere umano e dove l’unica fonte di sopravvivenza erano gli articoli per “The Vilage Voice”. Cercò di mettere in piedi una band ma le cose presto andarono a rotoli. Era un attacca brighe...poor Les.....Ecco, riuscì a farsi cacciare anche da Gibbons che, credetemi, è ancora oggi, nonostante il grande successo ottenuto dal suo gruppo negli ultimi venti anni, un tipo veramente molto alla mano...”.

Eppure a New York Lester Bangs suonò più o meno con tutti i massimi esponenti del punk di allora ?
“ Questo – risponde deciso e senza esitazione alcuna De Rogatis - ritengo sia accaduto a causa della meschinità che ancora aleggia fra gli artisti. Loro pensano di aver bisogno di te e non ti diranno mai di no. Se ti fanno un favore poi aspettano il momento di averne uno in cambio. Anzi, oggi è molto peggio di allora...in fin dei conti Johnny Thunders voleva solo cocaina !...a lui delle buone recensioni non interessava poi tanto, neanche delle royalties...”.

De Rogatis - a suo parere - Marcus nel compilare la raccolta di articoli “Carburetor Dungs “ compì un’azione discriminante verso Bangs e la sua opera ?“ Assolutamente sì. Nel certificare la sua grandezza si cercò di zittire certe sue istanze. Lo si fa anche per gli artisti, più ancora che per i critici “.
Eppure quell’opera ha un suo senso...
“E’ vero. “Carburetor Dungs” ò un volume che si fa leggere. Poi molti artisti, da Joe Strummer a Chrissie Hynde, hanno continuato a parlare a lungo di lui, poi ci colleghi che lo hanno riscoperto col tempo...una opera importante nei suoi confronti la si deve al britannico Nick Kent, che oggi vive a Parigi, e che io considero “l’anima nera “ di Lester Bangs”.

E il suo tentativo, peraltro riuscito a mio parere, in cosa è consistito?
“Nel raccontare l’uomo e la sua natura fallace a partire dalla sua adolescenza in una famiglia guidata da una madre Testimone di Geova. Volevo descrivere Bangs per descrivere un’America studentesca, quella della metà degli anni sessanta. Lester entrò al San Diego State Collage nel 1968, cresciuto nella sperduta provincia di San Diego, ElCajon, tutta sogni di rock & roll e Romilar. Lester una volta scrisse a proposito di quegli anni ( 1967 – 1968 )” comprare dischi per me era un forma di espressione artistica personale, era come se li avessi suonati io solo perché li avevo acquistati, era un atto preciso con connotazioni precise. Era una terapia” e continua “ Lester era come molti altri suoi futuri colleghi ed artisti coetanei, o come era stato lo stesso Elvis poco più di dieci anni prima, il frutto della provincia. La provincia che aveva il sopravvento sulla grande città “.

Mi pare di rintracciare in questo volume anche una vena polemica nei confronti del giornalismo musicale d’oggi, una categoria composta principalmente di personaggi da relazioni pubbliche, frequentatori di feste, amici degli amici di artisti, velinisti e roba simile...
“ La critica musicale inizia in America nel Febbraio 1966 con la nascita di “Crawdaddy” che si definiva a magazine of rock & roll criticism - dice De Rogatis . Nel numero otto di quella pubblicazione Paul Williams pubblica uno scritto, ricevuto per posta, da un tale Richard Meltzer, studente di filosofia cacciato da Yale University, “The Aestethics of Rock “. Da allora in poi è tutto un fiorire: Richard Goldstein con la sua rubrica “Pop Eye” su Village Voice, Robert Christgau sul bimensile newyorchese “Cheetah”, Greil Marcus sui giornali universitari underground di Berkeley. “ Quando The New York Times pubblica la recensione del nuovo album dei Beatles è chiaro – affermerà Williams – che la critica rock esiste e che gli artisti, i produttori e le case discografiche dovranno fare i conti con essa”. Ecco – conclude DeRogatis – questa è la miccia che ha dato vita al mio libro su Lester Bangs, la motivazione alla base di tutto: una volta il critico musicale aveva un ruolo creativo ed antagonista, non compiacente né concordante, e quel ruolo gli era, in qualche modo riconosciuto, anche se – come nel caso di Lester Bangs – il viverlo in prima persona avrebbe significato farsi portare fino alla fine della strada pur di non tradirlo”.

Conclude Jim De Rogatis: “ Ditemi voi chi oggi mai si sognerebbe di diventare critico rock solo spedendo un articolo a una rivista e continuando a farlo per ben due anni ma, attenzione, senza mai né una telefonata né una visita in redazione, fino a che qualcuno, dall’altra parte tu non ti decida a tirar su la cornetta per provare a capire chi sei, cosa ti ha mosso, tu, un qualsiasi ragazzo o ragazza, in una qualsiasi provincia del mondo, a insistere così tanto? Una volta la si chiamava fede cieca nel rock, era un modo di dire che sentivo dire dai ragazzi più grandi all’università. Adesso nessuno usa più quella frase. Forse Bangs morendo se la portò appresso....”

Ho incontrato due volte Lester Bangs: la prima volta nell’estate 1981 al Palladium di New York City, durante il concerto di Rockpile, la band di Nick Lowe e Dave Edmunds. Bangs questionò per tutto il tempo del set d’apertura di David Johansen, ex cantante dell New York Dolls, dalla platea, tacciando Johansen di essere un “venduto” e additando il suo nuovo disco di allora, “In Style” come “canned shit” (merda inscatolata). Ma Johansen, very smart man, lo sommerse letteralmente tornando sul palco per un bis infuocato di “Personality Crisis”, accompagnato dal vecchio compagno d’avventure dei Dolls, Syl Sylvain, ed indossando la mitica maglietta rosa con la scritta New York Dolls di strasse argentati ad una sola spalla.

La volta dopo, incontrai Bangs ad una festa di non ricordo chi, né dove, di certo non più a nord di Canal Street, qualcuno mi fece notare che era lui.
La musica era di merda e Lester stava sbracato su un sofà, una bottiglia di qualcosa in mano. Spesso dormiva e russava, ogni tanto tornava in azione e lanciava epiteti e bestemmie. Cercò di tirare a sé una ragazza, senza riuscirci. Ogni tanto parlava sbracciandosi verso il giradischi e capì che stava consigliando a chi passava di lì alcuni gruppi Greci di Punk, i cui nomi mi sfuggirono al momento e che, ritengo, conoscesse solo lui. Poi, preso da un raptus, Bangs iniziò a ballare da solo. Mi parve bravissimo; azzeccava il ritmo, i passi a scatti, le giravolte, aveva una postura perfetta. Infine, dopo breve, forse neanche il tempo di una sola canzone, si accasciò al suolo e nessuno si prese cura di lui per un bel po’.

Dopo poche settimane, lessi che ci aveva lasciato.

Mi venne voglia di vomitare ma mi trattenni.
Mi capita quando se ne vanno personaggi che mi hanno particolarmente influenzato. Avevo capito già da un pò che le rock star potevano anche morire ma non avevo ancora accetto che i critici potessero andarsene così presto.

Camminai solo fino al CBGB’s, sulla Bowery, forse il posto più consono per celebrarlo all’epoca, per vedere se incontravo qualcuno che mi potesse tirare su.

Ma nessuno poté fermare la mia infinita tristezza.

Ernesto de Pascale

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