1967’s live set cd debut by Don Ellis’s Orchestra on the edge of making it to the big time. Exhilarating!!!
Don Ellis rappresentò bene il musicista hipster della scena jazz anni sessanta: ogni cambiamento lo eccitava istigando in lui nuove fantasie. Pur non celebre fuori dagli Stati Uniti d’America, Don Ellis ebbe dei meriti che sono giunti intatti fino ai nostri giorni: seppe unire su un impianto fondamentalmente beat, al passo con le istigazioni dei locali da ballo dell’epoca, lo swing duro del bop tardi cinquanta a quei sapori indiani tanto di moda alla metà del decennio in corso.
D’improvviso Don Ellis divenne un musicista ricercatissimo e di moda.
Lui, per tenere fede alle richieste di un pubblico più giovane e ricercato, rivoluzionò la sua big band, inventandone di sana pianta una nuova che comprendesse al volo le nuove richieste, si lasciò alle spalle la prestigiosa Pacif Jazz, una illustre quanto volenterosa piccola etichetta californiana, per firmare un ottimo contratto con la Columbia di Clive Davis. La Columbia, da parte propria, lo affidò a un A& R d’eccezione, l’anziano, ma sveglissimo e hipster ben più di Don!; Jahn Hammond sr, il quale, a sua volta, con una mossa ancora più smart, lo “girò” a chi di queste cose ne capiva davvero, Al Kooper, musicista affidabile in un trend particolarmente positivo presso il prestigioso marchio.
Proprio vedendo in azione l’orchestra di Don Ellis, Al iniziò ad elaborare l’idea di una formazione con i fiati che travasasse ciò che Ellis faceva nel panorama pop rock dell’epoca con canzoni originali proprie ed altrui. Insomma, Blood, Sweat & Tears.
Ma Ellis era ignaro di tutto ciò; lui cavalcava l’onda del momento. Cominciò a essere il beniamino dei ballroom rock dove, in mezzo a tanti capelloni che frequentavano quei locali, nessuno aveva mai visto marziani del genere, in grado di far ballare la gente su tempi dispari e balcani.
La musica che, a onor del vero, nelle stesse sale proponevano i più radicali e folksy Kaleidoscope di David Lindley e Simon Feldthouse. Ma, come si sa, soprattutto in quell’epoca e con quegli additivi tanto in voga, la memoria faceva presto brutti scherzi.
In pochi mesi tutta l’America era eastern oriented. Gli increduli rimasti, intanto scettici fino a quel giorno si fecero infine convincere dai Beatles che avevano viaggiato per ritrovare la loro spiritualità fino in India. Gli scettici però, ed erano ancora molti, senza dirlo molto in giro, la continuarono a vedere come Ringo Starr che tese a prendere l’onda anomala come uno “svago”.
Svago che si concretizzò però come tendenza e mercato proficuo almeno fino al 1969.
Nell’isteria collettiva del momento Don Ellis si comportò con intelligenza ed arguzia: spostandosi su fronti i più disparati fra di loro compì un furbissima mossa e brevettò il quarto pistone per la tromba(lo strumento ne ha da sempre tre), quello che riesce a scansionare i quarti di tono, fondamentali nella musica eastern oriented. Dopo di ché, copiando di sana pianta, una formazione garage dell’area bostoniana, The Electric Prunes, si fece disegnare e manufare degli abiti con dei filamenti elettrici che l’orchestra indossava sul palcoscenico creando un effetto non dissimile da quello prodotto dai Kraftwerk nella loro tournee del 2004( ma guarda te!……). Solo più avanti si seppe che gli abiti erano stati pensati per The Monkees ma che Michael Nesmith, il meno scemo dei quattro, aveva posto il suo veto. Non a caso negli anni settanta avrebbe prodotto quei Kaleidoscope di cui sopra. E il conto torna…
Ellis insomma, chi era costui? Un innovatore a modo suo, un musicista meticoloso, scrupoloso, in grado di formalizzare nuove tecniche e corsi, amatissimo presso la UCLA, la University of California in Los Angeles.
A quest’istituzione si deve la pubblicazione del concerto ora su cd, che rappresenta un momento importante della carriera di Don Ellis e della sua orchestra, il passaggio dal jazz per pochi al jazz per molti.
Nel gruppo presente in questo “ Piece of Eight Live at UCLA “, pubblicato ufficialmente per la prima volta, esordiscono per la prima volta con l’orchestra alcuni nomi nuovi della scena dell’epoca come il sassofonista Tom Scott, che da lì a poco avrebbe inciso il suo primo album solista per la Impulse e poi prendere poi il volo nei settanta al fianco di Joni Mitchell con gli L.A. Express e lo straordinario bassista Ray Napolitan, un nome celebre tra i session men della città degli angeli.
I due citati sono la punta di diamante di un ottetto formazione inusuale per Ellis - funzionale alla performance, che eccelle in composizioni come “Blues for Hari” ( scritta da Scotto per il suo maestro buddhista ), “Turk’s Works” del celebre arrangiatore e produttore Arif Mardin, colui che per primo introdusse Ellis alla musica dell’Est nel 1962, e uno speciale trattamento del bellissimo standard “Lush Life “, in una versione unica nel suo genere per Tromba e Contrabbasso con l’archetto.
Coloro i quali non abbiano mai ascoltato Don Ellis e la sua iperbolica Big Band e, incuriositi, vogliano essere introdotti alla musica di questo stravagante gigante consigliamo i primi due album in studio per la Columbia “Autumn” e “Electric Bath”, vere gemme di un momento irripetibile nella storia della musica e di un certo jazz che guardava avanti.
Ernesto de Pascale
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Track list
DISCO 1:
1. Slippin' N' Slidin'
2. Sadness Shouldn't Go So Deep
3. Bali Dancer
4. With Respect To Coltrane
5. Pete's 7
6. Let's Go To Sleep
7. Blues For Hari
DISCO 2:
1. Milestones
2. It's A Snap
3. I Love Us
4. Squeeze, The
5. Lush Life
6. Turk's Works |