Good red wine in the old bottle

Ci ha messo circa 12 anni Kris Kristofferson a tornare sulle scene discografiche con un nuovo album che, prodotto come il precedente da Don Was, non fa che fortificare la sua statura cantautorale a più di 35 anni dagli esordi. Kristofferson non ha certo bisogno di dischi nuovi per spiegare chi è e anche se non avete mai sentito parlare di lui, basta guardarlo in faccia per leggere il libro della sua vita.
Kris Appartiene alla schiera di cantautori da cinema verité: Guy Clark, Townes Van Zandt, Jerry Jef Walker, artisti che hanno fatto tutto da soli inventandosi una alternativa al talkin’blues di Bob Dylan, una strada parallela alla organicità dei cantautori degli anni settanta, una scorciatoia allo stile hotennay di Pete Seeger, Cisco Houston e Woody Guthrie, senza perdere la bussola.
E’ solo la semplicità il segreto che fa grande “This Old Road” ? No, essa è una delle componenti essenziali della poetica di Kristofferson ma non basterebbe se non ci fosse una idea precisa della canzone che l’artista sviluppa in undici canzoni originali, brani che pare l’artista abbia voluto sviluppare con calma e parsimonia negli anni ma anche con la consapevolezza di volere, ancor una volta, fare il disco che voleva.
Bravo è stato Don Was a togliere piuttosto che ad aggiungere, in un album dove sarebbe stato facile scrivere e suonare degli arrangiamenti belli e funzionali alle canzoni dal sapore agrodolce che sono il pezzo forte dello stile di Kris Kristofferson. Invece Was ha lasciato che fosse proprio l’artista a guidare la partita con la sua chitarra. Il risultato è denso, pieno di significato per il disco, il migliore?, di un uomo che si mette ancora in gioco, che sa alternare fierezza e ironia. E tutto scorre come scorre il flusso della vita. “Pilgrim’s progress” e “final attraction” sono le due canzoni che svettano di una spanna sulle altre nove. Ma la definizione di “migliore” è nel caso di “This Old Road” limitativa e non rende giustizia in pieno a questo grande disco.

Ernesto de Pascale