. Bob Mosley - Bob Mosley

Bob Mosley - Bob Mosley
(Wounded Bird)
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1972’s solo album by Moby Grape’s former member Bob Mosley is their best in that decade

Alla pubblicazione del suo primo album come solista Bob Mosley, bassista fondatore dei Moby Grape era passato attraverso un numero già altissimo di vicissitudini per poter mantenere intatta la freschezza dello straordinario album d’esordio della band di cui faceva ancora parte e di cui ancora oggi, a 40 anni dall’esordio, si fregia di tenerne alto il vessillo. Bob Mosley nella formazione residente a San Francisco il cui punto di forza erano le armonie vocali a tre, a volte quattro, voci, rappresentava l’anima Rhythm & Blues. Dotato di una voce calda e potente e di uno stile compositivo chiaro e definito in quella direzione, Mosley era ed ancora è, uno che punta al sodo e tenta di arrivare al cuore delle cose e della musica. Il suo album solo del 1972 giunse a un solo anno di distanza da “20 Granite Creek” dei Moby Grape, l’ultimo album in cui si ravveda una certa unità di quella formazione e a cui partecipò anche il dimissionario e folle Skip Spence, anima geniale del gruppo. “Bob Mosley” mostra una solidità di fondo, Bob era forse preoccupato che il poco pubblico che ancora credeva nella formazione non restasse a lungo con quell’idea di vago che l’album per la Reprise del 1971 mostrava chiaramente. Ecco allora un disco che parte decisamente( “The Joker”), che si gioca la sua pagina migliore al secondo brano(“la splendida “Gipsy Wedding”) ma che non molla mai le redini, lasciando per la coda delle canzoni che richiamino ancora l’attenzione (“Gone Fishin’”, “So many troubles”).
Originariamente pubblicato dalla stessa casa discografica con cui i Moby Grape dovevano in qualche modo chiudere il contratto, la Reprise sussidiaria della Warner Brothers, e spacciato, sul nascere, come album del gruppo, “Bob Mosley” ebbe vita breve, sommerso dalla nuova onda del cantautorato californiano e non sorretto né da promozione, né da una vasta distribuzione né da grandi ospiti.
Nel disco scompaiono le lunghe cavalcate e le jam improvvisate del decennio precedente e che avevano fatto grande il San Francisco Sound e che riappaiono qua, editate, solo nella coda di “Squaw Valley Nils(Hocked Soul)”. L’album di Bob Mosley è, piuttosto, identificabile in quel segmento che nei primi settanta incluse, per le stesse ispirazioni soul, gli inglesi Humble Pie ma inequivocabilmente mellow and cool secondo la migliore tradizione della Bay Area. “Bob Mosley” va quindi ascoltato, per essere meglio compreso, spalla a spalla con gli album conclusivi dei Quicksilver Messenger Service, degli Stoneground di Sal Valentino o con quelli delle nuove leve rhythm & blues di Oakland quali Cold Blood o Tower of Power. Ci si soffermi su “Where do the Birds go” per immaginarsela cantata da Dino Valenti, da Lydia Pense dei Cold Blood se non addirittura da Steve Marriott degli Humble Pie. Qualcosa in comune con quegli artisti verrà perciò alla luce, un sottile filo rosso, e sarà più facile capire che Bob Mosley non era di certo una mosca bianca nel panorama generale dell’epoca. I primi anni settanta sono gli anni di una musica comunque più adrenalitica - essa va di pari passo con l’uso di sostanze stupefacenti chimiche - che, nel disco del fondatore dei Moby Grape, anche quando si guarda indietro e torna alle radici, come nel country rock di “Thanks”, non perde mai piglio e determinazione.
I Moby Grape, pur tentando in tutti i modi di sopravvivere a Matthew Katz, il manager che ne usurpò il nome fin dai primi giorni (la causa si sta concludendo in questi mesi), poco poterono in quel decennio e ancora meno in quello successivo. Erano,ormai, poco più che una bar band, una formazione straordinaria che, per sfortuna e poca furbizia, era stata inghiottita troppo presto dalla ruota del mondo discografico. Sarebbero tornati con un buon live (“Live Grape”)nel 1978 in cui mostravano ancora intatta la loro arte e l’amore di Mosley per il Rhythm & Blues veniva prepotentemente fuori, condiviso dagli altri. Nel 1972, dopo questo sfortunato album solista, Mosley tornò alla sua vita di musicista locale fino a che Neil Young non lo volle, per un periodo limitato ma intenso, al suo fianco. Si sarebbe aperta un’altra storia, un’altra avventura, di cui molti aspetti restano ancora conosciuti. Mosley avrebbe dovuto aspettare i nostri giorni per vedere ripubblicato un album che merita giustizia e pensare a un seguito. La ruota però continua a girare e questo è un segno di interesse esterno e di vitalità creativa che non va sottovalutato.


Ernesto de Pascale

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