Airy hippie folksinger, Fred Neil’s best musical partner in early sixties, at his best. This si his own comeback album, from 1969. Groovy stoned jazzy mood. Great.
Luminare della scena folk del Village a cavallo fra i cinquanta ed i sessanta, Vince Martin condivide con Fred Neil, suo partner nel disco Elektra del 1964 ”Tear down the walls”, un timbro tenorile che li rende riconoscibili e simili l’uno all’altro quando con naturalezza i due ”alzano” le canzoni spostandole decisamente dall’asse del folk tradizionale dell’epoca. Martin, poco più adulto di Neil, all’epoca con l’autore di “The Dolphin” aveva già insegnato l’uso della chitarra acustica a dodici corde, imparato a sua volta da Hamilton Camp, a una lunga sequenza di nuovi adepti dello strumento: Dino Valente (poi Quicksilver Messanger Service), Karen Dalton, Ritchie Havens, Taj Mahal, Len Chandler e, naturalmente, al più giovane Fred Neil. Giunto sulle scene prima di tutti i nomi citati, Martin fu uno dei primi a lasciare la grande città per la assolata Florida dove fondò una piccola comunità di hippies a Coconut Grove. Il luogo sarebbe diventato celebre pochi anni dopo per una canzone proprio di Neil, che avrebbe raggiunto Vince nei tardi sessanta, e, nei decenni successivi come luogo alternativo di villeggiatura di VIP.
Vince Martin registrò a Nashville, il luogo di maggior professionalità negli Stati del Sud per la musica che Vince proponeva, e sotto la produzione di Nick Venet, un manager celebre all’epoca per molti fatti e misfatti, un solo album per la Capitol records, un bel disco di folk con influenze jazz( si ascolti la lunga “Yonder comes the sun”), rimasto nell’anonimato e mai ristampato fino ad oggi.
Molte leggende sono state consumate intorno a “ If the Jasmine don’t get you…the bay breeze will”. C’è chi parlava di una collaborazione, non riportata nelle note di copertina, dell’amico Fred Neil – ascoltando l’album l’ombra del cantautore fa capolino…- mentre qualcuno parlava di un session “recuperata” da scarti d’altrui sedute. Il disco all’ascolto pare invece completo e propone una sua reason why : si conferma l’atmosfera libera e rilassata con spazi per le improvvisazione ma si denota una logica persistente nell’intero lavoro. I musicisti che parteciparono alle sedute di questo disco sono tutti nomi famosi del giro di Nashville ( Kenneth Buttrey, Norbert Putnam, Charlie Mc Coy, insomma Area Code 615 ), niente meno che gli accompagnatori di Bob Dylan in “Nashville Skyline”, disco, all’epoca, appena terminato, che partecipano alla seduta con una gran voglia di suonare e di “liberarsi” della atmosfera formale tipica della Capitale del Country.
Vince Martin fa il resto: canta senza freni e con una dote di hippismo che non guasta, non permettendo ai sessionmen d’avere la meglio su di lui per un risultato aereo e blueseggiante, etereo che si concretizza splendidamente nel brano finale, quello che dà il titolo all’album. Un disco che va inserito, di diritto, nella stessa categoria del solo album di Dino Valenti, del disco di Linda Perahcas, del disco solo di David Crosby. Un cantautorato che non tocca mai terra e ti tiene costantemente in volo. Ottimo per la mente e per staccare con il resto.
Ernesto de Pascale
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