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Todd Rundgren A Wizard A True Star
Hammersmith Odeon, London 06.02.2010
Per Todd Rundgren c’è sempre “something more” da offrire.
Lo afferma felice al termine dell’esibizione integrale di A Wizard / A True Star davanti all‘esultante pubblico giunto un po’ da tutta Europa all‘Hammersmith Odeon di Londra, esaurito in ogni ordine di posti, per ascoltare il quarto album solista - originalmente pubblicato dalla Bearsville Record nel 1973 - che il genio di Philadelphia suona per la prima volta nella sua interezza e complessità dopo poche date ben piazzate in America. Nonostante infatti che l’album all’epoca avesse raggiunto la 86esima posizione del Billboard il suo status era cresciuto esponenzialmente nel tempo ma dimenticato velocemente dall‘autore.
Wizard A True Star era e resta tante cose belle della musica dei settanta. Combina l’ambiziosità alla Beatles di Abbey Road (un medley dietro l’altro) con la mentalità zappiana del colpo di teatro (lo strumentale Flamingo sembra uscita da Hot Rats) al punto da creare il prototipo dello standard dorato del collage pop che in AWATS si materializza nella trilogia soft e sentimentale di “I’m So Proud”, “Ooh, Baby Baby”, and “La La Means I Love You”, due chiari riferimenti di Todd alle sue origini di white soul singer. Humor terreno e cerebrale, tecnica pazzesca, scrittura ben tornita, un paio di ironici numeri rock, due cover buttate lì, e - forse sopra ogni altra cosa - un pugno di liriche piene di vulnerabilità e di desiderio di verità, amore e comprensione guidano il capolavoro verso “Just One Victory.” inno di chiusura dell’opera prima della ripresa della iniziale e futurista “International feel”.
Quello che nel marzo 1973 parve una stravagante offerta dopo 3 album di ballate di spessore (Runt, The Ballad of Todd Rundgren, Something /Anything) si conferma oggi una tangibile rock extravanganza secondo quegli stilemi cari agli anni dell’eccletismo (si pensi al Tommy teatrale di Lou Reizner con la London Symphony Orchestra condotta da David Measham) in uno spettacolo che vede il 61enne artista misurarsi con 11 cambi di abiti e altrettante scene ognuna di esse dal diverso carattere.
Un band stellare disposta su due ali del palco accompagna Todd: Praire Prince alla batteria (Tubes), Kasim Sulton al basso (Utopia); Jess Gress alla chitarra e i tastieristi Gregg Hawkes (the Cars); Ralph Shuckett (Utopia ma prima ancora Clear Light, Peanut Butter Cospiracy, Jo Mama) e BobbY Strickland (Utopia) si destreggiano fra le mille atmosfere di un disco davvero diverso oggi come allora che i nostri riescono a far apprezzare come forse non mia prima.
Tutto accade in un’ora scarsa.
Il pubblico che negli anni si era accorto che questo album voleva davvero significare qualcosa di differente nell’idioma del rock classico, aveva atteso questo momento per lungo tempo e l‘atmosfera della serata era di tripudio e stupore. Rundgren ha accontentato tutti ma, forse, non se stesso, ammonendo che la storia non è stata ancora scritta per intero.
Meglio predisporsi al micidiale.
Ernesto de Pascale
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