It’s impossible to talk only about Gorillaz’s music. They aren’t just a band, but a true show business phenomenon, something that will be analyzed for years.
Cinque anni di attesa per un nuovo album, i Gorillaz si sono fatti desiderare. Detto per una band che non esiste è piuttosto paradossale, eppure questo prodotto musicale inventato da Damon Albarn nell’ormai lontano 2001 per consolarsi dallo scioglimento dei Blur è senza dubbio una realtà consolidata della musica internazionale. I Gorillaz rappresentano un progetto che quasi dieci anni fa era inevitabilmente pionieristico e che oggi trova una sorta di quadratura del cerchio. Proprio per la curiosa condizione di non esistenza la band è in grado di sfruttare a pieno le possibilità offerte dalla tecnologia, di creare un intero universo virtuale del quale le canzoni sono una semplice sfaccettatura.
I Gorillaz fanno musica, certamente, ma fanno soprattutto spettacolo, si tramutano in ologrammi ai concerti di altre star, vivono in un mondo fantastico e allo stesso tempo tangibile: rilasciano interviste, si sono già lanciati nel mondo del 3-D, hanno un merchandising fiorente e attirano fenomeni della musica e fenomeni dello show business come il miele con le api. Si pensi alle collaborazioni dell’ultimo disco: Lou Reed, Mick Jones e Paul Simonon, cioè metà Clash, artisti elettronici, punk, hip hop, il buon Snoop Dogg che da abile imprenditore di sé stesso non si è fatto scappare l’occasione e, nel video tratto dal primo singolo Stylo, un cattivissimo Bruce Willis.
Sarebbe ad esempio impossibile parlare di Plastic Beach senza parlare del video che ha lanciato il disco, la dimostrazione perfetta di quanto i Gorillaz siano la band del nostro tempo. Nove anni fa le prime canzoni, simpatiche canzonette commerciali, erano accompagnate da cartoni animati e l’effetto non lasciava intuire niente di nuovo. Stylo invece è l’Avatar dei videoclip, può essere visto su Youtube in altissima definizione, è una realtà parallela dove attori reali, come il duro a morire Willis, si incontrano e si scontrano con personaggi virtuali in un vero cortometraggio. È il futuro dell’industria video, che tranne poche eccezioni si è recentemente ridotta a una bassezza infinita e riprese quasi amatoriali dell’artista o della band.
In questa lunghissima introduzione non si è parlato di musica, proviamo a farlo. Plastic Beach è un disco sfaccettato, il suo picco lo raggiunge neanche a dirlo con Reed e con i Clash, in decadenti pezzi elettronici. Lo stesso singolo Stylo è un pezzo assolutamente riuscito, capace di inserire in poco meno di cinque minuti i più moderni suoni da discoteca, l’hip hop che va per la maggiore negli Stati Uniti e alcuni pezzi vocali maledettamente anni ’80. Spicca anche Superfast Jellyfish, un ritornello psichedelico per un cantato rap. Il leit motiv del disco è comunque questo: sapienti ritornelli, reminescenze brit, lisergiche, elettroniche, spesso inserite su basi hip hop. Albarn è sicuramente stato influenzato anche dall’ultimo progetto dei The Good, The Bad & The Queen, si sentano Broken o To Binge.
Il risultato finale è ambiguo, sospeso tra alcuni picchi notevoli e vere e proprie depressioni kitsch, sarà l’eterno dubbio sospeso su questa band inesistente: si possono odiare i Gorillaz come il più grande bluff commerciale degli ultimi anni, l’esempio perfetto di un finto prodotto di plastica, una macchina da soldi di cui la musica è solo un bistrattato ingranaggio, oppure si possono adorare come un progetto geniale, la vera novità del decennio appena iniziato, capaci di sintetizzare stili contemporanei e passati valorizzando tutte le potenzialità offerte dalla tecnologia e l’eccezionale effetto virale di internet.
In ogni caso se ne parlerà, ancora molto a lungo.
Matteo Vannacci
|
Orchestral Intro
Welcome To The World Of The Plastic Beach
White Flag
Rhinestone Eyes
Stylo
Superfast Jellyfish
Empire Ants
Glitter Freeze
Some Kind Of Nature
On Melancholy Hill
Broken
Sweepstakes
Plastic Beach
To Binge
Cloud Of Unknowing
Pirate Jet
|