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Dietro la Fundanela di Momo, intervista ad Alessandra Celletti

Classic piano and silly songs, but it works!

www.alessandracelletti.com
www.momoart.it

La storia è abbastanza nota, ma è bene ricordarla. A Sanremo 2007, durante il Dopofestival, giunge un personaggio dall’aria stralunata che si fa chiamare Momo, nome d’arte di Simona Cipollone. Attacca un brano con tanto di movimenti mimici dal titolo assurdo, Fundanela. Le reazioni sono tra le più varie: c’è chi rimane a bocca aperta e chi ripete gli stessi gesti. In poche parole la Fundanela-mania travolge Sanremo e l’Italia per qualche giorno, il brano è tra i più scaricati da Internet. Ma soprattutto Momo rivela che la coautrice del brano è Alessandra Celletti, pianista e protagonista di Chi mi darà le ali, album da noi recensito e che abbiamo indicato tra i “best” del 2006. Tanto complesso questo lavoro, tanto semplice la canzoncina, nata perché Momo e Alessandra avevano problemi di cervicale che un maestro cinese tentava di risolvere a colpi di Fundanela da aprire e chiudere.
Incontriamo Alessandra Celletti ai giardini di Piazza Vittorio a Roma. È una splendida mattinata di sole in mezzo ai nuovi romani dell’Esquilino. Africani, sudamericani e soprattutto cinesi che davanti a noi scandiscono i minuti con la ginnastica Tai Chi.

Intanto come sta la tua cervicale, dato che è diventata di dominio pubblico?

«Oddio, adesso non potremo più andare a lezione da Huan, è una vera tragedia».

Ma quella descritta da Momo è una palestra o un centro specifico per i dolori?

«Un centro dove c'è questo maestro cinese che arriva in Italia due volte l'anno. Me l'ha fatto conoscere un'amica perché avendo avuto vari incidenti con tanto di colpo della frusta, ho avuto l'approccio a questa ginnastica che è una delle più efficaci che ci sia, dato che interviene sulla postura. Non potremo proprio più andarci, veramente…».

Però gli avete fatto una bella pubblicità..

«Guarda che questo maestro è proprio uno di quelli puri, e che secondo me non gliene importa nulla».

Diceva proprio la parola Fundanela?

«Ti dico come è successo: io e Momo frequentavamo queste sedute di ginnastica. Se non ché una volta non era venuta perché era malata: ero da sola e lui insegnò questo esercizio nuovo, un momento cruciale preparato adeguatamente durante le lezioni precedenti. Fa con le mani tutti i movimenti che poi Momo ha rifatto in modo ironico (e anche nel centro non è che li facesse in modo troppo diverso). Lui disse proprio ‘apri fundanela’ con l'accento cinese. Lì per lì ero tutta seria e concentrata, poi a casa»

-ti sei messa a ridere?

«..ma così tanto che ho voluto poi raccontare tutto a Momo, a cui è venuta la voglia di scrivere con me una canzone. Figurati, un brano così l'avrei cantato al gatto, lei invece ha avuto un coraggio tale da riuscire a presentarla a Sanremo».

Simona-Momo l'avevi conosciuta in occasione del corso?

«No, da quattro anni lei è venuta ad abitare in zona S.Lorenzo dove sto anch'io. In pratica ci siamo incontrate per strada».

Lei ha fatto studi musicali come te?

«E' una cantautrice autodidatta. Forse da piccola avrà preso qualche lezione di pianoforte».

Siete diventate amiche trovandovi anche musicalmente?

«La stimo molto sia perché ha fatto questa sorta di gioco sia perché ha anche un repertorio molto bello, molto diverso da Fundanela. Però con lei ho fatto solo questa canzone, le nostre strade musicali sono diverse».

Momo si veste sempre come l'abbiamo vista in televisione?

«Pensa che sono vestiti miei che le ho prestato e che alla fine le ho regalato».

Quindi hanno portato bene?

«Sicuramente».

E dopo Sanremo cosa è successo?

«Lei adesso sta chiudendo un contratto con la Sony»

Tu invece?

«Io niente, sono sempre la musicista dietro le quinte. Ma è anche giusto perché penso che solo lei avrebbe potuto fare questa canzone. Con me non funzionerebbe, a parte la vergogna. Se vado io a farlo la gente dice: questa è scema e basta. Va lei e funziona per l'aspetto stralunato che ha e il personaggio che ha creato. Io spero che mi porti un po' di soldi. Proprio per continuare con più tranquillità a fare le cose che seguo abitualmente».

Torniamo al tuo Chi mi darà le ali. Ha un distribuitore?

«E' la Sound and Music di Lucca. Ha lavorato anche bene alla Fnac, tanto che in Francia il mio disco di Satie era entrato in classifica tra quelli più venduti. Certo, non è un grosso distributore e quindi non tutti i negozi possono avere il disco. Piuttosto questo spazio su Internet, My Space, che per me è stato fondamentale. Addirittura ho avuto una proposta dall'America perché vogliono utilizzare Chi mi darà le ali per un film, abbinando una mia tournée alla proiezione».

I tuoi studi. Sei autodidatta?

«Già a sei anni andavo a lezione di pianoforte, poi a undici sono entrata alle medie del conservatorio S.Cecilia. Poi l'insegnante che mi ha dato le cose più importanti è stata Vera Belcredi che ho avuto però più tardi. Quindi ho studiato sei mesi al conservatorio di Praga grazie a una borsa di studio. Comunque sono sempre stata anti-accademica facendo ricerche per conto mio».

Che tipo di ricerche?

«Di tipo filologico, su ciò che gira attorno al mondo musicale. Ad esempio, ho suonato con artisti molto differenti fra loro come gli Agricantus e Mario Castelnuovo. Comunque mi piacciono varie cose».

La tua discografia comprende Philip Glass ed Eric Satie, non è facile catalogarti.

«Non ci si riesce: magari potessi dire io sono questo o quello. Inoltre adesso mi è presa anche la passione di cantare. E' la cosa più bella del mondo, quindi lo faccio senza pormi problemi anche se mi porta fuori da ciò che ho fatto fino ad ora. Però è più forte di me, devo giocare. Mi diverto».

Hai scoperto di avere una voce naturale oppure nei tuoi studi precedenti hai anche fatto un po' di canto?

«No, quando ero piccola mi piaceva cantare. E ho riscoperto la sensazione di farlo con lo stesso spirito. Non ho la voce impostata, anzi ha una voce piuttosto delicata».

Come estensione?

«Abbastanza acuta, soprano leggero forse come definizione. Però sto cantando cose non classiche, ma...io dico rock e pure lì non si capisce che ci sto a fare».

Il canto è supportato dal pianoforte?

«Sto facendo un album con pianoforte, voce e batteria che è abbastanza particolare come risultato».

La batteria da chi è suonata?

«Da Fabio Ferri, un musicista di Roma».

Comunque una cosa diversa da Chi mi darà le ali?

«In un certo senso c'è un legame perché ci sono delle parti per piano solo che si possono riallacciare a quel tipo di disco. Ma già l'introduzione di voce e batteria conferisce una sonorità diversa. E anche gli stessi brani sono differenti fra loro».

In Chi mi darà le ali mi è parso che tu tratti la melodia non in modo tradizionale, ma come piccole cellule che tornavano secondo una forma circolare. Ciò che fai adesso è simile da questo punto di vista?

«Il disco prendeva ispirazione da un salmo che più come elemento religioso (non sono cattolica come si intende tradizionalmente) era una preghiera unitaria con delle sonorità che tornavano regolarmente, come se ci fosse un unico centro. In questo caso invece sono 14 pezzi, ognuno con una propria caratteristica».

I testi sono tuoi?

«No, sono in inglese scritti da un mio amico. Ho avuto così una serie di cose da dover affrontare, dalla pronuncia inglese allo studio del canto nonostante l'intenzione fosse quella di sfruttare la spontaneità della voce».

Esce sempre per la Blériot?

«Sì, anche se lo studio dove sto registrando mi ha proposto una produzione. Io sono un po' anarchica, ho bisogno di una certa libertà. Però non escludo la collaborazione».

Torniamo all'attualità, pensi che con Momo ci sia la possibilità di fare qualcosa insieme, anche dal vivo o in studio?

«Al di là della canzone non penso, anche perché lei ha un gruppo molto solido dove ha musicisti con cui è molto affiatata. Ci sono un fisarmonicista e un contrabbassista con cui suona da anni, adatti al suo stile di teatro canzone. Ma non è esclusa una Fundanela 2. La cosa è venuta giocando, non so se a farla coscientemente funzionerebbe».

Però Momo è stata molto carina tanto che ti ha subito citato sin dalla prima sera al dopofestival.

«Era una cosa che dicevamo da tanto, andiamo al Festival. Ovviamente scherzando tra amiche. Però quando era lì mi chiamava sempre, aggiornandomi ogni momento».

Era capitata in una banda di matti…

«Lei si trovava bene in quella situazione, io sono molto più timida e schiva».

Hai avuto inviti, ad esempio da Chiambretti?

«L'unica cosa che ho fatto è stata quella di andare a Milano alla presentazione di un libro dedicato ai video di Domenico Liggieri che collabora come autore con Chiambretti».

Se non sbaglio è stato proprio Liggieri a chiamare Momo…

«Sì, tutto è partito da lui. Chiambretti se vogliamo l'ha trattata anche abbastanza male. Ma Momo ha questo carattere che non gliene importa niente, fa bene ed ha funzionato».

Poi fare Fundanela all'Ariston durante la serata finale con Pippo Baudo, Michelle Hunziker e addirittura Fabrizio del Noce..

«Il pomeriggio le ho detto, mi raccomando se vai sul palco dell’Ariston chiama Del Noce e fallo ballare. Poi non è stata lei a farlo salire sul palco, ma un fatto programmato. Comunque è stata una grande soddisfazione».

Volevo tornare al pianoforte: tu hai una grossa disciplina pianistica. Riesci a suonare ancora tante ore? E cosa suoni per restare in allenamento?

«Il mio rapporto con lo studio tecnico è sempre stato abbastanza particolare. Non ho mai fatto scale o arpeggi. Mi piace suonare quello che mi piace senza costrizioni. Secondo me lo studio non è quello tradizionale. La mia insegnante diceva che anche quando camminavo potevo ripensare a un pezzo alle sue note».

Finiamo con alcuni giudizi tuoi su autori spesso affrontati dagli studenti di pianoforte. Partiamo con Bach.

«Il più grande».

Beethoven

«Ho in mente di studiare prima o poi le sonate opera 109 e 111. È un'idea, forse un giorno lo farò».

Auguri! Chopin

«Mi piacciono alcune cose, quelle più intime. Alcuni preludi e notturni. I brani più spettacolari mi piacciono meno, tanto che al tempo non amo Liszt, lo trovo troppo ridondante».

Un compositore del primo '900?

«Ravel, è proprio il mio autore. Ho portato all'esame dell’ ottavo anno Le Tombeau de Couperin, un brano bellissimo tra rigore formale e fantasia».

Keith Jarrett?

«Quanto mi sta antipatico»

Michele Manzotti

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