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Eddy Mitchell
Palais des Sports 10.03.2007

Parigi - Una formazione mista di gran bella gente, metà americana, metà francese, accompagna il 63enne Eddy Mitchell, eroe pressoché sconosciuto all’estero se non per una bella faccia a schiaffi che caratterizza da anni il cinema d’oltralpe, in un lungo giro nelle sue terre che si protrarrà fino ad estate inoltrata.
Due settimane di tutto esaurito al Palais des Sports di Parigi erano una occasione ghiotta per vedere da vicino come, non troppo distante da noi, si possa richiamare ancora migliaia di appassionati e fans per un genere che qui è stato pressoché accantonato per la sua desuetudine, fatta salva qualche sporadica eccezione vista per di più con dubbio e scetticismo.
Considerato il sincero amore di Eddy per il roots rock statunitense, un amore che va indietro sino ai suoi esordi nei sessanta con “The Blue Sox” e testimoniato oggi da un nuovo album intitolato “Jambalaya” (Universal France), era occasione ghiotta per valutare da un parte l’innato campanilismo francese, dall’altra la semplicità e l’umiltà come lo stesso Mitchell si ponga verso a quanti conoscono il lessico e la logica del rock & roll del roots rock. Vedere Eddy su un palcoscenico, scatenarsi come un ragazzino, accompagnato da Pete Thomas e Dave Faraghar degli Imposters di Elvis Costello, Todd Sharp, chitarrista al fianco di Rod Stewart per quindici anni, Jan Jacques Milteau virtuoso armonicista blues locale e ai suoi usuali partner in una specie di dream team irrealizzabile altrove, è servito a chiarire certi processi legati all’amore tutto francese per il rock & roll che gli italiani vedono con distacco.



Più show teatrale che vero concerto, Eddy Mitchell interpreta, accompagnato anche da video e multivisioni, classici americani come “Smoke That Sigarette”, “I’m Coming Home, “Memphis, Tennesse“ “Jambalaya” rendendoli credibili nella sua lingua francese, senza calcare troppo la mano su composizioni originali a meno che queste non siano perfettamente in sintonia con il resto dello show.
Non ci sono cadute di tono e di stile perché Mitchell è un professionista meticoloso e perché anche nel repertorio più confidenziale pare più vicino a George Jones che al suo amico di sempre Johnny Halliday con cui duetta nell’ultimo “Jambalaya”.
Per i musicisti americani, abituati alle situazioni più impervie, dopo i primi attimi di smarrimento subentra il rispetto, l’anima prende il posto del professionismo, i sorrisi si sprecano e l‘atmosfera si davvero cool. Quando poi l’altro chitarrista della formazione, il francese Bebel, con Eddy dal 1980, comincia a dare del filo da torcere all’americano Sharp - con quest’ultimo che dà fondo a tutti i suoi trucchi - Eddy Mitchell, tiratosi in disparte ma sempre e fino in fondo immerso nel suo ruolo di “padrino“, se la ride alla grande.



A dimostrazione di come i soldi spesi bene per una produzione costosa, il cui cast così ben scelto, costoso, accurato, siano stati un attimo tutti recuperati.
A Parigi si replica dal 6 al 17 Giugno all’Olympia ma ci sono date in programma presso la Nuit de la Fourviere a Lyon, al festival Blues di Nizza e altrove nel sud della Francia fino a fine Luglio.
Se siete dei curiosi, non perdetelo, consapevoli che lo spettacolo mantiene sempre un tono teatrale, immerso in una scenografia che ricrea una Bourbon street che così a New Orleans non si è mai vista ma che a Eddy deve essere piaciuta con naivetè davvero tanto.

Ernesto de Pascale

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