Beware: collectioner’s item! A bit of British Blues by a band that conjures a sense of sympathy like a blind kitten. Why? They didn’t make it despite the production of the true genius of the British Blues, Mike Vernon. Gray hair bluesheads will find here some excellent reasons to regret those good old times.
Questo triplo cofanetto potrebbe fare giustizia di una qualche cattiva stella, malasorte, e metter il cuore in pace a chi, con alterne fortune ha cercato per anni dischi come “40 Blues Fingers”, “100 Ton Chicken”, “OK Ken” e il meno avvenente “Accept”. Chiedo anche al nostro esimio direttore fondatore di dispensarmi una tantum della regola del silenzio francescano su chi fummo e cosa facemmo, visto che ad entrambi i Chicken Shack evocano una notte di settembre al Marquee di Londra correva l’anno 1973. Pochi anni dopo, in piena stazione ferroviaria di Firenze avrei scambiato “Accept” con “40 Blue Fingers” con un altrettanto incauto fanatico di Blues di Reggio Emilia. L’infame basso padano volle pure 40.000 lire, che sborsai felicemente sicuro d’aver fatto un affarone, almeno a livello artistico. Con tale somma, all’epoca si compravano 7/8 dischi nuovi. Chiusa la parentesi personale. Sfigati i Chicken Shack? Un pò sì, diciamo la verità. Erano una delle band più interessanti e dotate del British Blues unico punto veramente debole il cantato ma non hanno avuto successo artistico né tantomeno quello economico, come giusto per fare un nome i Fleetwood Mac di cui Christine Perfect sposerà il bassista John McVie, lasciando soli i 3 galletti nel pollaio. L’unico rimasto in circolazione a lungo é stato Stan “The Man” Webb, altro discepolo di Freddie King, e non inferiore ai suoi contemporanei come Eric Clapton e Peter Green. Webb, ancora non tanti anni fa trovò rifugio artistico in Germania, riproponendo gli Shack sotto altre vesti. Cinquantasei pezzi rimasterizzati tra classici e originali, solo due gl’inediti, per farvi una cultura su questo gruppo, ma anche su un certo modo d’intendere il Blues, spesso appesantito da arrangiamenti fiatistici assai popolari in quei tempi. C’è il pianismo saltellante della Perfect e l’influenza, marcatissima, di Freedy King su Stan Webb, che non sarà peraltro l’unico ad ispirarsi al chitarrista di Gilmer, Texas. Una reliquia del British Blues nella quale, per fortuna, c’è molto blues e poco pop, un pò diminuita dalle scarse propensioni vocali di Webb, a momenti irritante. Interessantissime le note del libretto di Mike Vernon, peccato ci voglia la lente d’ingrandimento per leggerle.
Luca Lupoli
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Track list
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