Ribbons of concerned melodies on cloud nine
Prendete carta e penna e aggiungete senza sbuffare anche il nome della californiana Jesse Sykes alla lunga lista di cantautori emergenti che rischia di scoppiare oramai da un po’.
Dire che Jesse e il suo ensemble, The Sweet Hereafter, sono qualcosa di diverso potrà far sorridere ma tant’è. Primo di tutto i riferimenti: anni sessanta, il lascivo e decandente splendore dei sobborghi delle metropoli californiane e della cost ovest in genere (aggiungete anche Portland nell‘Oregon e Seattle ancor più su), le aree di sosta dei parcheggi trasformate in comunità hippy, musicisti di talenti che si perdono per strada (Skip Spence), menestrelli spinti dal vento (Tim Buckley), santoni dell’amore libero (Dino Valenti) e/o dell’esoterismo (Kaleidoscope),propugnatori dell’anima venduta a dio attraverso il diavolo (Delaney & Bonnie).
Questi fantasmi appaiono un po’’ tutti nell’’intensissimo “Like Love Lust & the Open Halls of the Soul “; a pochi minuti dall’’inizio, in “LLL” pare di sentire i Quicksilver Messenger Service di “Pride of Man”, poi dopo il viaggio si fa più spartano, come la Sykes lasciasse la città per il deserto.Allora è la volta di Calexico, del Neil Young degli esordi, di un certo Chriss Isaak primitivo, con le chitarre acide ed apocalittiche come in “How Will We Know “ mentre in “Aftermath” fa capolino un delicato riferimento a Laura Nyro, nella successiva “Station Grey“ un arrangiamento vocale alla Fifth Dimension introduce una coda saturata dalle chitarre. Nel finale di “ The Open Halls of Soul” tutte le istanze descritte si riuniscono in un corale country golpe che fa tanto colonna sonora di “Punto Zero” (“Vanishing Point“, 1971)
Fra gli artisti odierni il recensore rimanda il lettore a cercarsi i dischi di The Court & Sparks, da San Francisco, per ipotizzare una scena d’unione, ma qui i cori vanno verso orchestrazioni barocche e pop e le chitarre verso la psichedelia più chimica.
Non una esordiente, la Sykes tiene musicalmente tutto sotto controllo e fa bella figura ben inserita con armonia una formazione che la valorizza al massimo grazie al contributo di Phil Wandscher, compagno di Jesse, ex Wiskeytown, chitarrista e formalizzatore dei piani sonori del disco.
La grande attenzione posta ai colori e alle sfumature accompagnano l’ascoltatore in fondo ai 52 minuti, facendo venire voglia di ulteriori ascolti e di vederla dal vivo.
Ernesto de Pascale
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