Interesting young singer/songwriter with an eye on the seventies and a satysfing retronuevo feel
Esordiente o poco più, il giovane David Vandervelde è un dotato multistrumentista che si è studiato a fondo il dizionario del rock e che - grazie a un timbro vocale che lo rimanda dritto a David Bowie e a Marc Bolan - non fa mistero di quale possa essere il su decennio di riferimento, rileggendolo con canzoni originali dai toni liberi e mai grossolani.
Incredibile il ivello creativo di Davide e l’uniformità che mantine pur nella varietà. “The moonstone house band”, realizzato nell’arco di tempo di due anni presso lo studio di Jay Bennet ( Wilco ) a Chicago, gode dell’atmosfera rilassata di chi ha potuto stare appresso alle proprie passioni compositive con agio e quando dal niente, appare l’orchestra - arrangiata da David Campbell, incidentalmente il papà di Beck - si ha l’impressione che Vandervelde è tutto lanciato sulla strada di quanti prima di lui sono andati nella stessa direzione, da Brian Wilson a Jimmy Webb,fino ai più recenti come Pop Levi di soli pochi mesi fa.
Oculata la scelta di un labum corto, solo otto canzoni per 32 minuti, che valorizza le qualità del giovane artista senza sottoporre l’ascoltatore a supplizi dovuti a non richieste lungaggini. Le otto canzoni qui funziano una con l’altra; un ammiccamento alla Gran Bretagna - da un po’ di tempo pare piaccia tanto agli americani farlo, meglio se l’artista di riferimento sono i Beatles ! - non allontana dalla ricerca di costante originalità che vede Vandervelde sempre impegnato a tenere alta la guardia. “”Corduroy blues”, “Can’t see Word face no more”, “Murder in Michigan “ le tracce migliori. Sopra la media di un bel po’ anche se il rischio di vederlo svanire nel mare magnum delle pubblicazioni è dietro l’angolo per tutti. Andrebbe seguito con accanimento e con un bel sequel prestissimo per vederlo radicare.
Ernesto de Pascale
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Track list
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