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Daniele Boccardi
Vite minime - scritti diseducativi
Stampa Alternativa, 2003.
www.fondoboccardi.it
Daniele Boccardi, la cui breve vita conclusasi anzitempo a soli 32 anni è ben raccontata nelle prime pagine di "Vite Minime-scritti diseducativi", dall'editore stesso, Marcello Baraghini, che pubblica questo volume nella collana "eretica" di Stampa Alternativa non doveva essere un ragazzo facile, ma d'altronde chi lo è. Viene da definirlo un "problem child" leggendo i suoi racconti e poi le poesie e infine gli aforismi che abitano queste 220 pagine, prima vasta raccolta postuma del giovane grossetano.
Scomparso nel 1993, si sente in lui il peso di tanti anni ottanta inutili, la sensazione di perdere tempo fra gente che fa perdere tempo.
C'è tensione, noia, a volte un sottile senso di schifo per il circostante e molta agitazione.
Si è tentato l'accostamento con Luciano Bianciardi, anche lui grossetano, anche lui schifato da quasi tutto, anche lui irrequieto, anche lui andatosene troppo presto, entrambi viaggiatori e mai turisti, ma fra i due i punti di raccordo sono pochi. Eppure quei pochi funzionali: sopratutto un certo "neorealismo" narrativo che se per Bianciardi ha una motivazione generazionale per Boccardi è il frutto di un qualche lavoro più profondo, viene da pensare. Così Boccardi torna indietro e si ferma a Massa Marittima come Bianciardi lascia Milano per Rapallo. Ma quest'ultimo è già qualcuno, mentre Boccardi non sarà mai nessuno.
Troppo socialismo craxiano, troppi processi di mani pulite in tv, troppa Forza Italia per essere qualcuno e non esserne schifato, troppi anni ottanta. E le poesie sono più vicine ai testi di Federico Fiumani dei Diaframma che ad altro, perché la musica è a un passo e il fluire ritmico convince, infatti, ancora. Al termine della lettura di questo volume ho pensato che Daniele Boccardi era morto di una morte post moderna, come nello stesso anno se ne erano andati Mick Ronson, già chitarrista di David Bowie negli Spiders from Mars, come Frank Zappa, come il chitarrista blues Albert Collins, come il rocker Douglas Hopkins dei Gin Blossom.
O geni, o sognatori, o perdenti. Insomma, i migliori.
Ernesto de Pascale
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