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Acid Mothers Temple live Flog, Firenze, 24 Nov. 2004

Un lungo sibilo sintetizzato, la cui onda si amplia e si restringe è il segnale che i giapponesi Acid Mothers Temple sono approdati a Firenze. Per i successivi 90 minuti Tsuyama Atsushi, bassita e giocoliere cosmico, Koizumi Hajime, batterista e monaco dormiente, Higashi Hisroshi, sintesista, chitarrista e Rè ballerino e il già leggendario Kawabata Makoto, solista del gruppo e Guro della velocità riverseranno sul numeroso pubblico convenuto alla Flog la più massiccia dose di rock rumoroso ed elettrico ascoltata negli ultimi anni. I quattro Acid Mothers Temple che sono arrivati fino a noi sono forse solo un piccolo surrogato della ben più vasta comune di 35 persone descritta dalla cronache ma poco importa perché loro bastano a darci una visione abbastanza precisa di cosa vogliano trasmettere. Immaginate tutti insieme i Pink Floyd di “careful with that axe, Eugene “, i Can di “You do right “, gli Ash Ra temple di “Schwingungen “, gli Hawkind di “Space ritual “ e “Silver Machine “ e siete solo a metà di cosa il gruppo è grado di riversarti addosso. Aggiungete alle indicazioni una buona dose di canti tradizionali giapponesi, e un’ altrettanta buona dose di ironia zappiana e siete sulla strada giusta.
La prima sensazione che ti assale quando vedi AMT dal vivo è di smarrimento e la seconda è di stupore. Per il concerto alla Flog il pubblico era giunto sufficientemente preparato per saltare con una certa velocità la prima delle e passare invece qualche minuto a bocca aperta con l’espressione inebetita di chi non ci crede ancora. Non tanto perché ciò che gli Acid Mothers Temple suonano dal vivo sia di impossibile assimilazione – a volte è solo rockaccio con tinte blues e spacey – ma più che altro perché ciò che suonano lo vivono con la dedizione più completa e una totale committenza, anche fisica. Eccoli allora dimenarsi e fluttuare nello spazio senza alcuna remora. Il messaggio è semplice : benvenuti a bordo, il viaggio inizia qui. E via avanti così fino a che Kawabata – una specie di speed freak del duemila – non si rende conto che ( forse ) non ha più bisogno della sua chitarra elettrica e che tanto vale tirarle fuori anche le ultime ululanti note mentre, nel frattempo, Koizumi – un omarello mite a vedersi ma, ho pensato subito, pericolosissimo – malmena le pelli di una batteria che domani il service dovrà buttare via e gli altri due si dimenano oramai nel pieno del loro viaggio. Proprio come una macchina diesel gli Acid Mothers Temple affrontano il palcoscenico.


Sono dei temerari, a pensarci bene, questi giapponesi; girano da soli, senza alcuna struttura, vogliono essere pagati solo in contanti e conservano tutti i soldi in un marsupio che il bassista si tiene ben stretto legato in vita anche sul palco. Parlano un inglese orribile e sono, certamente, sordi. Cenano ai peggiori ristoranti cinesi del circondario e Il già leggendario Makoto ha dormito fino a un minuto prima del concerto mentre Atsushi e Hiroshi vendevano vagonate di cd (hanno ammesso di non sapere neanche loro quanti dischi hanno prodotto, “forse ottanta“ ci hanno detto alzando le spalle, di cui il più recente “Does The Cosmic Shepherd Dream Of Electric Tapirs?”, pubblicato per la SpaceAge Recordings, www.spaceagerecordings.com).


I quattro non sapevano neanche dove era il loro albergo. Tra il sound check e il concerto il gruppo aveva, infatti, deciso di restare nel locale. Terminato lo spettacolo hanno raccolto le loro piccole cose e sono tornati a essere dei turisti per caso. In questo Giapponesi in tutto e per tutto. Per il resto – e non ero il solo a pensarlo alla fine del concerto – alieni venuti da lontano.

Ernesto de Pascale




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