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Teatro del Sale, a Firenze i nuovi cantautori

Per il secondo anno consecutivo, grazie all’accorto lavoro organizzativo del giornalista fiorentino Ernesto de Pascale, il Teatro del Sale ha riservato una settimana di programmazione ad una rassegna dedicata ai nuovi cantautori italiani. L’idea che una cospicua parte della poesia della seconda metà del novecento sia riposta proprio nelle parole dei cantautori, da Dylan a De Andrè, ha fatto da filo conduttore alle serate, tutte caratterizzate dalla voglia di fare musica di alta qualità, originale e al di là dei circuiti comuni. Lo scenario accogliente del Teatro del Sale, che ormai indiscutibilmente nel tempo si è dimostrato luogo intrigante per le performance dei cantautori vista l’esclusività dell’ambiente e l’attenzione immancabile del pubblico, ha offerto la giusta cornice per una serie di concerti contraddistinti dall’atmosfera intima e dalla capacità degli artisti di emozionare e comunicare con gli spettatori. Come Maria Cassi, direttrice artistica del Teatro, ha sottolineato presentando una delle serate, il Teatro del Sale si configura come una formula nuova e unica in Italia, in quanto non solo palcoscenico teatrale in cui l’artista si esibisce e il pubblico applaude, ma “luogo di sperimentazione e di condivisione”, in cui la voglia di stupire e partecipare è sempre di casa.

Ad aprire la rassegna la cantautrice palermitana, ma ormai trevigiana di adozione Marian Trapassi, vincitrice dell’edizione dell’anno in corso del Premio Ciampi per il miglior disco d’esordio. Dietro il sorriso velatamente timido con cui Marian si rivolge al pubblico, si nasconde un’artista che dà dimostrazione di competenza e capacità compositiva. Ci lascia con un’impressione molto positiva, soprattutto perché comunica di sapere come scavalcare uno degli scogli più grossi – se non il più grosso – dell’essere cantautore, ovvero quello di strutturare le proprie canzoni. La sensazione è quindi quella che Marian, acquisendo la maggiore autorevolezza che arriva col tempo, abbia tutte le carte in regola per fare grandi passi avanti, aggiungendo ulteriori conquiste a quelle già messe al sicuro.


La seconda sera, il 3 novembre, è la volta di Eileen Rose. La graziosa e minuta Eileen Rose guarda le volte del teatro del sale con aria stupita. Sa di essere entrata in un pezzetto di storia di un passato presente che lei, nella pur bella Boston, non potrà mai vivere. Ha occhi vivaci Eileen e il tipico stile bostoniano di chi ha qualcosa di europeo. Ha buone maniere quando canta e quando suona e rimane sempre convincente dotata di un certo, naturale, sobrio e contenuto aplomb da ragazza della upper middle class : le canzoni della Rose sono belle, riprendono lo stile folk del New England ( casa del grande cantautorato nel piccolo ma influente Club 47 in attività nei primi sessanta ) ma sono moderne e originali. Eileen è seguita passo passo dal marito musicista Seth Goodman ( HYPERLINK http://www.thediamondplatinumrings.com www.thediamondplatinumrings.com ), un rocker con aspirazioni rockabilly che suona e canta come se fosse davanti a uno specchio in camera, che è la sua ombra e le lascia tutto lo spazio necessario per esprimersi. Andrea Parodi, il cantautore comasco che ha il merito di aver portato Eileen in Italia apre la serata con due nuovi brani e dirige la serata con parsimonia. La Rose, due dischi all’attivo per Rough Trade ( vedi recensione suo concerto a Montreux 2002 sul sito ), alla fine della serata si lancia in una straordinaria e credibile versione di “Nessuno mi può giudicare”, ammettendo timidamente di stimare il nostro “casco d’oro”, Caterina Caselli. Finale incandescente e la promessa della cantautrice bostoniana di tornare al teatro de Sale all’uscita del suo nuovo album , previsto per la primavera 2005, per una sussidiaria della Sony.


Giovedì 4 è la volta di un artista che, come la Trapassi, lavora con l’etichetta milanese Novunque di Alessandro Cesqui: Fabrizio Coppola. Con Coppola l’atmosfera si allontana un po’ dagli stilemi del cantautorato più classico per avvicinarsi a rock e pop-rock all’inglese. Ciò che colpisce di Coppola non sono tanto le canzoni, tra le quali comunque ce ne sono alcune che non possono che balzare alle orecchie e richiamare l’attenzione, quanto la sua capacità di gestire lo spettacolo sul palco. Si muove bene, comunica bene con i suoi musicisti, trasmette la sensazione di una certa sicurezza on stage e di saper usare certe piccole furbizie del mestiere, e tutto ciò non può che fare una bella impressione sul pubblico che si sente piacevolmente coinvolto. Ad aprire il suo concerto quattro delle canzoni di Ilario Bisagni, cantautore emergente dall’aria e dai toni un po’ malinconici che nasconde una creatività che , nonostante necessiti ancora di un po’ di esperienza per esprimersi al meglio, già si dimostra marcata, ben caratterizzata e fuori dagli schemi comuni.



Non c'è uno stile unico nell'esibizione di Fabrizio Consoli, sul palco il 5 novembre. Meglio dire che c'è un elemento comune con il quale ha presentato i suoi Diciotto piccoli anacronismi: quello di trovare un equilibrio tra voce (e quindi la storia raccontata nella canzone) e strumenti. I musicisti che accompagnano Consoli (Daniele Sala al contrabbasso, Eugenio Ventimiglia alla batteria e Beppe Sanzari alla fisarmonica e tastiere) si mettono infatti al servizio della melodia senza abdicare al tempo stesso a un ruolo interpretativo. Così viene fuori un set nel segno del gusto nella narrazione in musica. In modo che la canzone sia una piccola-grande creazione artigianale con la voglia di essere riascoltata.


Chi ha sorpreso molto è stato Pino Marino, di scena sabato 6. Davanti ad una platea attenta (la sua esibizione di fine estate alle Rampe, senza pianoforte e di fronte ad un pubblico svogliato, ne
aveva risentito molto) Marino dimostra di essere su un sentiero particolarissimo, lasciandosi alle spalle i molti cliché cantautoriali che affliggono molti giovani artisti. Pezzi come I Fiori o L'Alluvione del '43 mettono in mostra un coraggio linguistico e musicale che attualmente ha pochissimi pari in Italia, con cui l'autore romano è capace di giocare col pubblico, di farlo ridere subito prima di condurlo per mano nel proprio mondo. E' un'introspezione delicata, nonché priva di qualsiasi ridondanza o pretestuosità: non potremmo pensare ad un miglior segnale di grandezza.
Tutte le serate hanno dato dimostrazione di una grande spinta alla ricerca qualitativa. Come Ernesto de Pascale ha augurato ai cantautori ogni sera, “l’importante è diventare famosi ma non troppo, per continuare a fare musica ed evitare di entrare nel circuito malsano del successo. Il successo tanto, citando Luciano Bianciardi, è solo il participio passato del verbo succedere, e quindi accaduto”. Rinnovando l’augurio di Ernesto de Pascale non si può che sperare che questi promettenti artisti continuino a guardare al futuro, con la voglia di andare avanti e di difendere la canzone d’autore.
Appuntamento al Teatro del Sale dal 9 al 12 febbraio 2005 con un’altra settimana organizzata da Ernesto de Pascale all’insegna della musica cantautorale. Ospite della serata conclusiva, Graziano Romani.

Giulia Nuti



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