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The Fiery Fournaces – Blueberry Boat
(Rough Trade)
www.roughtraderecords.com



Come si dice, meglio soli che male accompagnati. La formula del duo di parenti, coniugi o affini si fa sempre più popolare, e dopo il successo recente di Elephant dei White Stripes che ha ricordato al grande pubblico le potenzialità di questo tipo di formazione, adesso a provarci sono i fratelli Matthew e Eleanor Friedberger, anima e essenza dei Fiery Fournaces. Completamente autosufficienti salvo l’apporto di una manciata di musicisti che si sono aggiunti alle registrazioni in studio, i Fiery Fournaces regalano con questo loro secondo album un piccolo capolavoro di pop rock psichedelico e psicotico. Per concretizzare l’idea, Blueberry Boat è uno di quegli album che se un domani per qualche motivo diventasse preda dei collezionisti, sarebbe uno di quelli che fa impazzire per trovare le giuste poche parole di recensione da abbinare all’annuncio di vendita del disco, quelle che si mettono insieme alle informazioni sulle condizioni dell’oggetto, nelle liste che si trovano sulle riviste specializzate tipo Record Collector. Dentro c’è un mix di suoni e colori in cui si va dalla psichedelia al pop, dallo space rock a certi interventi limpidi e puri di piano acustico. I metri di paragone celebri si sprecano, includendo dai Beatles (sconvolti a dovere ) ai primi Pink Floyd di The Piper At The Gates Of Dawn. . Certo di originalità ai Fiery Fournaces non ne manca, e tanto meno di una sana dose di misurato difuorismo. Il libretto è veramente un piccolo libro, dal momento che i testi sono paginate di moderni versi liberi. E non si può certo dire che siano parole gettate al caso, visto che se si ha la pazienza di addentrarsi nella lettura si scoprono storie curiose come quella dell’avventura nei mari della Blueberry Boat o dell’ansiogena ricerca di un cane ( My dog was lost but now he ‘s found). I Fiery Fournaces sanno anche giocare con i suoni delle parole e lo mettono in mostra quando snocciolano versi come “Later at lunch with the taco crunch crunch / she sets herself apart the bunch” o con episodi tipo, significato a parte, “Plume bloom bloom blaby bloom / cheep cheep beep bee-bee beep” . I suoni sono sempre sporchi, un po’ come da grattare col raschietto, e le strutture assolutamente imprevedibili. Si nomina un concetto e poi si parte con un bel minuto di commento sonoro libero, in mezzo al pezzo, dal nulla. Oppure un pezzo all’improvviso diventa un altro pezzo, completamente diverso, che ti domandi se lo skip del cd sia andato avanti di uno o se sia sempre fermo allo stesso numero. Poi verifichi sul libretto e ti accorgi che non solo il pezzo era uno solo, ma che nel testo non c’è nemmeno una minima riga di separazione tra una parte e l’altra, e che magari il testo non cambia neanche discorso ma va avanti per conto suo e continua a dire la stessa cosa nonostante che la musica sotto abbia subito i più radicali stravolgimenti. Niente di troppo nuovo sotto il sole in realtà perché questa tecnica di unire tra loro dei pezzi scollegati (“cut up”) si usa fin dagli anni Settanta, ma se siete pronti al suono del nuovo rock dall’ underground di Oak Park , città natale dei Fiery Fournaces , uscite di casa e correte a comprare questo disco ! ( Si avverte che né il recensore né Il Popolo del Blues risponderanno degli effetti collaterali )

Giulia Nuti


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