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Deep Purple: Burn - 30th anniversary edition C’erano un po’ di voci attorno ai Purple nel 1973. I successi erano già lontani: l’album Who Do We Think We Are non era certo all’altezza di In Rock, Fireball o Machine Head. I rapporti di Ian Gillan con il resto del gruppo erano pessimi, con Blackmore erano giunti al silenzio l’uno con l’altro. L’annuncio del suo abbandono era stato già preventivato e avrebbe avuto come data il 30 giugno 1973 dopo i tour in Europa e negli Stati Uniti. Blackmore e Paice volevano intanto sviluppare il progetto Baby Face con i conseguenti rumors che volevano insieme a loro Paul Rodgers dei Free e Phil Lynott dei Thin Lizzy. Ma fu durante il tour negli Stati Uniti che Roger Glover sentì che qualcosa non andava anche nei suoi confronti: che c’era un atteggiamento di freddezza che era comune a tutta la band. Serviva infatti un bassista più vicino a sonorità soul e funky, e i Purple, per primo Jon Lord, pensarono a Glenn Hughes che suonava nei Trapeze. Inoltre era un cantante, anche se per rimpiazzare Gillan c’era un candidato naturale che era Paul Rodgers. Ma mentre i contatti con quest’ultimo erano in corso (c’erano anche questioni contrattuali da definire) c’era anche da valutare le altre proposte che giungevano negli uffici del gruppo e le attenzioni si posero su Daid Coverdale, già componente dei Vintage ’67 e dei The Fabulosa Brothers. Il provino funzionò: era una voce dai vari colori, con una propensione a toni caldi, soul. Ben diversa da quella di Gillan, ma che ben si sposava con i nuovi progetti di Lord e soci. Oltretutto per la prima volta il gruppo poteva contare su due cantanti: se anche veniva meno la potenza di Gillan, c’era una musicalità diversa da sfruttare. Il Mark III durerà due album: il primo dei quali, Burn, è stato rimasterizzato quest’anno e completato dalle immancabili bonus tracks. Non è facile immedesimarsi nell’ascoltatore di allora: qualcosa era cambiato immancabilmente. Non aver più a che fare con l’atmosfera di un Machine Head poteva far traballare la fede e la passione. Ma al tempo stesso il disco funzionava e funziona tutt’ora. I grandi assoli, i monumenti dedicati all’organo, alla chitarra, alla batteria, lasciano il posto a brani energici ma che puntano più al cuore che allo stomaco. I ritmi si fanno meno serrati, i dialoghi tra le voci aggiungono un colore nuovo, si riprendono discorsi interrotti in un album spesso (e a torto) sottovalutato come Fireball. L’hard rock si tinge di nuove ventaure tra il blues e il soul. |
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