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Artisti vari: Testyfin’
(Casual)
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Spesso sulle pagine di questo magazine avete letto il termine “ country soul “, una miscela di generi in cui è l’emozione ad essere la prima protagonista, che il termine aiutava spesso a definire nel demarcare l’area d’azione di questo o quell’artista.
Il Rhythm & Blues prodotto al Sud, da Memphis all’Alabama, dagli studi Stax ai Muscle Shoals, fino ai più vecchi “ Fame “, può vantarsi a buona ragione dell’utilizzare il termine “ Country Soul “ come riferimento.
Dal Percy Sledge di “warm and tender soul “ al R.B. Greaves di “Take letter Maria “ ad, ancora prima, il Solomon Burke di “down in the Valley” e il Ray Charles di “modern sounds in country and western “, mai il Soul fu così Country grazie, in special modo, alla spregiudicata penna di Dan Penn e Spooner Oldham, gli autori di “Dark End of The Street”, “ I’m your puppet”, “ Do Right Woman “ e numerose altre.
Dan e Spooner sono solo la punta dell’iceberg di un movimento che vide autori pieni di talento all’opera : Tony Joe White, il grande Eddie Hinton, Donnie Fritts, Wayne Carson, il bravissimo Larry Jon Wilson, Travis Wammack, il bravissimo Charlie Rich che originariamente incideva per la Sun, Bonnie Bramlett che nei primi settanta girava il mondo con il marito Delaney.
Dan Penn e Spooner Oldham hanno riunito gran parte diciamo, quelli vivi! di questi nomi per un album di grandissime nuove canzoni ed interpretazioni, “Testyfin’”. Un disco di canzoni soulful e funky interpretate da uomini e donne bianchi, canzoni oneste, come le addita Jerry Wexler, l’anziano produttore della Atlantic records che calò letteralmente al Sud e scoprì questi talenti nel 1967.
“Testyfin’” è un disco bellissimo che, ad esempio, vi farà apprezzare ancora di più l’esordio di Ray Lamontagne, “ Trouble ”, e riscoprire vecchi classici attraverso i due album - raccolta accessori, “Country Got Soul” ( vol 1 e 2 ) entrambi della Casual Records.
Qui Penn e Oldham chiamano al loro fianco i fidi Roger Hood al Basso e Reggie Young alle chitarre e Bryan Owings alla batteria, mentre ogni cantante si è portato appreso qualche amico o un qualche amuleto. La magia è conservata, la stessa di una volta.
Le canzoni sono tutte bellissime con qualche punta come “Chicago Afterwhile” cantata da Dan Penn e scritta con Mavell Thomas, figlio di Rufus. Difficile e sbagliato sbilanciarsi per un disco del genere. Tocca il cuore per la sua bellezza e in fondo al 2004 faremo i canti anche con lui. Piace aggiungere che il documentarista Don Letts, collaboratore dei Clash e membro dei Big Audio Dynamite, ha realizzato un breve documentario di 10 minuti sul disco. Da avere assolutamente per accoppiare i luoghi alle emozioni.
Ernesto de Pascale
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