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Grateful Dead Fillmore West 1969
Grateful Dead Fillmore West 1969
(3cd)
(Rhino/Warner)
www.dead.net
Glorious “Live/Dead”, 1969 live album, reissued with original sequence. “Dark Star “stunning version!!!. Not “for deadhead only”!!!
Nell’inverno !968-1969 i Greateful Dead non erano ancora l’istituzione musicale in cui si sarebbero trasformati nei decenni a venire ma solo il gruppo di punta dell’area più sperimentale del rock psichedelico di San Francisco. Il loro nome aveva fatto il giro degli Stati Uniti più per la figura prominente sulla scena locale di Jerry Garcia, Captain Trip, il cui status di Guru, era, già ormai da un po’, insindacabile. Che musica suonassero però i Grateful Dead pochi lo sapevano davvero, visto che nei loro primi tre album il gruppo aveva fatto di tutto per confondere le idee con un folk rock evolutosi in un pastiche sonoro che non aveva lasciato contenti neanche i membri della formazione.
Jerry Garcia, Ron “PigPen”McKernan, Phil Lesh, Bob Weir, Jerry Kreutzman, Mickey Hart e Tom Costanten (l’ordine è strettamente per importanza, riferito a quell’epoca), non certo mostri in fatto di gestione imprenditoriale, avevano compiuto uno sbaglio dietro l’altro: troppi concerti gratis, budegt della casa discografica speso male, inimicizie in nome della schiettezza e una mal celata attitudine alle droghe ben oltre la tanto decantata ”ricerca interiore” di soli due anni prima.
Al gruppo di Haight-Asbury bastava però infilarsi in una delle celebrate improvvisazioni, la cui eco aveva già fatto il giro d’America, per far dimenticare a tutti problemi su esposti.
Il gruppo dei Grateful Dead doveva per far tornare i conti, per esprimere in pieno il potenziale, perché non aveva vere e proprie canzoni pronte da reggere l’impatto di un intero album essere ripreso dal vivo e così fra Febbraio e Marzo 1969 si passò a fare, con l’ausilio di una nuova macchina Ampex, a sedici piste, che permetteva chiarezza ed indipendenza dei singoli segnali audio per l’assemblaggio finale. Il luogo non poteva non essere San Francisco.
Dopo un paio di tentativi abortiti, tecnici e gruppo convennero sulle date che la band doveva tenere all’appena risorto Fillmore West (ex Carousel Ballorom).
La formazione si presentò davanti ai suoi fedelissimi fans ben preparato e pronto per la ripresa audio, certo che ciò che avrebbe fatto la differenza fra questo, futuro, album live e ciò che fino allora avevano prodotto in studio sarebbe stato un lungo brano, intitolato “Dark Star” destinato a sfociare in un altro (“St.Stephen”) e poi in un altro ancora (“The Eleven”), per poi terminare nel vecchio blues “Death don’t have no mercy”.
Nella nuova versione di 3 cd di quello che conosciamo come il nome di “Live/Dead” le limitazioni cronometriche del doppio disco decadono e vengono restaurate le sequenze originali dell’epoca: la “Dark Star” del 28 febbraio (cd 2), l’intero secondo set del 3 marzo (“That’s it for the other one” - “alligator” - “Drum” - “Jam” - “Caution” - “Feedback” - “we bid you goodnight”, cd 3). Il resto (cd 1 e inizio cd 2) è dedicato ai brani se il termine ci viene concesso dai deadheads di natura complementare(“doing that rag”,” cosmic charlie”, ”dupree’s diamond blues”, mountains of the moon”, ”Morning dew”, ”goodmorning little school girl”, ”turn your lovelight”).
Il doppio lp si snodava, invece, solo attraverso ”Dark Star-St.Stephen-The Eleven” (primo lp) e “Turn your love light” “Death don’t have no mercy” e la conclusiva “We bid you goodnight” (secondo lp) con gli obbligatori riposizionamenti di vinile sul piatto a interrompere l’atmosfera creatasi.
Nella nuova versione del disco tutto ruota intorno a “Dark Star” ed è subito chiara l’impressione che la band abbia ben presente il ruolo del brano. Riascoltandolo oggi si apprezzano le sottili sfumature più che mai e si percepisce che l’improvvisazione sia il frutto di un profondo periodo di ascolto, di sintonia, di concentrazione e anche di decisioni comuni.
Su tutti svetta, oggi più chiaro che mai, il ruolo del bassista Phil Lesh, sorta d’orecchio assoluto dei Grateful Dead, capace di raccogliere al volo qualunque suggestione sonora gettata lì dalla solista di Jerry Garcia e di imporre repentine svolte armoniche e tonali.
Gli altri membri del gruppo, aiutati dalle scale modali, sviscerano tutto ciò che hanno dentro ma poco possono davanti a questi due colossi dell’improvvisazione. Il formato digitale e il lavoro di post produzione fa apprezzare il ruolo di Tom Costanten fino ad oggi solo immaginato e il vox continental di Ron “PigPen” McKernan, il simbolico bluesman del gruppo che molti pensavano fino ad oggi non suonare neanche durante certi brani del concerto per riapparire solo nei blues.
“Live/Dead”, oggi “Grateful Dead Fillmore West 1969”. non perde quindi niente del suo smalto originario in quanto i brani scelti dal gruppo per la versione originaria del disco sono proprio il centro nodale della intera registrazione, segno che la band avesse le idee ben chiare di che strada voleva indicare al suo pubblico ed a uno più vasto che proprio con questo doppio disco dal vivo venne introdotta alla magia sonora dei Grateful Dead anno DOC 1969.
Un’affermazione di indirizzo e di unicità stilistica che da lì a pochi mesi il gruppo della bay area avrebbe sovvertito decidendo di indagare altri territori di stampo folk, country e in generale più acustico e legato alle radici della musica americana, relegando alle esibizioni dal vivo di raccogliere i frutti seminati con questo disco.
Compiendo una scelta rischiosa che quella stessa che, da sempre, appartiene solo ai grandi gruppi i quali oggi come ieri devono continuare a sperimentare altri campi e orizzonti sonori a discapito del facile successo commerciale.
Ernesto de Pascale
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