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Musica universale, il credo di Jacques Higelin

A French songwriter with an international view of inspiration

Entretien avec le musicien français apres son concert de Sanremo


Mesi fa sul Popolo del Blues (febbraio 2007) avevamo parlato di Amor Doloroso, l'ultima fatica discografica di Jacques Higelin. Un personaggio storico della musica francese, che ha iniziato a cantare interpretando Boris Vian e Charles Trenet (poi riaffrontato nella maturità), passato poi per la guerra d'Algeria e per il '68 francese del quale è stato un idolo. In Italia è tornato per ricevere a Sanremo un riconoscimento dal Club Tenco alla carriera per la sua attività di musicista. Alla soglia dei 70 anni Higelin è stato indubbiamente uno dei protagonisti della rassegna: alla conferenza stampa ha spiazzato tutti chiedendo scusa per aver bevuto un po' troppo vino rosso la sera precedente e rispondendo a volte in maniera ironica alle domande. Sul palco non si è limitato a cantare e suonare piano e chitarra ma ha rincorso il cameraman, litigato con il filo del microfono, seguito la telecamera mobile fino a quando il jack della chitarra non si è staccato. Siamo riusciti a raggiungerlo nei camerini dopo questa esibizione e anche se appagato dallo sforzo non aveva perso il gusto dell'ironia, dimostrando di essere un musicista di larghe vedute (oltre che di eccellente qualità come dimostrato sul palco).

In Amor Doloroso sono presenti molti generi diversi. L'ha considerata come un'antologia della propria esperienza musicale?
«Sì, ci sono delle forti differenze stilistiche tra un brano e l'altro ma non ho programmato l'album in questo senso. Ho pensato di fare musica e scrivere parole. Non ho mai detto, facciamo un rock, un blues. E' semplicemente l'ispirazione che mi ha guidato di volta in volta. Il musicista è come un traduttore, uno che traduce la realtà in versi e canzoni».

Il titolo (e la canzone) Amor Dolororo sono un omaggio alla cultuta italiana oppure sono due parole che le sono sembrate musicali o con un bel suono nel loro abbinamento?
«...non so perché (e canticchia “amor, amor doloroso”). Ero al mare, al limite della spiaggia. Avevo le gambe nell'acqua e improvvisamente ho messo il piede su un'ostrica, la mia donna mia aveva lasciato cadere. Quindi ho cominciato a gridare “amor, amor doloroso”. In fondo avevo provato dolore. Si fanno le cose che si sentono e che si vivono. O non è vero?» (Prendiamo per buona la risposta. Alla conferenza stampa gli avevano chiesto “Perché Amor Doloroso?”.La sua replica “Perchè no?”)

Negli anni '60 lei ha passato un lungo periodo a New Orleans? Quanto ha influito il contatto con il blues della città sulla sua ispirazione?
«Mi piace molto il blues, ma non penso mai in termini di stile, piuttosto di musica. E' vero che quando si ascoltano alcuni brani miei si possono percepire qua e là momenti di blues tradizionale, tanto che quando me lo fanno notare sono molto soddisfatto. Sto attento però a fare in modo che questi momenti siano diversi l'uno dall'altro, poi il brano prende una sua direzione ben precisa. A volte dal blues si passa a momenti più decisamente rock».

Lei e altri musicisti francesi amate il rock'n'roll, tanto da usarlo spesso..
«Ma ci sono delle differenze molto marcate in questo genere. Il rock può essere Lou Reed o Patti Smith e già notiamo un divario, oppure può essere Frank Zappa e allora si passa a un linguaggio più sperimentale. E' un movimento molto conplesso che si muove in varie direzioni. Pensi ai Beatles, sono un gruppo che viene dal rock'n'roll e poi nasce un brano come Blackbird che è una splendida canzone grazie alla sua melodia. Non voglio parlare di etichette. Posso essere al tempo stesso ispirato dal rock ma anche da Mozart o da Schoenberg, ascoltare un frase che fa nascere una nuova canzone».

Volevo chiederle qualcosa sulla nuova scena musicale francese. Cosa ascolta? Chi può citare di artisti che le piacciono?
«Innanzitutto mio figlio Arthur H, eccellente. Poi ricordo Miossec, Alain Bashung, molte cose di Renaud. Camille è fantastica, va ascoltato l'album Le Fil. Ho sicuramente dimenticato qualcuno ma la scena è molto interessante. Però ribadisco che la musica è un linguaggio universale, e quando ascolto una cosa all'inizio non mi pongo il problema se è francese, italiana o di altre nazionalità».

Michele Manzotti

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