Tom Waits continua a picchiare duro e riesce a trasformare un disco dal vivo in una incursione nella terra dell’imprevedibilità, quasi un invito a tutti quelli che tentano di imitarlo a smettere di farlo.
Basato sul più recente tour americano, Glitter And Doom, il doppio album ha connotati precisi: il primo dei due dischi comprende 17 robuste performance selezionate senza concessioni di alcun tipo ma è il secondo cd quello che fa la differenza. Intitolato Tom Tales, raccoglie infatti in un solo take i temi cari che Waits affronta nelle conversazioni col pubblico durante i set acustici del suo recente show, dall’ultimo respiro del magnate dell’automobilismo americano, Henry Ford, ai poco noti rituali quotidiani degli insetti.
Come in un film di Tod Browning i personaggi cari al cantautore (???) di Ponoma, California, che compie sessanta anni fra pochi giorni, sfilano quasi a stilare un summa della sua lunga carriera: predicatori, cantastorie, balordi, cabarettisti, saltimbanchi, maghi, peccatori, santi, guardie carcerarie, istruttori di danza, sciamani, fuggitivi, addirittura un fochista e un panettiere si vanno a sedere alle spalle di Waits.
Quel che è accaduto durante il tour è semplice da intuire: Tom si è totalmente distaccato dall’incarnazione originale di ogni singola canzone e ha vestito gli abiti dell’incantatore di serpenti(non era la prima volta!), ridando ad esse nuova vita. Lo può fare perché ha dalla sua una band versatile e perché può affondare le mani in una valigia dell’attore a doppio fondo.
Eccolo allora tirar fuori ritmi tribali da paludi non bonificate, inni sacri da grammofono, ballate tzigane per feste mobili, boogie barrelhouses suonati su improbabili pianin con la rota, blues arcani riparati e rimessi in pista da meccanici di carrozze zoppe e armonicisti bricconi, rhythm & blues monchi da chitlin circuit accesi da fili elettrici scoperti che attaccati alle orecchie dell’ascoltatore faranno saltare in aria anche il più mesto seguace del nostro.
Da Get Behind The Mule a Singapore nulla è più come era una volta ed è subito chiaro che Waits sembra dirci che il prima non esiste, che si deve dimenticare, che non resta che giocarsi le carte rimaste sul tavolo verde della vita.
Un senso di devastante medio evo prevale dalla maestosa teatralità del voce di Waits, mefistofelico croupier di un raccapricciante gioco delle carte che colui che ascolta fin da subito presagisce verrà vinto dal bieco bluesman che tiene il banco.
Ma come tutti sanno, il gioco è un vizio. Difficile smettere.
Tom Waits con questo live vuole solo invitarci a giocare ancora con lui.
Ernesto de Pascale
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