Nel 2008 il progetto musicale di Vasco Brondi, Le luci della centrale elettrica attirò una grande attenzione di pubblico e critica per un lavoro che tornava alle radici del cantautorato impegnato italiano e si inseriva perfettamente nella contemporaneità. Grazie a una poetica barocca ma efficace Brondi riuscì a toccare le corde più profonde delle ansie, dei disagi e degli esistenzialismi giovanili.
Dopo aver girato praticamente tutta l’Italia, amato dai più giovani e mediamente odiato dai molti cantautori che ancora non ce l’hanno fatta, Brondi ci ha riprovato. In Per ora noi la chiameremo felicità (come diceva Léo Ferré) Le luci della centrale elettrica cantano il male di vivere dell’età contemporanea, narrano una condizione giovanile senza speranza, affogata nel precariato, nell’incubo della disoccupazione, sospesa tra amori che non riesce a vivere pienamente e rabbie che si sfogano soltanto nel nichilismo più assoluto. Rispetto al precedente disco “Canzoni da spiaggia deturpata” se possibile la visione del mondo questa volta incentrata praticamente sul solo mondo del (non)lavoro è ancora più negativa e pessimista, rassegnata.
Tuttavia, se almeno il tema è più circostanziato e meno sfuggente rispetto al precedente lavoro, dal lato musicale le variazioni sono purtroppo pochissime. Nel primo disco Vasco Brondi era sembrato un cantautore coraggioso, capace di grandi sforzi di creatività. Sembra invece che si sia adattato ai propri cliché di poeta maledetto specializzato in versi sciolti e accostamenti arditi, limitandosi a cantare-parlare sopra semplici accordi di chitarra. Allora il risultato musicale si fa confuso, le canzoni si somigliano più o meno tutte e peggio ancora somigliano tutte a quelle del disco precedente (senza però i grandi picchi di creatività dell’esordio).
Dal punto di vista della poesia, se così la vogliamo chiamare, l’abilità di Vasco Brondi sorregge pezzi deboli, o comunque non fortissimi. Anche questa abilità tuttavia oscilla tra versi suggestivi, ammiccanti, immaginifici e accostamenti senza praticamente nessun senso, come nemmeno il miglior Bob Dylan si poteva permettere, figuriamoci Le luci della centrale elettrica.
Detto questo i pezzi meritevoli di un ascolto ripetuto sono in fondo soltanto due: L’amore ai tempi dei licenziamenti dei metalmeccanici, sorretto da un’ottima melodia; Anidride carbonica, in assoluto il brano con il testo più ispirato, un punk acustico che esplode in una frenesia rock, una strada che Brondi avrebbe forse potuto approfondire.
Matteo Vannacci
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Cara catastrofe
Quando tornerai dall’estero
Una guerra fredda
Fuochi artificiali
L’amore ai tempi dei licenziamenti dei metalmeccanici
Anidride carbonica
Le petroliere
Per respingerti in mare
I nostri corpi celesti
Le ragazze kamikaze
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