Mark Brine had a long carreer in music system with a lot of good album, that shows his personal research on roots music. His new album, I Deliver, sounds like the ol’ songs of 78 recordings from
the '20s and '30s.

Mark Brine ha una carriera lunghissima alle spalle, fatta di dischi qualitativamente ottimi, con la caratteristica peculiare di mescolare sapientemente il country e il folk in uno stile personalissimo. La sua carriera è stata comunque sempre segnata da una grande ricerca sulle radici del sound americana, ed in particolare sul blues. Camminando sulla stessa strada battuta da Stephen Foster prima e dalla Carter Family e Johnny Cash poi, Brine è tornato al sound sporco dei vecchi settantotto giri degl’anni venti e trenta, ricreando ottimamente in studio quelle atmosfere e quei suoni vintage che a distanza di molti anni continuano ad affascinare ogni appassionato. Nonostante al critica lo abbia sistematicamente ignorato, con I Deliver, il suo nuovo album, Mark Brine ha tentato di dare un taglio più impegnato al suo sound riducendo all’essenziale gli strumenti e puntato molto sulla sua voce. Ne è uscito un disco di buona fattura, che viaggia a metà strada tra il blues bianco di Chikenfeed con tanto di yodeling a volte, e il blues nero di Cranky Ole Cantankerous Cow, tanto per citare i due opposti in questo disco. La miscela di blues bianco e blues nero, si arriva a confondere nella sincopata Mrs. Blues, trova sbocchi in aspettati nella swingante title-track, e si realizza a pieno nel country pigro e indolente di Still Waitin’ For A Train. Sorprendono per inventiva le note di El-Duke-O Blues dove a farla da padrone è il piano in bella evidenza, meno convincente risultano le stanche Like Crazy e Skinny Dippin' Blues, che segnano i tratti meno caratterizzanti di questo disco. I Deliver, scivola così facendosi apprezzare, ma non impressionando particolarmente, se non per alcuni spunti di contaminazione sonora.

Salvatore Esposito