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Al Green - I can't stop
(blue note)
Per Al Green il soul è una cosa naturale, una parte della sua vita, come la musica. Per Al Green non ci sono album belli, album meno belli ma lo scorrere delle cose secondo i tempi, i modi di ciò che accade e lo circonda. Anche per Green, questo il suo vero cognome - la e se la tolse con un bel po' di malizia quando si fermò a Memphis proveniente da un lungo viaggio iniziato nel suo stato natale, il Michigan - ci sono comunque certezze che lo tengono ben fermo sulla retta via dopo anni di eccessi. Quella che ce lo ha riportato saved negli anni ottanta è rappresentata dal Signore, del quale è oggi pastore, l'altra, quella che ha siglato una lunga sequenza di successi fra il 1971 e il 1971, è rappresentata da Papa Willie Mitchell che ancora oggi, a sud di Memphis, gestisce il Royal studio, una vecchia sala nata per il cinematografo muto nel 1915 ma ancora centro nodale dell'attività di quella che una volta era la Hi, la sua etichetta. Oggi a Lauderdale l'etichetta non c'è più ma Mitchell ha saputo mantenere in vita la sua attività e lo studio è meta di tanti artisti di successo della musica country e soul ( Robert Cray vi registrò non più tardi di 5 anni fa, dopo avervi esordito nei settanta). Adesso che Mitchelle e Green sono tornati a lavorare insieme non poteva perciò essere prodotto nessuna album che fosse meno di un piccolo capolavoro di misura e discrezione. Non solo perché i due hanno una speciale mistura che per essere messa in atto necessita di quella voce ma perché ai due si aggiunge la misurata emotività di due fratelli Manon Teenie e Leroy Hodges rispettivamente chitarra e basso che, come si dice, fanno la differenza assieme a tre voci di coro quelle di Donna e Sandra Rhodes e Charlie Chalmers che, oggi come allora, in un buon disco possono veramente fare la differenza. Coloro i quali hanno gridato al miracolo ascoltando la sedicenne Joss Stone o si sono emozionati con Alicia Keys giovanissime artiste per le quali non abbiamo da segnalare alcuna controindicazione per il nuovo album di Al Green, il primo con Willie Mitchell, il suo produttore degli anni migliori, in 25 anni, dovranno solo dare il benvenuto al miglior disco di Soul con la S maiuscola del 2003 così come quello di Solomon Burke lo fu per il precedente anno 2002. Non sappiamo se Al e Solomon si siano parlati visto che sono entrambi Bishop non lo escludiamo a priori! ma se si fossero messi d'accordo per sottolineare quanto la storia, la classe, l'eleganza e un certo stile che viene dal passato è insuperabile, allora li dobbiamo ringraziare per averci regalato due dischi come da tempo non se ne sentivamo nella musica nera, con buona pace di tutti gli altri. E adesso, se gli regge la pompa, sarebbe l'ora di James Brown, ma dubitiamo che l'uomo più indaffarato dello showbusiness possa ripetere certe elucubrazioni funk come quando aveva quarantanni.
Ernesto de Pascale
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