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Lambchop - Aw C'Mon/No You C'Mon
(Merge/EMI)
Torna la band-collettivo di Nashville, con due dischi venduti al prezzo di uno solo. Fin qui niente di strano, di album doppi ne circolano da più di 40 anni, ma le cose si complicano quando una nota di Kurt Wagner in persona precisa che i due lavori, Aw C'Mon e No You C'Mon, godono di vita propria e come tali devono essere considerati, pur ammettendo che entrambi fuoriescono dalle stesse sessioni di registrazione. Considerateli come volete, album doppio o inaspettata mattana, quel che davvero ci interessa è che questa doppietta suggella un percorso creativo lungo dieci anni, ponendosi di fatto come testamento definitivo, come vero punto d'arrivo, del peculiarissimo stile-Lambchop. Non che i due dischi presentino grossi cambiamenti, dunque, il territorio battuto è ancora quello di una Nashville laterale, attenta più all'intero universo della canzone americana che a quella locale, attitudine che naturalmente libera i nostri quindici (o più?) eroi dalle catene del manierismo in cui le glorie country sono da tempo confinate. Lasciati da parte gli arrangiamenti scarni del pregevolissimo Is a Woman, il capitolo più cupo ed introverso della loro storia, ecco tornare a spron battuto il wall of sound di Lloyd Barry, ancora una volta assieme agli archi della Nashville String Machine. Lo accompagna una novità, del resto la famiglia Lambchop è da sempre allargata, un chitarrista imberbe di nome William Tyler, che in questi 24 pezzi si ritrova a giocare una parte più importante di quanto avrebbe mai sognato, se è vero che, come dice Wagner, ha portato in dote entusiasmo e quello spiccato senso della melodia che non si rifiuta mai. Detto che il suono è quello, bisogna anche ricordare che i Lambchop possono essere paragonati soltanto a loro stessi. Dunque, per un ipotetico album di riferimento c'è da tirare in causa Nixon e le sue ambizioni da bignami della musica americana bianca e nera, soprattutto nel caso di No You C'mon, su cui c'è un uso più deciso della chitarra elettrica così come delle orchestrazioni. Si prenda Nothing Adventurous Please, imperniata su un'elettricità fragile e distorta, o la giocosa Shang a Dang Dang , ma anche uno strumentale nervoso come Jan. 24, che usa la porta di servizio per scappare da Nashville e si ritrova sperso nei territori dell'indie rock. Oppure There Is Still Time, che vive sugli arrangiamenti di Barry, potenti senza mai rompere le righe del buon gusto, o Under the Dream of a Lie, altro tentativo, riuscito, di portare il Philly Soul nelle ridenti lande del Tennessee. Aw C'Mon ne è il fratello più quieto: naviga senza dubbio nelle stesse acque, ma lo fa attraverso momenti più raccolti, lasciando emergere il piano di Tony Crow. Nothing But a Blur From a Bullet Train e il lounge-jazz ironico Women Help to Create the Kind of Men They Despise potrebbero essere i brani migliori di tutto il raccolto, ma con loro rivaleggiano I Hate Candy, resa enorme da archi in stile Motown, o Four Pounds in Four Days e Steve McQueen, due ballate country (eh, sì) che forse farebbero contenti anche i puristi. Se c'è un appunto da fare a No ed Aw, riguarda la presenza di troppi strumentali, alcuni in verità pregevoli cone Sunrise, Being Tyler o la già citata Jan.24, che spezzano il registro narrativo della voce di Wagner. E' comunque poco per confutare la ricchezza di suono diffusa su entrambi i dischi, testimonianze preziose del successo con cui i Lambchop hanno definito le coordinate di un universo alternativo, dove la tradizione non si pesta la coda e riesce a reinnestarsi con naturalezza nel cursum della canzone americana. Di questi tempi non è poco.
Bernardo Cioci
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