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Stan Ridgway – 21 gennaio 2005, Auditorium Flog, Firenze
www.stanridgway.com

C’era una sottile sensazione di inquietudine, assolutamente immotivata, attorno a questo concerto. Molti erano dubbiosi riguardo alla resa acustica della musica di Stan Ridgway, troppo ricca e complessa per essere restituita su un palco da un paio di chitarre acustiche e una tastiera. Timori fortunatamente immotivati, del resto quella del musicista americano rimane una voce di intensa bellezza e la scrittura dei suoi pezzi troppo forte e sicura per poter scivolare su arrangiamenti più semplici. Ridgway mancava da tanti anni – la sua è stata un’influenza importante sulla new wave fiorentina – e di conseguenza l’Auditorium Flog ha messo in bella mostra un pubblico decisamente numeroso, composto sia da nostalgici che da giovani, a conferma di una popolarità sotterranea che continua a fiorire anche negli anni 2000. Con lui sul palco, l’inseparabile moglie Petra Wexstun alle tastiere e come seconda chitarra acustica un turnista italiano scelto per l’occasione. E’ dai tempi dei Wall of Voodoo che Ridgway riesce a maneggiare la tradizione americana senza inopportuni calligrafismi, infettandola in egual modo col post-punk o con Morricone, ma solo con l’ultimo album Snakebite: Blacktop & Fugitive Songs vi ha compiuto un salto deciso. Questo tour ne è la conferma. Le sue nuove canzoni, da Your Rockin’ Chair a One Manhattan Moment, vivono della stessa inquietudine noir di sempre, tratteggiando un’America oscura e periferica il cui afflato è mai meno che letterario. E quando ripercorre una serie di brani storici, Factory, Camouflage, The Big Heat, Goin’ Southbound, roba che a suo modo ha fatto la storia, li rivela in veste nuda, essenziale, completamente spoglia della tecnologia su cui vivono le loro controparti registrate, inserendoli di fatto in una continuità di più ampio respiro. Con la sua voce nasale, riconoscibile fra migliaia, a dare quel soffio vitale che le rende uniche.

Bernardo Cioci




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