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Adam Green: Gemstones
(Roughtrade)
www.adamgreen.net
Fascinating trip into some lost Sounds of “American Metaphors” via Vaudeville, novelty songs, musical comedy songs. With a New York City punk attitude. Impressive!
Affascinante terzo album solista per il 23enne componente dei Moldy Peaches (dei quali ci eravamo occupati già nel 2001), un talentuosissimo cantautore impavido che nel primo minuto di “Gemstones” licenzia otto differenti parti di uno stesso brano senza mai ripeterne uno. Affascinante perché Green ha una scrittura matura e veloce, newyorchese, può servire a capire?, da cui scaturisce fuori una fortissima vena grottesca che lo rende più simile a un autore di un musical che a un vero cantautore. “Down on the street” è un sipario da Broadway, mentre subito dopo, “He’s the Brat “ ce lo mostra alle prese con emozioni alla Rocky Horror Picture Show. Adam è evidentemente intelligente nel suo rapporto con la musica ha il dono della cantabilità (“Carolina“), dono sempre più raro e un amore per il classico suono newyorchese di una volta che non il recensore non ricordava dai tempi di “The strangers“ di Billy Joel. Green, a differenza di tanti altri giovani talenti di oggi, ha poi una mano particolarmente fortunata negli arrangiamenti; i brani scorrono via benissimo e tutto è ok ma ascoltate dieci volte “Over the sunrise“ e scoprirete una perfezione e una voglia di tornire le ombre e le sfumature musicali veramente tipiche della mano dorata dell’arrangiatore di classe. Vagamente Glam (“Carolina“ in cui Dovstoijeski fa rima con Fab Moretti degli Strokes), Adam Green continua la migliora tradizione delle novelty e comedy songs. Impera la metafora in questo “Gem Stones“ come in “Choke on a Cock” una canzone secondo l’autore su come “ spendere la vita guardando la televisione senza alcuna chance di incontrare una sola delle celebrità che ogni giorno vediamo”. Considerato dalla stampa in uguale misura un genio (Mojo) o una “bufala” (Uncut lo ha definito “More infantile than aggressive“), Green farà molto parlare di sé in futuro. Per lo meno così speriamo noi a Il Popolo del Blues perché l’impressione più chiara che questo “Gemstones” ci dà è quella di un disco scritto da un giovane che vuole graffiare a lungo e non si può che essere raggianti per questo.
Ernesto de Pascale
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