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John Fahey: The Great Santa Barbara Oil Slick, live at Matrix, San Francisco 1968/1969
(Water139) Water P.O. Box 2947 San Francisco 94126 U.S.A.
www.revenant.com
www.johnfahey.com



Chitarrista acustico dallo stile unico e personaggio della musica americana fra i men indagati, John Fahey ci ha lasciato nel 2001 dopo una carriera durata più di trent’anni (il suo primo album, “the transfiguration of Blind Joe Death“ risale al 1959) e costellata da capolavori della chitarra fingerpicking. Virtuoso e impeccabile tecnico, Fahey era più interessato ai contenuti che all’esposizione delle proprie capacità di interprete e le sue composizioni prediligevano il lato oscuro della musica. Queste registrazioni, che vedono la luce oggi per la prima volta, rappresentano il più antico reperto del musicista dal vivo e per questo sono particolarmente benvenute. Sono anni, il 1968 e il 1969, di lavoro costante per Fahey, uno dei pochi chitarristi acustici solisti a vivere della propria musica e lo spettacolo del 1968 al club Matrix di San Francisco è particolarmente convincente. John dissemina lungo 14 brani, composizioni che pescano dalla sua già vasta discografica e alcuni inediti che finiranno poi su “The Yellow Princess”, l’album che stava incidendo per la Vanguard. L’alto grado di concentrazione e una qualità improvvisativa e di costruzione della composizione work in progress appaiono chiare all’ascolto. Tralasciando la precisione dell’esecuzione e soffermandoci sui motivi delle composizioni, John Fahey dimostra di essere un uomo animato da “visioni“; la musica è cinematica – Antonioni non a caso lo sceglierà per commentare alcune scene di “Zabriskie Point“ – e il senso di profondità è tangibile. Le visioni di John saranno quelle che amplificate diventeranno poi i fantasmi che animarono i suoi ultimi anni di vita, quelli in cui decise di sradicarsi quasi completamente da se stesso, dal suo stile di arpeggiatura, dalla sua vita reinventandosi come clochard, come chitarrista elettrico, come guru, come guardone e girolimoni.
Qui siamo però lontani dai problemi a venire: in queste registrazioni incontriamo un uomo a suo modo ardito nelle scelte, un pioniere che vuole andare oltre i confini di uno strumento che ha imparato a conoscere in tutti i suoi dettagli. In quel 1968 Fahey svolgeva tutto questo presentandosi davanti al pubblico e riuscendo a farsi apprezzare e a creare un interesse costante intorno a se, quella stessa attenzione che non lo lasciò mai fino alla fine.
Negli ultimi anni di vita John, in un qualche guizzo di lucidità, fece nascere la Revenant, l’etichetta che gestisce oggi il suo archivio (ascoltiamo queste registrazioni grazie a loro!) e con cui, ancora in vita, produsse album come l’ultimo “Hiromi“, dedicato alla diciannovenne fidanzata giapponese, o la essenziale raccolta Bashovia, dedicata a un altro padre della moderna chitarra acustica, Robbie Basho. In un’epoca, i sessanta, in cui l’eclettismo contava, John Fahey ricopriva un ruolo esattamente riconoscibile nella riscoperta della musica americana delle radici - Jorma Kaukonen, Leo Kottke non avrebbero mai fatto il grande salto senza Fahey. Il senso di solitudine, psichedelia latente, vagabondaggio erratico che pervadono questo “The Great Santa Barbara Oil Slick” ci fanno ancora di più apprezzare un musicista che ha fatto compiere un salto in avanti alla chitarra acustica e del quale ci auguriamo di leggere presto una biografia o vedere un documentario a lui dedicato.

Ernesto de Pascale




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