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Jon Brion live @ Largo’s, Los Angeles, 22.12/2005
Jon Brion live @ Largo’s, Los Angeles, 22.12/2005
Nella stanza della musica di Jon Brion tutto è possibile. Il padrone di casa è lui e la musica gli assomiglia in maniera impressionante, la strumentazione che lo circonda parla della sua personalità: un antico piano verticale sgangherato e scordato, un wurlitzer del dopo guerra con il suono del carillion, una batteria che fa tump tump come come un fustino del dixan, amplificatori che vanno accesi almeno un’ora prima e si spengono come televisori degli anni cinquanta, con un sibilo e uno scoppio. Poi chitarre trovate dal rigattiere, pedali e devices vintage ed infine un vero studio di registrazione contenuto nel più piccolo portatile visto al mondo. In mezzo a tutto ciò, nascosto ma neanche troppo, lui che suona per se e per la sua fantasia, qualche volta per la propria memoria. Jon Brion suona il pianoforte, prima come Debussy, accarezzandolo con le lunghe dita, poi come Monk, percuotendolo e infilando le mani fra i tasti per la rabbia dei maestri di strumento. Davanti a lui, anche questa stasera come tutti i giovedì da cinque anni a questa parte, un pubblico di sole cento persone, Largo’s al completo insomma! che ha la fortuna di poter vedere all’opera, come in un vero Truman Show, l’artista.
Della serata resta l’amore per la melodia, l’omaggio al The Wall of Sound di spectoriana memoria, un groove formidabile che aleggia sempre, un uso del rumore sempre musicale e mai gratuito. Poi arriva Fiona Apple: si mangia le unghie, sembra un canarino in gabbia, vorrebbe cantare ma le parole non escono fino a che lui non la guarda con quello sguardo ed è subito la stessa magia delle canzoni di Aime Mann, Nerina Pallott e altri ancora. Come caduta in trance Fiona canta “do nothing ‘till you hear from me”, ”don’t get around much anymore” di Duke Ellington, accompagnata solo dal piano e/o dalla chitarra acustica di Brion. Pubblico in estasi per le canzoni di “extraordinary machine” che assumono luce nuova ed inedita, spogliate dagli orpelli che proprio Brion, meglio di altri ha saputo dare alle composizioni di Fiona sin dagli esordi. Poi lei scompare come in preda a una crisi di nervi e non tornerà più, nascondendosi fra le chitarre e i sorrisi isterici dei gestori. Brion continua invece il suo gioco di luci ed ombra evocando fantasmi del passato resi irriconoscibili dal suo talento mentre il pubblico è assorto, silenzioso, attento, come i più assidui frequentatori della vita notturna locale dice non essere mai quello della città degli angeli. Andrà avanti per quasi quattro ore. All’uscita ci aspettano i frequentatori di Canter’s il più antico delicatessen di L.A. celebrato in tante canzoni, da Zappa a Waits. “Ancora oggi imbattibile”, afferma proprio Brion che incrocio sulla porta mentre se n’esce con in mano un immenso pastrami sandwich. E lo vedo perdersi nella notte di Fairfax Avenue con la stessa lievità delle sue note, mentre quelle strane melodie continueranno ad aleggiare nella mia mente per molti giorni ancora, solide come quando la musica sa di aver detto cose importanti ed autorevoli.
Ernesto de Pascale
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