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50 anni “On The Road”
Mezzo secolo fa Kerouac scriveva il suo romanzo più famoso, lasciando un marchio indelebile nella cultura popolare.

Jack Kerouac On the RoadAndando direttamente al punto Bob Dylan disse una volta: “Ho letto On The Road nel 1959, cambiò la mia vita, così come ha cambiato quella di ciascun altro”
Quest’anno, nel 2007, Sulla Strada compie 50 anni e continua a cambiare la vita dei propri lettori.
Il romanzo era stato scritto di getto nel ‘51 da un modesto scrittore franco canadese del Massachusetts, tale Jack Kerouac, balzato da pochissimo all’attenzione della critica con The Town And The City, un’imitazione piuttosto evidente di Tom Wolfe. Fino ad allora Kerouac era stato un giocatore di football di belle speranze, un cuoco della marina in guerra poi congedato per nevrosi, qualche precedente penale, problemi con alcool e droga. Aveva coniato anche un’espressione destinata ad avere futuro, quella di Beat Generation, la generazione battuta, di cui facevano parte molti altri scrittori ed artisti, un grandioso gruppo di amici in cui oltre a Jack spiccavano Allen Ginsberg, William Burroughs, Neal Cassady. Per la società del tempo in pieno delirio ultraconservatore Kerouac era, comunque, un fallito.
In ogni modo la paura della potentissima commissione McCarthy congelò le case editrici e dovettero passare ben sei anni prima che, nel 1957, la Viking Press, accettasse il libro e lo pubblicasse sul mercato americano dove il successo fu inaspettato ed eccezionale.
Disse William Burroughs: “On The Road spedì un’infinità di ragazzi sulla strada, l’alienazione, l’inquietudine, l’insoddisfazione erano lì che aspettavano quando Kerouac indicò loro la strada.”

Jack Kerouac On the RoadFu una vera e propria generazione che si gettò sulla strada. La gioventù bruciata, quella che aveva pianto James Dean, quella che già ballava Rock N Roll, che si faceva nei locali di qualche ghetto d’America ascoltando rapita e allucinata Jazz, Blues e Bebop. Pochi romanzi, poche opere d’arte in generale, hanno avuto nella storia un’influenza così forte sulla gente e sull’evoluzione dell’arte stessa.
Negli anni successivi Bob Dylan divenne il cantautore più famoso al mondo, dall’altra parte dell’oceano nacque la musica Beat, indicava un ritmo, ma per chi non crede al caso, la coincidenza non sembrerà poi così ardita. La musica liberò ancora di più i costumi, erano già altri tempi ma l’onda lunga di On The Road era arrivata anche in Europa e, per una volta non troppo in ritardo, in Italia. Il biennio 1968 – ‘69 segnò il punto più alto della parabola, tra psichedelia, acidi, sesso, filosofie orientali, pacifismo. Poi ci furono i segnali di cedimento, le prime violenze, le prime morti assurde. Kerouac uscì di scena nel momento più bello, nell’ottobre 1969 quando, forse, non c’era rimasto molto da vedere. Terminati e spesso falliti i sogni generazionali il clima si fece più minimalista, gli eccessi e l’irrefrenabile gioia di vivere di On The Road erano un bel passato e la società tendeva a valori, o disvalori, differenti. Qualche anima sognatrice rimaneva; un ancora semisconosciuto Tom Waits, nel 1977 componeva lo strepitoso Medley: Jack & Neal / California, Here I Come. Nel ’77 esplodeva anche il Punk, e il Punk nel suo aspetto più visionario e tendente all’autodistruzione tocca, spesso anche coscientemente aspetti di filosofia Beat. Non era forse la stessa Beat Generation battuta di fronte alla società moderna, oppressa da fantasmi di imminente apocalisse, estraniata, plagiata, psicanalizzata?

Il resto è storia moderna, On The Road, non è più il titolo di un libro, On The Road è un’espressione proverbiale, è una delle prime due o tre cose che vengono in mente quando per associazione di idee si pensa agli States. Prima di Bush, prima di McDonald’s, prima della Coca Cola, se una persona pensa all’America pensa alla strada, sterminata e desolata che corre in mezzo alle pianure, dritta verso l’alba verso l’Est e la California. Sulla strada ad oggi ha venduto più di 3 milioni di copie ed è stato tradotto in 25 lingue, è studiato nelle scuole, trova posto nelle antologie di letteratura inglese, già da tempo si parla di un film che dovrebbe uscire nel 2009.

Jack Kerouac On the RoadA cinquanta anni di distanza questo romanzo continua ad affascinare, lo stile è un esempio tuttora insuperato di fusione tra musica e letteratura, dove le atmosfere da improvvisazione Jazz, quelle dei locali neri di New Orleans e del grande Charlie Bird Parker, si fondono ad un vortice di parole per creare una prosa mai così musicale, sognante e innovativa.
A cinquanta anni di distanza On The Road è il modo migliore per avvicinarsi alla Beat Generation; nelle sue pagine, per lo più autobiografiche, si trovano con altro nome tutti i protagonisti di questa avanguardia americana. C’è Allen Ginberg, il poeta, il santone filocomunista, dichiaratamente omosessuale che con Howl spazzò via dall’America ogni maschera benpensante. C’è William Burroughs, il pazzo, quello che in un pomeriggio troppo caldo sparò alla moglie giocando a Guglielmo Tell e dovette rinchiudersi in una casa di Tangeri, sommerso da milioni di foglietti dove scriveva i propri libri. C’è Neal Cassady, il motore instancabile del gruppo, il grandioso ladro di automobili di Salt Lake City, scomparso nel modo più romantico, camminando allucinato sotto la pioggia battente nella notte messicana. C’è, ovviamente, Jack Kerouac, forse lo spirito meno folle della generazione e l’unico che profondamente attratto da questi artisti avrebbe potuto, in una pagina memorabile, celebrarne la leggenda che vive ancora oggi:
“...e io arrancavo loro appresso come ho fatto tutta la mia vita con la gente che m’interessa, perché per me l'unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi artificiali color giallo che esplodono come ragni attraverso le stelle e nel mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno Ooohhh!”

Matteo Vannacci

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