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Ryan Bingham
Live @ Rolling Stone, Milano 19/01/2008
Sabato sera qualunque in un bar di Austin, Texas oppure Sabato sera al Rolling Stone di Milano per salutare il debutto italiano di Ryan Bingham, indicato da molti come il nome nuovo per eccellenza del cantautorato texano, un giovane che solo pochi mesi fa Joe Ely promuoveva a destra a manca con poco successo. Poi le cose cambiano, si sa, e Ryan, supportato da una solido management che lo ha legato alla Universal per tutto il mondo, si ritrova ieri a Berlino, oggi a Milano.
La sua scelta migliore questa sera è stata quella di non cambiare approccio con la musica e trattare i presenti ( molti addetti ai lavori e amici, in generale la sensazione di una bella serata) come i suoi compaesani e cioè distribuendo mazzate pesanti che poco hanno a che fare con le atmosfere ricercate che il produttore Marc Ford (ex Black Crowes) aveva prediletto per il disco. Tutto si muove a velocità e volumi da concerto rock: le ballate, belle, intense, sorprendentemente mature, si alternano a dei rockettari sudisti che vedono il suo gruppo, The Band of Horses, impegnati in pompaggi che, se da un lato stupiscono, dall’altro lasciano con il sorriso sulle labbra perché i ragazzi ci sanno fare.
Tripudio generale perché poi a Austin come a Milano alla gente piace il casino soprattutto se texano ma anche la sensazione di non aver capito o conosciuto il vero Bingham sempre che Ryan lo conosca. E mi allontano nella nebbia che si taglierà con il colettlo fino a Bologna la riflessione in me che forse fra tre, quattro anni ce lo ritroviamo qui in Italia, esperienza major conclusa alle spalle, suonare oscuri gig in questo o quel localino ma senza nessun rimpianto. Perché - deduco parlandone con il collega e cantautore Massimiliano La Rocca che vive di texas a colazione, pranzo e cena! - la filosofia americana del gig, lontana mille miglia da quella dell’evento, tutta italiana, è la dimensione consona al vero musicista il quale, vada come vada, sa trovare in ogni luogo del mondo, su ogni palco grande o piccolo, la sua ragion d’essere. Una ragione che Ryan ha dimostrato già conoscere bene.
Ha aperto la serata in perfetta solitudine l’australiano trapiantato a Londra Liam Gerner, bravissimo, con un pugno di belle canzoni in tasca e una innata comunicativa. Quando alla fine del concerto ci siamo scambiati due parole ei rispettivi dischi, ascoltando il suo Ep scopro arrangiamenti e una produzione che punta a un pop sofisticato ma deciso, lontano dalla immediatezza vista.
Un motivo in più per riflettere su come poi il rapporto fra discografia e spettacoli dal vivo sia stato guidato da principi che con i decenni hanno diviso invece di legare, principi difficilmente recuperabili oggi.
Ecco allora che il disco di Ryan Bingham, salutato come un capolavoro dallla critica, dal vivo viene, dagli stessi musicisti vanificato, in altra cosa, in uno show del tutto divertente ma lontano dal cd. Lasciando così il recensore dotato di buona volontà interdetto per aver sostenuto un album lontano da ciò che il concerto ha presentato. Se solo la casa discografica, o meglio il management - scegliete voi chi - avesse pensato a produrre insieme all’album di studio un più semplice album dal vivo che riproponeva le sensazioni toccate con mano al Rolling Stone ( come hanno fatto altri esordienti eccellenti, The Felice Brothers, ) sono certo che Bingham e i suoi avrebbero raccolto ancor più rispetto di quello che il corposo suono da bar band del week end non abbia fatto questa sera nella fredda e umida Milano.
Ernesto de Pascale
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