Evil yelling and black riffs from the the land of the sun
Due sono i motivi che portano la Flower Travellin’ Band ad essere annoverata tra la più importante heavy rock band giapponese dei primi anni ’70: il loro sound filologicamente sabbatthiano eppure così personale e acido e la loro propensione a mostrarsi nudi sulle copertine. Già con il nome di The Flower la band si era distinta nel 1969 con l’album di cover dal tipo ‘Challenge’ – sfida – in cui i nostri sfidavano appunto l’Occidente a colpi di note e con i loro corpi senza veli in bella vista.
‘Satori’ è il secondo album a nome Flower Travellin’ Band che segue ‘Anywhere’ pubblicato nel 1970. Per la prima volta la band sceglie di proporre materiale originale e opta per una cover più sobria e mistica che ben si adatta alla musica contenuta: 5 brani dal titolo omonimo – ‘Satori’ – seguito da un numero, che oscillano dai 5 minuti abbondanti agli 11.
La musica dei Flower Travellin’ Band si fa più ipnotica e meno aggressiva, dominata da un suono di chitarra che a volte sembra avvicinarsi a quello di un sitar enfatizzando il carattere ipnotico quasi da mantra su cui s’innestano le urla raggelanti del cantate.
Il disco anticipa di 25 anni sonorità e gusto che saranno riportati in auge dal cosiddetto doom meta degli svedesi Candlemass, gli americani Saint Vitus e gli inglesi Cathedral.
La band dopo ‘Satori’, pubblicherà un album ironicamente intitolato ‘Made In Japan’ e il doppio ‘Make up’ per la cui promozione apriranno i concerti degli Emerson, Lake & Palmer in Giappone. Spariranno dalle scene poco dopo senza lasciare traccia alcuna. Un ennesimo spreco di talento a cui gli anni ’70 ci hanno abituato.
Jacopo Meille
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