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. | INTERVISTA Fabrizio Poggi: l’anima e il blues intervista di Salvatore Esposito Mercy dei Chicken Mambo è stata una delle più piacevoli sorprese dello scorso anno nella scena blues e soul italiana. Abbiamo intervistato Fabrizio Poggi e con lui abbiamo ripercorso le tappe e le ispirazioni che sono dietro a questo splendido disco. Dopo dieci anni hai rispolverato il progetto Chicken Mambo, cos'è cambiato dall'ultimo disco di dieci anni fa e com'è stato il ritorno dopo un grande disco di musica folk italiana come l'ultimo dei Turututela? F.P. Beh, in effetti i Chicken Mambo non si sono mai fermati, nonostante le varie vicissitudini sia personali che artistiche. L’attività “live” della band è sempre continuata ininterrotta. E poi dentro ai dischi dei Turututela c’era davvero tanto dei Chicken Mambo, sia sotto il punto di vista strettamente musicale sia per la presenza di diversi musicisti che da anni condividono con me l’”esperienza Chicken Mambo”. E poi non dimentichiamo che nel 2000 è uscito “Songs for Angelina” una specie di compilation dei primi dieci anni della band con quattro inediti e alcune registrazioni dal vivo effettuate negli States e nel 2003 “Armonisiana” che vedeva protagonisti oltre ai tanti musicisti statunitensi presenti nel disco, anche numerosi compagni di viaggio dei Chicken Mambo. Inoltre nel 2006 è uscito un disco acustico in cui riproponevo brani storici e nuove composizioni sia mie che di altri autori in versione “unplugged”. Un disco intitolato “The breath of soul” che è stato un perfetto compagno per il libro “Il soffio dell’anima armoniche e armonicisti blues”, uscito nel 2005. Un libro che mi ha dato molte soddisfazioni e che è già arrivato alla quarta ristampa. Sempre nel 2006, dato che le mie molteplici attività hanno portato molti a credere che i Chicken Mambo fossero una realtà del passato, abbiamo deciso di registrare “Stillalive”, un specie di EP registrato live in studio che fotografava degnamente il sound del gruppo in quel determinato periodo della mia carriera, un sound che come è nel mio stile è sempre in continuo movimento. Ma come molti hanno notato se c’erano influenze dei Chicken Mambo nei Turututela, ora nella musica dei Chicken Mambo, seppur all’apparenza distante dalla musica popolare italiana, c’è molto di ciò che ho acquisito con il progetto Turututela. Per incidere Mercy sei stato a lungo negli States ci parli di questo viaggio, che so essere uno dei tantissimi che fai ogni anno? F.P. Sì, in effetti Mercy è stato un disco che ha avuto una gestazione piuttosto lunga, e che mi ha visto impegnato su diversi fronti al di là e al di qua dell’Atlantico. Il disco è stato registrato in parte in Italia e in parte in giro per l’America, dal Texas al New Jersey a Woodstock. Ad Austin in Texas ho registrato con Donnie Price, leggendario bassista che ha suonato con diversi grandi della canzone d’autore americana, come Billy Joe Shaver e il grandissimo Willie Nelson; con Seth Walker, bluesman di razza, che Taj Mahal ha definito il “nuovo Ray Charles” e con Stefano Intelisano storico organista dei Chicken Mambo e apprezzato session man da tanti artisti texani. Ultimamente sta girando l’America suonando organo e fisarmonica nella band Patti Griffin cantautrice di culto del Lone Star State. Sempre in Texas, ho registrato la dolcissima fisarmonica che potete ascoltare in “Needed Time”, suonata da un’autentica leggenda dello strumento, ovvero Ponty Bone. In New Jersey a due passi da New York, ho registrato con Rob Paparozzi grande armonicista e voce dell’Original Blues Brothers Band, e ora frontman dei Blood Sweat & Tears. Sua è l’armonica elettrica che potete ascoltare in “Walkin’ blues” e “Nobody’s fault but mine”. Ma come sanno molti che hanno seguito l’evoluzione del progetto Mercy, la tappa più carica di emozioni nelle varie sessions di registrazione, è stata quella di Woodstock e penso si capisca anche perché. Durante il tuo viaggio negli States hai avuto modo di collaborare con Garth Hudson, ci racconti qualcosa di quei giorni fantastici? F.P. Woodstock è una graziosa cittadina che dista circa due ore di macchina da New York, non distante dal confine canadese. E’ racchiusa all’interno di una splendida foresta i cui alberi, in autunno, hanno foglie che si tingono di colori così conturbanti da commuoverti fino alle lacrime. Woodstock è diventata famosa soprattutto per il mitico festival dell’agosto 1969: i celebri tre giorni di pace, amore e musica che attirarono lì giovani da tutta l’America all’inseguimento dell’affascinante sogno hippie di cambiare il mondo attraverso la musica dei formidabili artisti che in quegli anni fecero la storia della musica rock. Per molti appassionati dell’“altra America”, Woodstock divenne famosa nuovamente perché lì si stabilirono, negli anni sessanta, buona parte dei personaggi che rappresentavano la controcultura di quel periodo. Per il sottoscritto Woodstock resterà per sempre legata ad un poeta con la chitarra e ad un gruppo che ha cambiato davvero la mia esistenza: Bob Dylan & The Band. A Woodstock c’è ancora “The Big Pink” la leggendaria casa rosa in cui la mitica band canadese incise i suoi primi album e in cui Bob Dylan passò gran parte del periodo di convalescenza dopo un terribile incidente motociclistico suonando e registrando quelli che qualche anno dopo saranno pubblicati come quel capolavoro musicale denominato “The basement tapes”. Chi ha seguito le mie avventure musicali sin dai miei esordi sa quanto sia stata importante The Band per me. Fu dopo aver visto “The last waltz”, il film del loro concerto d’addio, che decisi di formare un gruppo che suonasse “Mistery Train” come l’avevano fatto magistralmente Paul Butterfield e The Band nella pellicola. E poi in quel film c’erano tutti i miei eroi musicali: Bob Dylan, Neil Young, Muddy Waters, Van Morrison, Eric Clapton, Dr. John, Emmylou Harris, gli Staple Singers e naturalmente i mitici componenti di The Band: Robbie Robertson, Levon Helm, Rick Danko, Richard Manuel e Garth Hudson. Non ho fatto in tempo a vedere la Band dal vivo e non sono mai riuscito, per diversi motivi, ad incontrare il grande Rick Danko che pure ha suonato più volte nel nostro paese; e quindi ho sentito il bisogno quasi fisico di andare a Woodstock ad assistere al Midnight Ramble, il famoso happening musicale che il leggendario batterista di The Band, Levon Helm tiene nel granaio di casa sua, appositamente trasformato in studio di registrazione. Un concerto per pochi intimi in cui di solito appaiono ospiti di prestigio. Già assistere ad un concerto del grande batterista di Helena, Arkansas sarebbe stato per me motivo di emozione perché ancora non sapevo che la mia mitica compagna Angelina, in accordo con Maud Hudson, mi aveva tenuto in serbo un’altra sorpresa assolutamente mozzafiato: registrare qualche brano di quello che sarebbe stato il prossimo disco dei Chicken Mambo in compagnia di Garth Hudson il leggendario pianista, tastierista e fisarmonicista di The Band. Un altro miracolo di Angelina che da sempre mi aiuta a coronare i miei sogni. Mi tremano ancora le gambe. Un brivido d’emozione percorre ancora la mia schiena mentre lo sto scrivendo. Mai e poi mai avrei pensato che un giorno avrei cantato e suonato la mia armonica, accompagnato da uno dei miei eroi musicali, un artista che ho sempre ammirato per il suo grande talento e la sua straordinaria umanità. Qualità, queste, che sono venute prepotentemente fuori al Leopard Studio di Woodstock dove dalle tre del pomeriggio alle sei di sera di sabato 20 ottobre 2007 (una data che per me resterà “storica”) ho registrato alcune tracce di “Mercy” in compagnia di un uomo che ha davvero fatto la storia della musica contemporanea. Una persona che mi ha colpito per la straordinaria passione che ancora lo lega al suo lavoro, una passione che gli permette di essere grandissimo e umile allo stesso tempo. Un esempio di estro artistico combinato ad un’estrema gentilezza che solo i più grandi artisti sembrano possedere: e forse neanche tutti i grandi, ma solo alcuni di loro, e Garth Hudson è uno di questi. Difficile descrivere con le sole parole il mio stato d’animo durante la registrazione: è difficile suonare e cantare quando ti batte forte il cuore! L’atmosfera nello studio era magica e la musica sembrava fluire dalle sue mani come per magia. Ma che sound! Il suono che abbiamo sempre amato e che è stato l’inconfondibile tappeto sonoro su cui gli altri componenti di The Band hanno costruito le loro stupende canzoni. E altrettanto stupenda è la voce di sua moglie Maud, una persona affabile e dolcissima dotata di una bellissima voce dalle tonalità blues e soul. Anche lei ha voluto con nostra somma gioia contribuire al nostro progetto musicale. E poi alla sera il concerto di Levon Helm ha chiuso una giornata davvero indimenticabile! Hai detto che il soul, il gospel e lo spiritual hanno avuto un azione consolatoria per te, pur essendo qualcosa di molto intimo, ci puoi aprire un piccolo spaccato su questo tuo percorso interiore? F.P. Qualche anno fa ho letto che per qualcuno l’inferno era “l’esperienza di essere separato da Dio”. Questa frase mi ha colpito molto, e mi è tornata in mente durante il faticoso tentativo di uscire dalla brutta depressione che mi ha colpito qualche tempo fa, quella che io ho chiamato “il mio inferno sulla terra”. In quel periodo ho scoperto che cantare lo spiritual era per me un modo di essere collegato con un’essenza spirituale che io definisco con la parola “Paradiso”, un modo di uscire dal mio inferno. Proprio come successe agli schiavi africani in America centinaia di anni fa la musica in generale e lo spiritual in particolare sono diventati per me l’àncora di salvezza per sopravvivere in questo mondo a volte ingiusto e crudele. Il grande miracolo dello spiritual, una musica che io ho sempre suonato, tanto che nel mio primo disco ci sono citate “Swing low sweet chariot” e “Will the circle be unbroken”, è proprio quello di essere una musica così piena di forza e saggezza da riuscire a toccare ogni cuore in ogni parte del mondo. Non importa dove tu sia nato, quale sia la lingua che parli e il colore della tua pelle. Queste canzoni sono doni meravigliosi che qualcuno ha voluto regalarci per guarire la nostra anima. E’ la musica giusta per reclamare a gran voce il nostro diritto alla pace, alla giustizia e all’uguaglianza. Sempre… E in ogni dove. E allora questo disco è un modo per dire grazie dal profondo del mio cuore e della mia anima, a tutti coloro che mi hanno aiutato nei momenti difficili e che ancora oggi mi sostengono. Di ringraziare quei meravigliosi musicisti che in tutti questi anni hanno fatto sì che i miei sogni diventassero realtà. E ovviamente Angelina che mi ha letteralmente tirato fuori dal quel “profondo buco nero” in cui ero caduto. Mercy è stato inciso con una line up rinnovata dei Chicken Mambo ci puoi raccontare qual è stato il loro apporto in termini di resa sonora dei brani che hai scelto? F.P. In tutti questi anni sono passati più di cento musicisti nei Chicken Mambo. Alcuni hanno suonato con noi una sola sera, altri si sono fermati per vent’anni. Devo dire di essere stato sempre molto fortunato perché ho sempre avuto ottimi musicisti. La formazione che ha registrato il disco è sicuramente tra le migliori e comprende due grandi chitarristi ovvero Francesco Garolfi all’elettrica, alla lap steel e alla voce, Maurizio “Micio” Fassino all’acustica (che suona con me da quasi 25 anni ed è uno dei più bravi suonatori di chitarra acustica in Italia e non solo e ha collaborato con diversi artisti americani), il bravo Bobby J. Sacchi all’hammond del Mississippi e cioè alla fisarmonica (quella grande, con la tastiera a piano, la piccola la suono io) e una sezione ritmica davvero ottima composta da due musicisti di gran pregio: Roberto Re al basso e Stefano Bertolotti alla batteria. Quest’ultimo oltre ad essere il proprietario dello studio dove ho registrato le mie ultime fatiche discografiche (l’UltraSound Studio) è diventato in questi ultimi anni un musicista di livello davvero internazionale: tanto che parecchi musicisti d’oltreoceano lo hanno chiamato per suonare nei loro tour europei. E poi, da non sottovalutare, il fatto che tutti i ragazzi della band alle eccellenti doti musicali uniscono una simpatia e un’umanità davvero uniche. Suonare con loro è per me un altro grande privilegio e l’essere circondato da musicisti di questa caratura mi da una grande sicurezza sia dal vivo che in studio. E quando suonano hanno un cuore e una passione che posso veramente sentire quando condivido con loro il palcoscenico. Sempre in continuo movimento, la line up attuale dei Chicken Mambo, accanto ai musicisti storici come Maurizio Fassino, Roberto Re, Stefano Bertolotti e Bobby J Sacchi, ha visto l’ingresso di Gianfranco “French” Scala, un ottimo musicista abile alla “slide” ed efficace sia con la chitarra acustica che con quella elettrica. Un ottimo compagno di viaggio, anche lui con un grande cuore, che ha già suonato con la band una decina di anni fa ed è anche presente nel disco “Heroes & Friends”. Mi ha sorpreso non poco trovare nel disco brani come Nobody's Fault But Mine o Walkin' Blues ci puoi parlare di questa scelta? F.P. Nobody's Fault But Mine è un antichissimo spiritual che mi è sempre piaciuto. E’ stato cantato da tantissimi grandi che mi hanno ispirato durante le registrazioni di Mercy: da Mahalia Jackson a Blind Willie Johnson, da Bob Dylan a Nina Simone, dagli Staple Singers a uno dei più grandi armonicisti di tutti i tempi: Paul Butterfield. E a proposito di Walkin’ Blues, un vecchio bluesman in Mississippi mi ha raccontato che tanti spirituals sono nati dal blues e tanti blues sono nati dallo spiritual. E naturalmente questo valeva anche per Robert Johnson, che secondo gli storici ha scritto parecchie canzoni ispirandosi ai vecchi canti religiosi che gli schiavi cantavano nelle piantagioni del sud. Questo è un brano dedicato al viaggio del leggendario bluesman. Nel brano, Johnson implora Dio di guarirlo dal male di vivere, dalla malinconia e da quella irrefrenabile voglia di andare a suonare la propria musica da un capo all’altro dell’America saltando da un treno merci all’altro, alla ricerca di qualcosa che non riuscì mai a trovare perché qualcuno lo avvelenò a morte quando aveva solo 27 anni. Si diceva che Robert Johnson avesse venduto l’anima al diavolo in cambio di una superba maestria nel suonare il blues. Quello che è sicuro è che qualcuno lassù gli diede il dono di guarire la tristezza con la sua musica, con il suo Walkin’ Blues. E con lo stesso spirito ho inserito tra i brani di Mercy anche Cross Road Blues che contrariamente a quanto si pensa, non ha nulla di diabolico nelle sue parole ma è bensì un’altra accorata supplica di Robert Johnson che nel brano invoca Dio affinché abbia pietà di lui e lo salvi da una situazione disperata. Qualche tempo fa, ho fatto uno dei miei tanti pellegrinaggi in Mississippi. Ho avuto il privilegio di suonare nei locali dove è nato il blues. E viaggiando di notte su queste stradine di terra battuta circondate solo da campi di cotone e illuminate da una pallida luna, mi sono reso conto di cosa poteva voler dire essere un povero ragazzo di colore nei primi decenni del secolo scorso quando per i neri in tutto il Sud degli States c’era il coprifuoco. Quando faceva buio, trovarsi come canta Robert Johnson nella canzone, ad un incrocio sperduto nelle campagne del Mississippi era davvero pericoloso. Quelli erano anni in cui per impiccare o imprigionare un nero ci voleva veramente poco, nessuno avrebbe protestato. E capitava sovente che i neri fossero circondati da gruppi di bianchi ubriachi che volevano divertirsi con loro magari linciandoli o impiccandoli ad un albero, facendoli diventare quegli “strani frutti” di cui canterà qualche anno dopo la grande Billie Holiday. Ebbene spesso i neri, con la paura che li paralizzava si mettevano tremanti a suonare e a ballare “facendosi apprezzare” dai bianchi ai quali spesso passava la voglia di “divertirsi con loro”. E’ stato dopo questa esperienza in Mississippi, un’esperienza che resterà come una traccia indelebile nella mia anima, che ho capito a cosa si riferiva Robert Johnson quando canta una canzone che sembra davvero un grido disperato nella notte. Un grido per salvarsi la vita, al crocicchio, al cross road.
Di solito quando si parla di gospel, soul e spiritual, ci si immagina il classico coro da chiesa battista americana, tu hai il merito di aver fatto scoprire all'Italia la vera dimensione di questi generi ovvero quella intimista. Ci puoi parlare di questo difficile percorso di ricerca e recupero di una tradizione fondamentalmente non nostra? F.P. E’ un peccato che una musica bella, commovente e forte come il gospel e lo spiritual, siano spesso relegate nel nostro paese al periodo natalizio dove troppo sovente vengono a suonare gruppi che con la spiritualità contenuta in questo straordinario genere musicale hanno talvolta ben poco a che fare e che offrono della musica religiosa afroamericana un’immagine folkloristica che non si addice alla carica di intima spiritualità che brani come Amazing Grace o I Want Jesus To Walk With Me hanno nel proprio DNA. Quello che ho fatto con l’indispensabile aiuto dei Chicken Mambo, è stato un percorso doloroso e difficile. Il disco però, è stato apprezzato da tutti e mi ha quindi ripagato appieno di tutti gli sforzi che mi sono costati per incidere un disco fatto di canzoni che ho cantato con il pianto nel cuore. Spero solo che questa mia piccola goccia nel mare cambi l’atteggiamento nel nostro paese nei confronti del gospel e dello spiritual e mi permetta di portare il grande messaggio che questa musica contiene, dappertutto, nei numerosi festival blues di cui ormai è ricca la nostra penisola e dovunque ci sia qualcuno disposto ad aprire il proprio cuore a emozioni vere e intense.
Parlando sempre di tradizione ho notato che hai applicato lo stesso metodo che usi per il folk italiano... F.P. Hai colto perfettamente nel segno e proprio lì sta il filo rosso che lega le canzoni dei raccoglitori di cotone del Mississippi alle nostre mondariso. Lo stesso filo rosso che lega Woody Guthrie a Giovanna Daffini. Le loro canzoni folk (e il blues e lo spiritual cosa sono se non canzoni folk), vengono tutte da un retroterra comune. Sono canzoni semplici, ma hanno una grande anima. Sono canzoni che meritano di essere ricordate perché hanno fatto da colonna sonora alla vita disperata eppure piena di sogni di tante persone da questa e dall’altra parte dell’Atlantico. Le stesse persone che come me, come te e che come tutti coloro che si sentono di appartenere al popolo del blues, amano ascoltare. Canzoni capaci di raccontare con parole dirette e sincere ciò che abbiamo dentro. Canzoni che ho cercato in qualche modo di fare “mie” dandone una visione personale, sincera, onesta e in qualche modo unica. E l’onestà e la sincerità pagano sempre, senza ogni dubbio. E’ vero ho avuto il privilegio di suonare con grandi della musica di ieri e di oggi: da Willie Nelson a Garth Hudson, a Zachary Richard a Jerry Jeff Walker a Eric Bibb, Guy Davis e Otis Taylor. Eppure la più grande emozione, che mi ha ripagato di tutti i sacrifici che ho fatto in questi anni, l’ho avuta in un piccolo juke joint sperduto del Mississippi quando alla fine di una canzone un’anziana donna nera si è alzata mi è venuta vicino e mi ha detto: “Hey man you touched my heart – Mi hai toccato il cuore”. Cosa si può chiedere di più? Preferisco mille volte suonare “la loro musica” per gente così, piuttosto che esibirmi negli stadi. Queste sono le piccole grandi cose per cui ho tenuto duro suonando il blues da più di vent’anni. Il perché l’ho persino dimenticato. Forse sarà perché la mia generazione è cresciuta nel mito di Kerouac, Steinback, Bob Dylan. Per noi l’America era la libertà e il blues la libertà nella musica, almeno per me: libertà di esprimermi toccando con la mia armonica parti profonde dell’animo umano. Sempre, quando soffio nella mia armonica un blues, sento davvero che qualcuno più grande di me mi ha dato un grande dono: quello di toccare, a volte, l’anima delle persone. Sento che mi è stato dato il privilegio e la possibilità di toccare le corde più segrete delle persone, corde che stanno nel profondo della loro anima e che vengono mostrate solo in particolari occasioni, perché appartengono a qualcosa di molto intimo; corde che vibrano solo se si riesce a stabilire un contatto fatto di emozioni semplici e sincere. Ciò che mi ha colpito di Mercy è stata la carica emotiva che c'è dietro ogni esecuzione, puoi dirci cosa hai provato nel ricantare questi brani? F.P. Come ho già detto, gli ultimi dieci anni non sono stati semplici per me. La mia vita per ragioni di salute è stata sottoposta a forti scossoni. Per fortuna ora non sono molto lontano dal vedere la luce dopo anni di buio. Grazie ad Angelina, la mia compagna di vita e alla musica, sto imparando di nuovo ad apprezzare il mondo che mi circonda. Per Angelina ho scritto una canzone che è diventata un punto fermo del mio repertorio: Song for Angelina. E’ una canzone che io ho scritto parecchi anni fa dedicandola alla mia compagna di vita, che per me, come molti sanno, è molto più di una moglie. E’ la persona che io auguro a tutti di incontrare nella vita. Auguro a tutti di incontrare un’Angelina o un Angelino che, come canto nella canzone, quando vi perderete nella vostra vita, e a volte capita, vi riporta a casa, come sempre. Angelina mi ha aiutato a venire fuori da un buco nero in cui ero caduto qualche anno fa e mi è sempre stata vicino nei miei progetti. Chi conosce un po’ la mia storia e quella dei Chicken Mambo sa che molte cose che ci sono accadute in questi anni non sarebbero successe senza il “magico” intervento di Angelina. E’ una canzone che in concerto io dedico a tutte le Angeline e tutti gli Angelini che mi vengono a sentire. A tutti coloro che ci sostengono nei momenti difficili e ci aiutano a realizzare i nostri sogni. Ecco allora perché “Mercy” vuole anche essere un disco che esprime tutta la mia gratitudine rivolta ad una vita ritrovata. Così è nato in me il bisogno di scegliere quella parte di musica afroamericana che chiamiamo spirituals: quelle splendide ed antiche canzoni che hanno dentro una ferrea determinazione di dare un senso alla vita. Lì ho messo i miei sentimenti più intimi, sentimenti che forse avevo tenuto nascosti persino a me stesso. Ecco perché in qualche modo “Mercy” è per me un disco terapeutico, emozionante, che qualcuno ha definito persino lirico e poetico. Molti sono rimasti colpiti dal mio modo di cantare queste antiche canzoni. Un approccio vocale, assolutamente spontaneo e naturale per me ma che qualcuno, bontà sua, ha voluto definire “caldo e malinconico, un sound che raggiunge e conquista le corde segrete di tutti i cuori, nessuno escluso”. Concludendo nel disco appaiono anche vari special guest come Luigi Grechi, ci racconti un po' delle Sessions di registrazione in Italia? F.P. Il disco è stato registrato, per la parte “italiana” nello studio del batterista dei Chicken Mambo, Stefano Bertolotti che con me ha prodotto il disco, con l’aiuto degli altri musicisti della band. I brani sono venuti subito fuori con grande spontaneità e le versioni che ci sono nel disco sono state registrate in gran parte come se fossimo in concerto. Luigi Grechi è un grande amico. Ha fatto parte di quella nutrita schiera di amici che hanno prestato il loro grande talento in questo disco e che ho voluto coinvolgere perché considero Mercy una tappa importante della mia carriera di musicista. Un traguardo personale ed artistico che ho voluto condividere anche con altri grandi artisti come Betti Verri, Erica Opizzi, i Sacher Quartet, Mauro Sbuttoni, Marco Rovino, Giovanni Lanfranchi che con le loro voci e i loro strumenti hanno contribuito alla buona riuscita dell’album. Salvatore Esposito
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