Soft Machine’s live recording from fall 1971, it’s an Out Bloody Rageous (mostly Bloody!) celebration of Phil Howard’s blody furious drumming. Howard was substituiting for departing Robert Wyatt but lasted only six months cause he took no prisoners while Ratledge and Hopper were heading elsewhere in a safer place.
Alla metà dl 1971 con la dipartita del loro membro fondatore, il batterista Robert Wyatt, i canterburiani Soft Machine si trovarono nella scomoda posizione di sostituire non solo un geniale artista e cantante ma anche uno straordinario batterista. Il sostituto a tempo determinato, l’australiano Phil Howard che durò il tempo di un tour europeo, alcune sedute radiofoniche e la registrazione di una buona metà dell’album Fifth, non è mai stato troppo a lungo indagato né le sue doti tecniche decantate. Drop, dei tipi della Moon In June su licenza del bassista fondatore Hugh Hopper, colma un vuoto e celebra l’errabondo musicista, mettendo a fuoco le sue doti. I fans dei soft Machine capirono sin dalle prime note che Howard suonava in Fifth di essere davanti a un batterista rumoroso, uno che suonava free jazz in maniera rumorosa, su una batteria addirittura con doppia cassa, e estroverso ma questa bella registrazione dal vivo nell’Ottobre 1971 in Germania ci dà l’opportunità ascoltarlo slegato dai - benchè minimi - vincoli di studio. La registrazione ci dà modo di individuare i due nuclei del gruppo, da una parte gli angolari Mike Ratledge e Hugh Hopper con i loro lunghi e complicati temi scritti, dall’altra sponda i due improvvisatori per eccellenza, Elton Dean e Howard. Specialmente Elton Dean, che traghetterà nei primi mesi del 1972 Phil Hpward dietro i tamburi dei suoi Just Us, gode della libertà dell’australiano che - le note ben sottolineano - pensa in flussi di misure e non dividendo ilo suo drumming in ritmi di questo o quel tipo. Quando le parti si inanellano fra loro magicamente fra loro come nella lunga Slightly All The Time il risultato è magico e la percezione dell’ascolto ammara in lidi lontani perfino da quelli del jazz estremo di quegli anni. Howard guida il gruppo oltre, further; l’interplay - ci pare di capire assolutamente naturale - con il bassista Hopper è perfetto e gode di un aplomb assolutamente british. Pare vedere Ratledge nascosto in un lato del palco fra fender rhodes e organo Lowrey controllare i musicisti con quel mezzo sguardo che sbuca dai suoi occhialini neri rettangolari mentre Dean soffia nei suoi sax con ardore cercando di tirar fuori un suono, quel suono che sarebbe poi stato individuato come il suo suono, un misto di non pensiero e coraggio. Un line up del genere non poteva durare a lungo: la furia di Howard servì sicuramente tanto a Mike e Hugh per raffinare ancor di più il suono del gruppo e a Elton per ravvedere in Phil l’uomo giusto per i suoi Just Us. Da parte di Hopper e Ratledge c’era però la necessità di strutturare meglio il regime dei toni free usati. Così, pur ammettendo a denti stretti che “certi passaggi godono del rischio e delle possibilità che la forma libera offre” Hugh e Mike invitarono presto Phil Hard a lasciare il gruppo, quasi consapevoli di non essere in grado di stare dietro al suo rabbioso drumming che non faceva prigionieri. Ascoltando Drop viene da immaginare un versione di Fifth tutta dal vivo, ufficiale, quella che all’epoca non venne mai realizzata. Ascoltando e pensando la band in questo eccellente set, si gioisce per la grinta senza freni di Howard, un batterista di cui si persero presto le tracce e al quale questo live è più o meno direttamente dedicato. Quel tardo 1971 fu un momento davvero speciale per i Soft Machine: conquistarono una nuova generazione di fans e ne sbalordirono un’altra. Lasciarono un segno che oggi questa testimonianza fa riaffiorare in tuta la sua grandezza e in tutta la sua originalità che il tempo non può e difficilmente potrà scalfire. Un segno di coraggio musicale che oggi appartiene a pochi.
Ernesto de Pascale
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