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INTERVIEW

Arctic Monkeys

Gli Arctic Monkeys si possono tranquillamente annoverare tra i migliori, se non il migliore, gruppo rock inglese (nell'accezione più ampia del termine...) comparso sulla scena dall'inizio di questo terzo millennio.

La viva speranza che la loro ancora giovanissima età (23 anni di media...) possa portarli ancora molto molto lontano, dobbiamo (o forse devo?) ammettere che ci rincuora.

Da gruppo indie-rock, sfrontato ma anche simpatico perchè un po' sgangerato, a rock band in ascesa: è questa l'impressione prevalente che ha avuto chi ha assistito alla data al Palasharp.

La cara e vecchia sacrosanta gavetta di concerti in lungo e largo, gli anni intensi che li separano dal loro debutto, e manifestatamene la collaborazione produttiva con il quasi-mostro sacro Josh Homme per l'opus “Humbug“ del 2009, ci restituiscono un gruppo evoluto in sede live.

La conferma ci viene da una strumentazione più variegata e mirata, più effetti, più solidità sia ritmica che apprezzabile fantasia d'improvvisazione.

Gli Arctic adesso suonano più rock, più duri e più compassati. Se non fosse che la loro caratteristica urgenza del post-punk, ne esce ancora più rafforzata, tanto che la causa-effetto pogo durante l'esibizione non ha niente da invidiare ai più assatanati concerti hardcore o metal.

La scaletta dei pezzi comprende molti dei successi del gruppo di Sheffield, anche se dobbiamo dire con dispiacere che alcuni classici imperdibili non sono stati proposti, come per esempio Dancing Shoes, Balaclava, Teddy Picker e Perhaps vampires is a bit strong but... .

La performance è stata comunque di alto livello, con un gruppo in forma, tutti ispirati (trasognato Alex Turner alla voce...) e insomma molto bravi. Difficile resistere alle melodie so british  che il terzetto inglese ora sussura, oppure ci canta con passione e trasporto. Peccato davvero per il sound penalizzato da un pessimo impianto, più che all'acustica del Palasharp da cui certo non ci si può aspettare chissà cosa essendo un palazzetto dello sport. Gli altoparlanti restituivano un sound piuttosto alterato, con una gestione dei bassi assolutamente innaturale, pompata verrebbe da dire. Davvero peccato.

I presenti, circa ottomila persone, discretamente eterogenei, andavano dai teenager al battesimo del fuoco per il rock, ad altri più abituati al sudore e le spinte. Forse un pubblico non sempre presente, cui parziale scusante la (ahime...) solita aplomb d'oltremanica dei gruppi inglesi, un po' troppo sostenuti, abbottonati e linguisticamente incomprensibili.

Se si deve muovere qualche critica, certo un concerto di appena poco più l'ora e mezzo, ci sembra un po' poco per un gruppo non propriamente mainstream che fa pagare fior di euri le loro esibizioni.

Per dovizia di particolari ad aprire il set c'erano i Mistery Jets, che purtroppo chi scrive non ha potuto assistere dall'inizio.

Per concludere quindi un grande concerto, di un gruppo che ormai è più di una promessa del rock mondiale, una realtà speranzosa che ci stupirà ancora negli anni a venire.


Lorenzo Davani 

 

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