.


Up Against the wall, motherfuckers!

Il 17 febbraio 1969 il gruppo di Detroit MC5 si presenta al mondo con il proprio album di debutto registrato dal vivo presso il Grande Ballroom durante il Natale precedente. Sono giorni incendiari: la città pullula di nuova vita fra le comunità di bianchi del sud, messicani, italiani, irlandesi, polacchi, ucraini, neri del sud. Nei loro occhi è tangibile la speranza, così come nelle parole, nei suoni di quella gente che viene dal basso, dalle frustrazioni. La speranza ha un nome, si chiama John Sinclair, manager del gruppo rock e agente dei debuttanti Stogges, una bar band violenta e spudorata guidata da una iguana vivente, James Ostenberg, detto Iggy Pop.
Il boom di lavoro generato dalla seconda guerra mondiale ha portato a Detroit quella gente che ha però visto presto infrangersi nello sfruttamento e nel lavoro al limite di qualunque sopportabile rispettosità i propri sogni. Essi sono la gran parte della popolazione della città, uomini e donne che fino a quel momento hanno vissuto nel buio, con il proprio blues, la propria rabbia.

“ Gli MC5 – dirà 35 anni dopo il leader del gruppo Wayne Kramer - furono il mio modo di fuggire alla fabbrica che è la tassa che ti tocca se vivi in quella città Al massimo puoi diventare un sorcio da negozio ma io non cercavo quello!”.
Là, oltre il ghetto c’è un mondo di possibilità che affonda le radici nella musica di John Coltrane, Albert Ayler, Sun RaArchie Shepp, Eric Dolphy e Cacil Taylor, musica originale, che prende il posto del suono edulcorato della più rassicurante etichetta Motown, una fucina di talenti inventata da un nero, Berry Gordy, il cui scopo fu per molto tempo, trovata la formula, sfornare successi senza profondità, presentandosi al mondo con lo slogan “ The Sound of Young America “.Ma il vero suono della giovane è un altro e John Sinclair lo sa bene. E’ per questo che ha preso le redini di un gruppo di protopunk incazzati con funzione di santone e guru spirituale, perchè per parlare alla gente la politica non basta. Sopratutto adesso che Detroit sta bruciando.
Sono passati tanti anni e il John Sinclair che incontro ha conservato l’aria da guru ma ci tiene subito a dirmi che “… belong to the beat generation…” mentre mi sorride bonario e pacioso per tutta la durata della nostra intervista Mi ricorda che per lui il 1968 era arrivato dopo l’estate torrida del 1967, l’arresto per possesso di Marjuana del 1964, la nascita della associazione Artist Workshop Press e un secondo arresto. “ “Non c’era perciò da stupirsi, aggiunge, se a quel punto la musica poteva sembrare l’arma più appropriata per appendere alle forche tutti quei figli di puttana!”.
Up against the wall, motherfuckers!
L’aria di John resta paciosa e serena ma non devo dimenticare che ho davanti a me il fondatore delle Pantere Bianche ( nate in solidarietà con le Pantere Nere ), l’uomo che nel manifesto di quel partito scrive del proprio pensiero politico: We are Bad .
Sarebbe questo l’uomo descritto come pericolo pubblico numero uno ?
“I am blues fan “ mi dice invece, quasi a voler mostrare bandiera bianca “and i belong to the blues too!…” . Pronuncia queste parole con il tono del combattente valoroso, di colui il quale le battaglie le ha combattute a testa alta. La lunghezza d’onda del sessantatrenne agitatore è oggi quella della flessibilità “l’unico modo per svincolarsi dal potere “ dice facendo gli occhietti furbi e iniziando a raccontare la sua vera storia. “ Non ho passato un solo giorno della mia vita senza il blues. Non ho combattuto un solo giorno senza il blues e non c’è giorno della mia vita che non mi svegli e non suoni subito un disco di blues. Vorrei dire a tutti che il blues ha occupato nella mia vita un posto più intenso di quello di operatore politico” ( così si definisce). Sono cresciuto con il suono della mezz’ora di Sonny Boy Williamson e del suo King Biscuit Flower Hour, ho offerto il mio letto a Earl Hooker, il mio piatto a Howling Wolf, nascosto la pistola di Albert King e parlato per loro quando i neri non volevano essere ascoltati. MC5 erano figli del blues e quando firmammo per la Elektra di Jac Holzman esigemmo la pubblicazione di un singolo giveaway (gratuito) con “Kick Out The Jams “ e la versione della band di Motor City’s burning di John Lee Hooker sull’altro lato!, pensavamo che dovevamo portare nella musica tutte le nostre radici.”
Con il manifesto delle Pantere Bianche a seminare terrore e una band di indisciplinati bluesmen che suonavano con lo stesso istinto di Jimi Hendrix e dei Cream ma che guardavano insistentemente indietro ai Rolling Stones e agli Yardbirds, Sinclair e il suo socio Jesse Crawford, Mc delle serate del gruppo MC5, si trovarono nella curiosa posizione di mediare le posizioni oltranziste che proprio loro avevano disegnato sulla mappa delle nuove libertà con i tenutari del potere. Non era forse tutto ciò un controsenso? “ No!- mi risponde divertito e allegro – it was big fun. Una delle grandi regole della rivoluzione culturale dei sessanta è stata infatti la voglia di divertimento, di gioia, di urgenza e di sfida. Oggi la rivoluzione non ha più questa gioia ecco perchè è perdente!”.
Nel Luglio 1969 Richard viene condannato a una pena di 9 anni e mezzo per il possesso di 2 sigarette di marjuana. “ Ero pronto – mi dice tranquillo – e il mio zen aveva superato quel punto. In quei giorni non mi ero ancora ripreso dalla prematura scomparsa di Little Walter ( 14 febbraio 1968) e quella più recente di Brian Jones (3 luglio 1969) e avevo in mente di scrivere . Potevo farlo ovunque, anche il galera (dove porterà a termine i volumi “Guitar Army“ e “Music & politic “)”.
Gli anni in galera – “l’esperienza più blues della mia vita..:” – saranno solo due sull’onda del Free John Rally, una serata organizzata da John Lennon e Yoko Ono con più di 15.000 persone il 10 dicembre 1971 presso l’Arena di Ann Arbor. Solo 3 giorni dopo John Sinclair viene rilasciato. Ma intorno a se le cose non sono più quelle di prima. “ Trovai un mondo completamente cambiato. Il potere aveva, in quei due anni, compreso pienamente il modo di pensare dei rivoluzionari ed invece di continuare a cercare di stroncarli se li comprò uno ad uno creando e commercializzando prodotti che rispecchiavano il target del average rivolutionary kind of man of that era. I rivoluzionari si fecero illudere; i grandi raduni, le major che firmavano i gruppi di base, il cinema di Hollywood che raccontava la vita sulla strada dovevano servire come segnali ma i capi dell’organizzazione erano troppo giovani per non restare affascinati da tutto ciò. Restammo fregati con le nostre stesse mani, insomma….”. Scomparso il senso di possibilità, vista sparire la speranza, il ghetto della città di Detroit si armò. “ E io emigrai – continua John – fino ad Ann Arbor dove fondai il festival blues, Ann Arbor Blues & Jazz Festival, una delle avventura più eccitanti della mia vita artistica !”.
Raccolto in un doppio album( su etichetta Atco /Atlantic) l’evento del 1972 parla da solo : Hound dog Taylor, Koko Taylor, Bobby Bland, Dr,John perso nel suo voodoo, Junior Walker a tutto gas, la giovanissima Bonnie Raitt, Howling Wolf, Muddy Waters, Lucille Spann che commemora l’appena scomparso marito Otis ( “ Il momento più toccante del festival, mi confessa Sinclair mentre ascoltiamo insieme la dedica di John, Muddy e Lucille che apre la terza facciata del trentatre giri ), Freddie King, l’allora sconosciuto Luther Allison ( “ dio se si cacava sotto!…” esclama quando mi fermo su quel nome ), Johnny Shines, Otis Rush, Sippie Wallace ( “ ancora splendida”) e per gran finale Sun Ra con la sua Solar Myth Arkestra ( “ quelli davvero erano marziani e noi non li abbiamo mai voluti studiare!!!!!” mi dice ridendo ) mentre la performance dell’Art Ensemble of Chicago resterà fuori per trovare posto su un album tutto loro ( “ Bap-tizum “).” Era il mio modo per dire al mondo e all’America dove stava la vera alternativa: nella tradizione e nelle nuove leve come Luther, Bonnie, la Arte Ensemble, Dr John, che proseguivano il discorso. Ma, come tutte le cose belle, dopo due anni si chiuse i battenti “.E continua: “ beh…. questo mi permise di cominciare a concentrarmi su altre cose – mi dice dopo averci pensato un po’ su – e da allora sono andato avanti in altri modi”. Nel 1977 crea una associazione di avvocati per la consultazione libera, la Motor City Cultural Association, poi la National Association per the advancement of Colored People e così via. “ A dirla tutta – continua – mi stavo solo preparando a diventare un artista “. E scoppia ancora a ridere. Nel 1986 John Sinclair pubblica il suo libro di poesie, “ We just changed the beat “ e chi si aspettava il graffio degli anni sessanta, resta deluso. Esse sono tutte poesie di stampo blues “ sul modello di Leroy Jones, Langston Hughes e così via…”. Poi nel 1990 il grande cambiamento. Sinclair lascia Detroit per New Orleans. “ Vediamo cosa sanno fare da soli, mi dissi! E infatti oggi a Detroit ci sono più di 1000 omicidi l’anno. Dovrò forse tornare al Nord ? Non ne ho voglia a dire il vero. Preferisco girare il mondo con la mia Blues band !”. E a 63 anni John sembra non essersi fermato. “ A New Orleans c’era molto da fare e poi volevo tornare a frequentare Wayne Kramer (MC5) e poi, non dimenticare – mi addita – che negli ultimi anni ho inciso ben 10 dischi l’ultimo dei quali porta il titolo del mio ultimo libro , “ Fattenning Fogs for Snakes” , come la canzone di Sonny Boy Williamson “.

Prima di concludere gli chiedo cosa pensa della musica di oggi che la “ sua “Detroit produce.“ Due soli nomi sopra il resto : Eminem e i White Stripes. Il primo perché ha risuscitato il rap che i neri stessi avevano fatto morire e lo ha fatto con l’attitudine del rocker e i secondi just because they are cool”. Poi mi confessa che presto lascerà anche New Orleans, destinazione Amsterdam: “Non ho la pensione, devo lavorare – esclama - e in Europa il blues è più rispettato che in America. E flessibilità e rispetto vanno di pari passo nella mia idea del Blues!”. Poi se ne va con una sonora risata portandosi appresso un pezzo della storia della rivoluzione culturale americana e delle speranze mai andate in porto di molti.
Tutto in una sola persona, una sola anima, una sola testa, una sola penna, una sola roboante voce e quella risata.

Ernesto de Pascale

tutte le recensioni

.
.

eXTReMe Tracker