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Amon Düül II Yeti
(Liberty/Ua Repertoire)
Yeti è senza dubbio uno dei capolavori del Kraut rock e uno degli album più completi e ben costruiti di questo genere musicale. Gli Amon Düül nascono nel 1968 come una vera e propria comune freak che si pone il proposito di fare tutto insieme, musica compresa. Dopo due anni però dissapori interni sfaldano l’unita originale segnando la nascita di Amon Düül I e Amon Düül II, i primi connotati da maggior impegno politico e i secondi più interessati allo scenario musicale underground. La musica di Yeti è imponente e spaventosa come la foto di copertina dell’album, un contadino (che in realtà è il percussionista) che brandisce una falce fienaia in una campo di nebbia e vapori e che ricorda l’iconografia della morte. La potenza del muro di suono di Yeti è un viaggio allucinogeno che non trasporta nei beati universi paralleli della psichedelia ma scende diretto verso l’underground più crudo e violento per accendersi e raggiungere l’apice tra le fiamme e i cori dannati dell’inferno. Si comincia con “Soap Shop Rock” , suite che è poi più propriamente un collage di pezzi dai toni epici e penetranti, in cui voci, suoni di violino distorti e cori Wagneriani offrono la colonna sonora per i migliori incubi. “She came through the chimney” sembra un tema disteso, con un inizio acustico, percussioni e velleità folk, un appiglio alla realtà e un sospiro di sollievo in mezzo al turbinare dell’angoscioso viaggio musicale. Ma è solo un’illusione e presto le parti si sovrappongono e si annodano, l’atmosfera si confonde, i suoni si distorgono e ci si trova in mezzo alla nebbia come e più di prima, pronti per affrontare lo strepitoso punk rock di “Archangels Thunderbird” che culmina in una doccia sonora che più che da ascoltare è tutta da assorbire. “Cerberus” è un frenetico misto tra raga e folk elettrico, fino a che il virus che aleggia nell’aria di Yeti non si insinua anche tra gli incontaminati riff di chitarra e manda tutto in cortocircuito. Le ultime facciate dell’originario doppio lp sono interamente dedicate all’improvvisazione, e gli Amon Düül II hanno ampia possibilità di mettere in luce le proprie capacità in questo senso, con un crescendo dalla lunga “Yeti” attraverso “Yeti meets the Yogi” fino alla conclusiva “Sandoz in the Rain”, alla quale contribuiscono anche membri degli Amon Düül I per un sound che è un summit tra le due formazioni. Forse il più classico dei classici del kraut, Yeti è uno di quei rari dischi in cui la distorsione accentuata e il gusto sfrenato dell’eccesso non appesantiscono assorbendo nella loro prepotenza preziose risorse armoniche e creative ( i Nektar ad esempio pur tra gli enormi pregi dei loro dischi a volte rasentano questo rischio). Yeti è così oltraggioso da diventare proprio per questo un inesauribile pozzo di creatività, in cui anche l’elemento più rugginoso e cacofonico contribuisce, non si sa come, al piacere dell’ascolto. Da ascoltare tutto d’un fiato senza pensarci troppo, per arrivare in fondo e scoprire di volerlo ascoltare di nuovo, e di nuovo, e di nuovo, e di nuovo….
Giulia Nuti
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