.


Il Country rock e la musica acustica in Italia

C'e un rinnovato interesse verso un genere prevalentemente acustico, ma che non ha disdegnato di aggiungere qualche strumento elettrico per dare un tocco di colore a canzoni poi rimaste nella storia. Una passione che ha origine in Italia quasi 40 anni fa e alla quale tanti giovani musicisti si stanno avvicinando, perché comunque si trattava (anzi si tratta) di musica di qualità. Veniva dall'America e i suoi protagonisti sono ancora amati dal pubblico dato che appena possono si esibiscono anche qui da noi. Come l’onda inglese aveva influenzato tanti gruppi del nostro paese (Pfm, Banco, Orme), anche la musica dell'Ovest americano si era introdotta all’interno dei nostri gusti musicali grazie ai dischi e a musicisti di oltreoceano che si erano messi a frequentare il nostro paese. Atmosfere che che ricordavano quelle ascoltate a Monterrey e a Woodstock e giunte da noi grazie a dischi e film. A differenza inoltre del rock, di marca prevalentemente progressive, che evidenziava più le caratteristiche strumentali dei brani, quella musica era molto più vicina alla canzone d’autore. Il modo di suonare la chitarra, l’interpretazione vocale, il raccontare delle storie, anche la tipologia del gruppo musicale. Certo i primi ’70 erano anni di grande varietà musicale e non era facile per quel genere affrontare una concorrenza che da una parte portava evidenziare fino allo spasimo linguaggi strumentali e da un’altra verso una concezione minimale della musica d’autore (voce più strumento) che aveva spesso connotati politici. Era forse la giusta via di mezzo, ma forse proprio per questo gli anni non erano tra i più favorevoli. Il genere country rock, sviluppo del country duro e puro, dato che veniva dagli Stati Uniti, era spesso visto in senso negativo. Ma un sostanzioso gruppo di musicisti italiani aveva deciso di percorrere, magari anche inconsapevolmente, quella strada che veniva da lontano. Pensando solo di fare un buon lavoro.

Le canzoni del West
Qualcuno aveva già messo le mani su quel repertorio ed era un cantante di successo, Roberto Satti, ovvero Bobby Solo che nei tardi '60 aveva pubblicato Le canzoni del West: «Quella fu un’operazione fatta grazie al dottor Vincenzo Micocci, grande amico (anzi per me un padre spirituale), che mi ha sempre consigliato di usare la mia voce incidendo pezzi di Bob Dylan. Il disco fu pubblicato nel 1966 o 1967 dalla Ricordi. Io, con il ciuffo e la chitarra, a parte Elvis Presley, davo ai discografici l’idea di un cowboy. Allora il country era più percepito nella fase country & western. Devo però sottolineare che in quegli anni avevo avuto una gran fortuna: nel 1965 la Ricordi aveva perso il catalogo Cbs e io avevo potuto acquistare quello promozionale che era stipato nei magazzini dell’etichetta. Si trattava di 600 Lp (poi negli anni ho perso tutto a causa di varie vicissitudini) con incluso il catalogo country & western. Quindi mi sono fatto una cultura in materia e una scorpacciata terrificante di dischi». Il bis per Bobby Solo è datato 1975: «In quell'anno aprii uno studio di registrazione chiamato Chantalain (dal nome dei miei due figli Chantal e Alain). Ebbi da Alfredo Cerruti, direttore della Cgd di Caterina Caselli e Pietro Sugar l'incarico di fare un disco di country rock perché era appassionato di questo tipo di musica. Mi dette un budget e la prima cosa che feci fu quella chiamare il giornalista della Rai e amico Franco Schipani che conosceva anche il produttore Corrado Rustici, Gli dissi che mi serviva un chitarrista di Pedal Steel (strumento che viene suonato seduti con effetti particolari, nda) e lui mi parlò di Sneaky Pete Kleinow che io conoscevo solo dai dischi. Quindi arrivò in Italia quest’uomo con i baffi biondi e un aspetto alla Chuck Norris, con la sua Pedal Steel che era tutta orlata. Aveva infatti ritagliato delle giarrettiere femminili e aveva costruito una specie di gonna attorno allo strumento! Era un personaggio incredibile: Era anche compagno di palestra di karate di Bruce Lee a Los Angeles. Sulla Pedal Steel c’era attaccato l'elenco dei brani che doveva fare, io gli suonai i miei pezzi e lui sinceramente li apprezzò. Poi uscì il disco con il titolo “Love”: ne ho una copia sola perché me l’hanno data dei collezionisti: purtroppo questo disco interessò poche persone, e furono stampate 3000 copie circa di vinile».


Viva la campagna
Tra i due dischi di Bobby Solo in Italia nasce un fenomeno parallelo che proprio in quegli anni può essere assimilato alla riscoperta di certi valori legati alla terra, a quel territorio che è ispirazione del country (non per niente la traduzione in inglese del termine campagna). Spesso non c'è una caratterizzazione stilistica, ma un grande sviluppo di tematiche legate alla terra e al verde: già nei tardi '60 Nino Ferrer aveva cantato Viva la Campagna (Je vend des robes nella versione francese, in cui al tempo stesso si inneggia alla vita fuori dalla città). In questo filone si trovano vari artisti, dalle caratteristiche diverse tra loro: ricordiamo Oscar Prudente, Claudio Rocchi (lo ritroveremo più avanti) sia come solista sia come componente degli Stormy Six. Questo gruppo, già nel 1969 affronta due cover dei Creedence Clearwater Revival (La luna è stanca, con testo di Bruno Lauzi da Bad Moon Rising e Lodi, con testo del leader del gruppo Franco Fabbri). Lo stesso Fabbri racconta nel suo sito che l'album L'Unità del 1972 (una serie di canzoni sull'unità d'Italia e il brigantaggio meridionale) è in forte debito sia con il country rock impegnato americano (The Band, Neil Young, James Taylor) nella prima facciata sia con quello più corale alla Crosby, Stills e Nash nella seconda. Eppure non va scordato un gruppo milanese che si ispira inizialmente alla musica che proviene dalla West Coast, sono i Come le foglie, a cui Giordano Casiraghi dedica alcune pagine del suo recente libro “Anni ’70 Generazione Rock”. Come racconta l’autore insieme al leader del gruppo Giancarlo Galli, le prime ispirazioni dopo il beat e Frank Zappa solo legate proprio al movimento hippy californiano e alle sue derivazioni musicali tanto da proporre cover di David Crosby e James Taylor. E’un gruppo che legherà il suo nome ai gruppi per i quali suonò di spalla, come i Curved Air e per una trasferta inglese nel 1971 in cui ci furono contatti con gruppi del folk-rock britannico più psichedelico come i Magna Carta e la Incredibile String Band. Altro gruppo milanese citato da Casiraghi e che andava in una direzione analoga era La Drogheria di Via Solferino, che ebbe storia breve. Tornando al trattamento tematico, ricordiamo come Lucio Battisti nell'album “Il nostro caro angelo” del 1973 tocchi l'argomento della vita in campagna, che ispira fortemente i testi di Mogol (La collina dei ciliegi e La canzone della terra su tutte, ma anche Le allettanti promesse dove il protagonista si rifiuta di lasciare la fattoria e la cascina senza farsi sedurre dalle sirene della vita in città). Qualche anno prima (1971) i Giganti pubblicano l'album “Terra in bocca”, una storia sulla guerra dell'acqua nelle campagne dominate dalla mafia dalle sonorità più vicine al progressive, mentre il gruppo di Mario Lavezzi ha un nome che già era un manifesto (Flora, Fauna e Cemento, che incide la battistiana Un papavero nel 1971 insieme alla Formula 3). Un fenomeno che aveva toccato anche la pubblicità dove un musicista di grande mestiere come Franco Godi, sceglieva atmosfere country per spot come quello di Milkana Oro (Dove il pascolo è più alto/l'erba è verde, verde, verde [...]/c'è la mucca più felice [...]/è migliore anche il suo latte). Poi il già citato Ferrer pubblica nel 1974, ma in Francia, “Nino and Radiah”, album dalle chiare ispirazioni country, tutto in inglese.

L'avventura dei Pueblo
Max Meazza
Nello stesso anno nascono a Milano i Pueblo, il cui brano Mariposa entrò addirittura nei Dischi Caldi (il gradino precedente alla Hit Parade) grazie anche alla forte promozione radiofonica di Alto Gradimento di Renzo Arbore e Gianni Boncompagni. «Io ho cominciato prestissimo a suonare _ spiega Max Meazza _ con i gruppetti rock prima di ascoltare Joni Mitchell, Crosby, Stills & Nash, gli America e di affrontare così un repertorio più acustico avvicinandomi ai cantautori americani. Dopo ho incontrato Fabio Spruzzola che veniva da un gruppo che faceva cover di Crosby, Stills e Nash, e cominciammo a fare pezzi nostri. Quindi tramite un amico comune abbiamo conosciuto Claudio Bazzari, che collaborava con un duo romano-scozzese, Ciampini & Jackson, e insieme formammo i Pueblo. Parallelamente un mio compagno di scuola, Michelangelo La Bionda, con il fratello Carmelo aveva già cominciato una carriera artistica incidendo un disco dalle atmosfere acustiche (“Fratelli La Bionda Srl” per la Ricordi) con un pezzo che si chimava Stills e i testi scritti da Lauzi. Michelangelo credeva nei pezzi che facevo con Claudio e Fabio e mi portava a conoscere personaggi della canzone come Maurizio Fabrizio e Dario Baldan, Il materiale fu pubblicato dalle edizioni Strum, insieme a John McAffey, un irlandese ex-cantautore che era diventato ricco e aveva deciso di fare il mecenate. Lui viaggiava per tutto il mondo e per provare ci aveva lasciato l'appartamento in un residence. Il nome Pueblo fu scelto da Michelangelo, perché era facilmente pronunciabile in varie lingue, anche se veniva spesso confuso per il nome di un gruppo politico (Il canto El Pueblo Unido era molto famoso in quel periodo). Andammo a Londra alla Apple grazie a McAffey facendo i provini insieme ad Amanda Lear. C'era anche un ragazzo fantastico: Tyson Watts, cantautore texano, poi purtroppo sparito dalla circolazione dopo un solo disco per la Wea. I provini furono portati ad Adriano Solaro, che era alla Phonogram. Mariposa, firmata con Michelangelo, fu subito scelta come singolo». Dall'album con il nome del gruppo viene fuori anche il singolo Song Girl. Poi esce il singolo Long Knife Jackson sotto la guida del fratello di Vangelis, Nico Papathanassiou. Ma il gruppo si scioglie anche perché i fratelli La Bionda, dopo un altro album acustico nel 1975 con la partecipazione di Nicky Hopkins (già con i Quicksilver Messanger Service a S.Francisco nel 1970 e collaboratore dei Rolling Stones), seguirono la strada della dance, verso la quale volevano portare anche i Pueblo. «Ovviamente non eravamo d'accordo e io subito dopo iniziai la carriera solista _ conclude Meazza _ Nel 1999 abbiamo comunque fatto una rimpatriata con un disco, “The Big Thunder”, dove ci siamo divertiti a ricrerare la stessa atmosfera di allora».

Il fiorentino della Pedal Steel
Giovanni Unterberger
«Se non fosse arrivato il film “Woodstock” in Italia _ spiega da Firenze il chitarrista e docente Giovanni Unterberger _, difficilmente il country rock avrebbe fatto breccia da noi. E’ stato in quel momento che il nostro paese ha conosciuto artisti come Crosby, Stills & Nash. Penso che il loro successo, oltre a quelle splendide voci, sia dovuto al fatto che presentavano brani molto più vicini al rock che andava in quegli anni più che al country. La stessa Suite: Judy Blue Eyes che era inclusa nel film aveva questa caratteristica». Unterberger negli anni ’70, dopo l’apprendistato con il chitarrista Luigi Fiumicelli, è stato uno dei più richiesti turnisti grazie alla sua bravura nell’esecuzione del fingerpicking e nell’uso di uno strumento come la già citata Pedal Steel Guitar. «Questo strumento _ continua Unterberger _ è stato di grande importanza, dato che tanti chitarristi miravano a ottenere sonorità simili. C’era un tipo di tecnica con la Pedal Steel che permetteva di tenere una nota mentre se ne potevano suonare altre, una cosa molto difficile con la chitarra normale. Io ero molto curioso di poter provare lo strumento e sapendo che Ricky Gianco e Giuliano Illiani (ovvero Donatello) dovevano andare in America ho chiesto loro di portarmene un modello come pagamento di alcuni turni che avevo fatto. Illiani arrivò con un valigione che conteneva lo strumento da montare, senza istruzioni. Solo tempo dopo mi ero accorto che avevo montato la pedaliera in modo sbagliato!» Ma tutto ciò non gli aveva impedito di fare il turnista. «Tutt’altro, anzi ero l’unico richiesto per questo strumento, e da questo mio punto di vista posso dire che la fortuna del country rock italiano coincide con la fortuna dalla Pedal Steel. Un fenomeno importante ma limitato nel tempo. A Milano ho lavorato molto con Ricky Gianco su queste sonorità, a Firenze un gruppo di giovani, i Lightshine stava muovendo i suoi primi passi intepretando brani degli Eagles e sviluppando una propria strada, mentre devo ricordare a Roma un duo che se avesse continuato avrebbe portato il genere ad altissimi livelli in Italia, Ciampini e Jackson”.

Lightshine, 30 anni dopo
Restiamo per il momento a Firenze, dato che proprio il 2006 è il trentennale dei già citati Lightshine che di recente hanno ripreso la propria attività: «Il gruppo _ ricorda il cantante e tastierista Ernesto de Pascale _ si è formato nel 1976 in un momento in cui la musica andava in direzione molto elettrica, molto precisa, delineata anche dal periodo, da quegli anni ’70. I Lightshine, più precisamente Paolo Giorgi, Gianni Rosati ed io che ci incontrammo prima della nascita del vero e proprio gruppo che era formato da sei persone, volevano cercare invece una musica più acustica, che veniva da territori che ci avevano appassionato come fan, naturalmente. Eppure, senza saperlo, fummo immediatamente un gruppo in controtendenza. Ci aiutarono moltissimo le canzoni che scegliemmo per cominciare questa avventura. La nascita dei Lightshine corrisponde anche a quello che Rosati portò dagli Stati Uniti che era un valore aggiunto rispetto ai dischi che ascoltavamo alla radio, a Pop Off, Per voi giovani, RadioUno 21 e 29, che erano i programmi che c’erano all’epoca prima dell’avvento delle radio private». «Cominciammo abituandoci a eseguire brani altrui quanto più possibile all’impronta _ aggiunge Gianni Rosati che con De Pascale, Giorgi e Giulia Nuti ha ripreso l'attività del gruppo _, ma fin da subito cominciammo a reinterpretare qualche brano che si prestava a delle aperture, o quantomeno che ci sembrava opportuno rivisitare in modo più personale. Quindi passammo rapidamente dalla fase di copia a quella di reinterpretazione. Nel giro del primo anno cominciammo anche a fare i primi timidi passi nella composizione e nell’esecuzione di brani di propria creazione».

Dall'America con Ricky Gianco
Più a nord Ricky Gianco aveva dato alle stampe un album pieno di grandi solisti di country rock . «Premetto che in Italia fino ad allora non c’era grande interessa per questo genere anche perché si trattava di solo country. Dopodiché una delle prime volte che sono andato in Califonia a Los Angeles nel 1977 ero diventato amico di molti musicisti, di Jeff Porcaro e dei Toto (con i quali ho fatto poi un disco nel 1990). Solo allora ho cominciato a sentire dal vivo e anche nell’aria questo genere, un bel rock che aveva sgrezzato il country da certe sonorità. Mi è rimasto molto dentro, tanto che nell’82 ho registrato l’album “Non si può smettere di fumare” chiamando dei musicisti americani che avevano a che fare con il country rock, più o meno direttamente. Uno era Chris Darrow, chitarrista che aveva fondato i Kaleidoscope e suonato con la Nitty Gritty Dirt Band, poi c’era Skip Battin (con Meazza nell'album “Personal Exile” dell'artista milanese, nda) che era nella seconda formazione dei Byrds, Steve Duncan, batterista prima di Ricky Nelson e quindi del gruppo Desert Roses, e infine (già ricordato da Bobby Solo, nda) Sneaky Pete Kleinow dei Flying Burrito Brothers, grande solista di Pedal Steel Guitar, che aveva suonato con tutti, da Elvis ai Rolling Stones. Loro vennero apposta a Milano a registrare questo disco che aveva un forte carattere country. Credo che sia stata una delle poche esperienze italiane riguardo a questo genere, e questa aveva un po’ più di sapore grazie ai musicisti che ho ricordato. Anche perché il country rock è come la musica napoletana, non puoi inventartela. Nel 1989 avrei poi scritto insieme a Gianfranco Manfredi un altro brano nell'album “Di Nuca” dal titolo Ma come ti vengono certe idee? in cui ritornavo volontariamente a questo genere». Altri nomi di gruppi o solisti? «Voglio ricordare due personaggi molto importanti, entrambi solisti di Pedal Steel come Roberto Colombo che aveva un suo gruppo e Giovanni Unterberger, che aveva partecipato nel 1977 all’incisione di Questa casa non la mollerò, versione del brano country Six days on the road ».

Roma in duo: Ciampini & Jackson/Loy & Altomare
Eccoci invece al duo ricordato da Meazza e Unterberger, quel Ciampini & Jackson protagonista di un solo album. Peccato perché ascoltando quelle dieci tracce sul vinile (etichetta Motion/Rca) pubblicato nel 1975 rimane un po' di rimpianto per un percorso interrotto. Non perché la Rca, secondo le testimonianze, non credesse in loro, ma perché il pubblico non seppe accogliere il lavoro che Claudio Ciampini e Ronnie Jackson avevano fatto con grande stile e poesia. I brani, tutti in inglese, mostravano una scrittura molto matura affidata prevalentemente allo scozzese Jackson, che dopo la fine del sodalizio rimase alcuni anni in Italia perché apprezzato turnista. Brani molto diretti (uno scritto da Meazza e firmato da Bazzari) quanto di grande struttura come Nightmare, Pepperbox Express e Climbing Roses tanto per ricordare i più significativi. L'impasto delle voci ricordava i grandi modelli americani, mentre le chitarre acustiche si accompagnavano a una ritmica molto discreta. Pianoforte e archi contribuiscono ad atmosfere di grande fascino, quasi irripetibili nel nostro paese. Eppure non va dimenticato (a parere anche di Max Meazza) un altro duo della scena romana aveva dato alle stampe un album molto significativo e legato al genere country rock come “Chiaro”, quello formato da Checco Loy e Massimo Altomare. Basti ascoltare A zio Remo, il brano iniziale, può essere considerato un brano molto ispirato dalle sonorità che venivano dagli Stati Uniti: chitarre acustiche arpeggianti o protagoniste di brevi frasi soliste, dialoghi tra le voci. Un'atmosfera che si respirerà per tutto l'album, dove entrano in gioco cori, Pedal Steel Guitar, organo Hammond in arrangiamenti eleganti che potevano a modo loro indicare una strada italiana al genere. Eppure Loy e Altomare ebbero molto più coraggio dando alle stampe nel 1975 “Lago di Vico (m.507)”, un album totalmente controcorrente rispetto a tutti i linguaggi musicali di allora. Ironico, senza però concedere spazio a letture politiche che sarebbero state facili in quel periodo. Un disco molto avanti per l'anno in cui fu pubblicato e che oggi non sfigurerebbe nella scena cantautorale italiana. Meno successo ebbero altre formazioni di chiara ispirazione acustica come Kathy & Gulliver e Paki & Paki.

Canta Napoli, Napoli acustica
Non possiamo però a questo punto non scendere di qualche chilometro nella nostra penisola e arrivare fino a Napoli. Perché in questa città l'atmosfera acustica ha un momento importante nella produzione italiana. E' un momento di grande maturità stilistica pur nella giovane età dei musicisti, dato che in questa città sempre aperta alle influenze esterne e capace di inglobarle al meglio, il linguaggio acustico si spoglia spesso dai vestiti country e va verso momenti più dichiaramente folk con America e Gran Bretagna spesso a braccetto nelle influenze. Sono i due fratelli Sorrenti, Alan e Jenny, a toccare in modo diverso questo stile acustico. Aria di Alan Sorrenti è uno dei capisaldi della nuova musica anni '70, un disco che nelle origini doveva dare vita a una tendenza ben precisa poi andata perduta (non gli perdoneremo mai i Figli delle Stelle del 1977, ma quello è un altro discorso). Jenny Sorrenti invece si lega all'esperienza Saint Just con Tony Verde e Robert Fix e anche in questo caso musica acustica e folk sono insieme protagonisti. Ma forse il personaggio più singolare e meno conosciuto dal grande pubblico è Armando Piazza. Così lo descrive la breve biografia sul sito italianprog.com: Armando Piazza era un cantautore di Napoli che ha pubblicato album con curiosi titoli simili per l'etichetta locale B.B.B. (che ha anche realizzato l'album degli Showmen “2”, formazione dove militava anche James Senese), vendendoli da solo nei concerti e attraverso le riviste musicali. Gli album contengono ballate in quello che oggi si definirebbe uno stile acid-psych, con testi in inglese e basate sulla chitarra acustica ma con buon uso di strumenti elettrici qua e là; va anche notata la presenza del musicista americano Shawn Phillips (che ha vissuto nella zona di Napoli per alcuni anni) alla chitarra e al basso. Sono dunque due gli album che Piazza e Phillips hanno pubblicato, “Suàn” e “Naus”, pensati come un ossimoro anche se il secondo ha come sottotitolo “Ars Mensuralis”. I crediti vedono anche Tony Walmsey che suona la sua chitarra elettrica spesso e volentieri con tecnica slide, tipica dello stile country, che è presente in alcune parti, mentre alle percussioni viene ingaggiato Tony Esposito (Antonio come indicato sul disco). I due dischi, del 1972 e 1973, sono stati ristampati in un unico Cd da Akarma nel 2001, e rappresentano un'isola stilistica con momenti acustici che lanciano un ponte verso il progressive, un acid-folk ante litteram e solo in parte verso il country, visto nella sua essenzialità.

Acusticità visionaria
Non chiudiamo ancora la parentesi che ci porta lontano dal country rock, perché Piazza non è da solo a percorrere la strada acustica guardando oltre confine, come ha ricordato recentemente Gino dal Soler nel numero 98-88 di Blow-Up. Avevamo in precedenza citato Claudio Rocchi, già bassista degli Stormy Six che nel 1971 pubblica “Volo Magico n.1” per la Ariston, in cui compare un brano, anzi una vera e propria suite di 18 minuti giocata in buona parte sulle chitarre acustiche a 12 e 6 corde di Rocchi e Alberto Camerini con percussioni, tastiere, mellotron e voce di Donatella Bardi, seguito da “Volo Magico n.2” uscito sempre per la Ariston due anni dopo, ma con materiale registrato ai tempi del primo disco perché in origine doveva essere un doppio album. Rocchi ha poi raggiunto l'India sposando una spiritualità che lo ha portato anche a fare altre scelte musicali, legate alla sperimentazione elettronica. Rocchi utilizza poi nel 1974 per l'album Il miele dei pianeti, le isole, le api, un gruppo dalla stessa capacità visionaria, gli Aktuala con Walter Maioli, Daniele Cavallanti e Trilok Gurtu, il cui album più noto è La Terra, uscito nel 1972 sotto la guida di Pino Massara e lo sguardo attento di Franco Battiato. Maioli era stato bacchettato l'anno successivo dal grande critico jazz Arrigo Polillo: «E' un eccellente armonicista di blues di stile arcaico: peccato voglia fare anche tante altre cose, attingendo ai patrimoni musicali folkloristici di mezzo mondo e suonando i più disparati strumenti». Ma questo ci fa capire come Maioli fosse il ponte tra la musica acustica (non c'erano né batteria, né pianoforte o contrabbasso nel disco) di derivazione americana e le altre civiltà, tanto da essere riconosciuto come padre della world music italiana. Poi, a completare il quadro, nel 1975 andò a vivere sulle colline pistoiesi con altri colleghi in una sorta di comune musicale, dicendo a un a giornalista di Panorama: «Non si può fare musica naturale, se non si vive una vita naturale». Viva la campagna, ma il concetto qui è molto meno bucolico e più duro e puro.

Dal Folkstudio ai Country Report
Ma tornando al country rock dobbiamo riportare la nostra attenzione su Roma, e la capitale, grazie anche al Folkstudio in cui operavano Mariano de Simone e Luciano Ceri, non è certamente avara di musicisti acustici che poi affrontarono anche sonorità elettriche, con personaggi (che ebbero influenza su Francesco De Gregori e altri artisti italiani) come Francis Kuiper, Dave Van Ronk e Steve Grossman. Tra i giovani si ricorda l'attività di Stefano Tavernese e suoi Country Report. «Ci siamo formati nel 1975 _ spiega Tavernese _, iniziando proprio al Folkstudio. Devo dire che il nostro legame con il country rock è essenzialmente nel repertorio dato che eravamo un gruppo prevalentemente acustico con qualche aggiunta di chitarra slide elettrica. Tra i pezzi che proponevamo ricordo quelli di Loggins & Messina, Crosby, Stills, Nash e Young, Kris Kristofferson, quindi meno legati al bluegrass e a un repertorio tipicamente acustico. Nel 1976 facemmo anche una comparsata televisiva in Rai in una trasmissione pomeridiana: eravamo talmente giovani che uno di noi non poteva nemmeno comparire sullo schermi in quanto minorenne. Andammo avanti fino al 1978 ma non incidemmo nulla, con una carriera legata essenzialmente a Roma e dintorni. Dopo i County Report suonai negli Old Banjo Brothers, dove non c'era batteria ma usavamo strumenti elettrificati con un repertorio di pezzi rock arrangiati per un band elettroacustica. Un gruppo tra l'acustico, il progressivo e l'elettrico. Poi con me ha suonato Roldano Boeris che negli anni '80 ha fatto parte di un trio, Hobo Band (chitarra, contrabbasso e mandolino) in cui rientravano comunque pezzi di stile country rock. Inoltre l'amico banjoista Danilo Cartia aveva formato negli anni '90 un gruppo dal nome Midnight Riders, in cui ho suonato anch'io, Leonardo Petrucci (già con Country Report e Old Banjo Brothers), Alessando Valle che collabora con Francesco De Gregori, con la Pedal Steel e il dobro. Era, grazie anche alla batteria, in pieno un gruppo di country elettrico. Oggi inoltre c'è una scena che comprende vari gruppi come i Texas Special, gli Square Dance e i Supawai John che più si avvicinano alle sonorità del genere».

Segnali di Fumo
Ma i nostri artisti più noti sono stati influenzati da questo genere? Una risposta l'ha data Luigi Grechi sulle pagine del mensile Tutto all'inizio degli anni '90: Grechi (fratello di Francesco de Gregori per i lettori che non lo sapessero, ma anch'egli artista di grandissime qualità) esaminò il linguaggio del country in relazione alla musica italiana già prima dell'avvento del country rock. «Sarà meglio accontentarci _ ha scritto Grechi _ di cercare delle tracce, degli echi, per poi vedere se è poi proprio vero che siamo così immuni dalla febbre di Nashville o se qualche virus non è riuscito a impiantarsi nelle nostre vene musicali. C'è stato chi ha creduto di vedere un parallelismo tra musica country e il nostro ballo liscio, e non del tutto a torto». Secondo Grechi le influenze sono rintracciabili della musica di Bobby Solo, di Gino Santercole (che interpretò Sono un fallito, cover del brano Busted) e più tardi in Francesco Guccini, Fabrizio de André, Mimmo Locasciulli (Canzone di sera), Goran Kuzminac (Stasera l'aria è fresca), Roberto Vecchioni (Samarcanda ispirata in parte a Battle of New Orleans del texano Johnny Horton) oltre a citare “Non si può smettere di fumare” di Ricky Gianco. Su De Gregori, Grechi puntualizza: «Fermo restando che i suoi testi restano sempre ben lontani dallo stile dei balladeers country va tuttavia osservato che nella sua produzione più recente il clima musicale è sempre più vicino a un country rock robusto e senza fronzoli». E consiglia di ascoltare brani come Bufalo Bill, Natale e Il Signor Hood all'interno di una hit parade country italiana dall'ipotetico titolo Segnali di Fumo.

Epilogo
Finiamo con una curiosità: la già citata Suite: Judy Blue Eyes di Crosby, Stills & Nash trovò in Italia un'inaspettata interpretazione. Quella dei Ricchi e Poveri che l'hanno utilizzata come apertura di alcuni loro concerti. Segno che il genere era molto più diffuso e molto più trasversale di quanto si sia sempre pensato. Oggi che una nuova onda di cantautori professa il cosiddetto alternative country o il primitive folk, chissà che qualcuno non preferisca ricordare la voce della loro brunetta.


Michele Manzotti

tutte le recensioni

home

NEWSLETTER

.
.
eXTReMe Tracker