Nell’iconografia dei Genesis del periodo 1977 circa, quando in Italia trovavano distribuzione e traduzione i libri e i poster tratti dagli scatti di Armando Gallo, la figura di Mike Rutherford aveva qualcosa di epico e divino. Sarà stata la barba, i capelli lunghi e lisci, l’oro lucente del doppio manico Shergold: il bassista e chitarrista co-fondatore della storica band inglese usciva dall’ombra progressivamente dopo l’abbandono di Peter Gabriel e la sua presenza sul palco assumeva un tono ben diverso dal ruolo scenico degli anni precedenti. Eppure “Pluto” come lo chiamano simpaticamente i fans o meglio il “portatore d’acqua”, secondo la definizione di Mario Giammetti, ha sempre avuto un’importanza primaria nell’evoluzione musicale dei Genesis, dalla profonda sperimentazione sul suono e sull’accordatura delle chitarre a 12 corde nei primi dischi (una passione seguita insieme al suo amico di sempre Anthony Phillips) fino all’assunzione di responsabilità nel decretare la fine della cosiddetta “era Wilson” della band (ovvero il ritorno di Phil Collins nel gruppo, anche se limitato soltanto alla reunion live del 2007, dopo la parentesi dell’album “Calling All Stations” cantato da Ray Wilson). Nel mezzo c’è tutta una storia, appassionante e mai noiosa, che viene portata allo scoperto con maestria e assidua cura dei dettagli da parte dell’autore Giammetti, qui alle prese con il quinto volume della collana “Genesis Files” (nell’ordine sono usciti dal 2005 a oggi i libri su Collins, Hackett, Banks e Phillips). L’indagine sulla prima fase della carriera di Rutherford rivela le qualità spesso nascoste di un bassista solido e sottovalutato, nonchè quelle di un chitarrista ritmico davvero unico nel combinare sferzate di plettro e pedali dei bassi. Dopo l’abbandono di un gigante della chitarra come Steve Hackett, Mike sapientemente decide di non seguirlo sulla strada della sperimentazione e della tecnica, ma sceglie di legare ancor di più i suoi strumenti alla composizione (sia quella geniale, combinata con Banks e Collins, che gli darà i primi successi, che quella solista non meno fortunata quando poi sfocerà nel progetto dei Mechanics), lasciando agli show dal vivo dei Genesis l’entusiasmante scelta di quale strumento suonare, alternandosi con l’ottimo Daryl Stuermer. Il titolo del libro, “Silent Runner”, è lo stesso della prima hit in assoluto di Mike & The Mechanics ed è naturale che l’ossatura del volume sia costituita dalla storia e dagli aneddoti di questo progetto “parallelo” che ha venduto oltre dieci milioni di dischi in tutto il mondo. Anche lì, come suggerisce Giammetti, Mike ha fatto il “corridore silenzioso”, il “portatore d’acqua”, questa volta pescando talenti nell’ombra come gli autori BA Robertson, Chris Neil e i cantanti Paul Carrack e Paul Young. Nutritissima anche la parte fotografica del libro, fatta di numerosi scatti in bianco e nero (promozionali ma anche rari) e due sezioni a colori dove si trovano accanto ritratti di Mike da solo o in famiglia e diversi momenti sul palco con i Genesis e con i Mechanics. “All I Need Is A Miracle” è il titolo di un’altra grande hit di Mike: qui il miracolo è riuscito a farlo Mario Giammetti, visto che notoriamente il bassista chitarrista inglese noto anche negli ambienti della nuova aristocrazia inglese come ottimo giocatore di polo è un osso duro da intervistare per via delle sue smemoratezze e di un più generale disinteresse per i particolari. In realtà, come spiega bene l’autore di “Silent Runner”, Rutherford è molto istintivo, per nulla accademico e assolutamente intenzionato a vivere la vita giorno per giorno, nonostante il successo planetario delle sue canzoni e del suo gruppo madre. Ecco perché, al fine di conoscerlo più a fondo, non bastano le interviste ufficiali ma la passione, l’interesse e l’assiduità di un fan scrittore che lo ha sempre seguito con le antenne ben spiegate.
Francesco Gazzara
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