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Faust live, Stazione Leopolda ( Firenze) 2/05/’04
Quando un buon disco viene traghettato nell’immaginario collettivo acquista punteggio prima che qualcuno lo(ri)ascolti. E’ accaduto per molti, non stiamo qui a fare i nomi. Più vasto il passa parola o l’autorevolezza acquisita tramite i media, più imponente lo status dell’artista. Poteva toccare anche ai teutonici Faust ma loro per primi, hanno capito il trucco e si sono guardati bene da farsi mettere le mani addosso da qualcuno.
Sperimentatori senza confini ma capaci di assimilare l’humus etnico delle proprie radici, cultori del cut up ma abili compositori di rock & roll siderali così come di quiete atmosfere il gruppo di Werner Diermeier, batterista, e Hans Joachim Irmler, tastierista cosmico, unici due rimasti della formazione originale, hanno raggiunto per la prima volta l’Italia il 2 maggio scorso, approdando a Firenze.
La musica psichedelica , come usualmente la concepiamo con lunghi assoli di chitarra e parti free form, i Faust se la sono lasciata alle spalle chissà quanto tempo fa per esasperare invece quegli aspetti più teutonici e binari di un suono tutto incentrato su tamburi roboanti, seghe elettriche, lamiere, fresatrici, e rumori metallici che sono la spina dorsale di un viaggio iniziato con una sola lunga allucinazione ma proseguito con una ferrea (!) logica.
Sul palco della Leopolda, Werner Diermeier è il gigante buono che segna la chiusa di un lungo brano scaraventando un tubo innocenti contro un bandone mentre Hans Joachim Irmler è lo scienziato pazzo, nascosto dietro il suo mobile a tre tastiere, perso fra generatori ad anelli, echi a nastro Roland, delay digitali della prima generazione, modulatori artigianali che condisce il groove monotonico con canti del tipo “ Chet-va Buddha, Cherra-loopiz “ mentre nascosto nelle retrovie un irsuto chitarrista folta barba nera, occhiali neri, berretto nero, arrivato da San Francisco, dicono, uno dei Residents, la buttò la io! macina e strazia la tonalità del popolo ( Mi maggiore ) come un novello King Kong carezza dalla cime dell’ Empire State Building la sua bionda Ann Darrow.
Sarebbe potuto non restare nulla dei Faust ma la loro tenacia li ha premiati, una generazione di remixers li cita e li omaggia, i giovanissimi Dalek incidono un album con loro mentre a Durmrintingen i due assoldano manodopera per la nascita del loro studio personale. Un summer camp per svitati, dirà qualcuno ma l’impressione del gruppo sul palco è ben altra; una occasione per riacquistare forse il rigore che ogni giorni un pò perdiamo e che pare invece essere l’unica cosa che importa a questi capitani coraggiosi.
Ernesto de Pascale
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