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Gomez split the difference
(Virgin/ Emi)
Qualche anno fa alcuni dei migliori nuovi gruppi inglesi si resero conto che per radicare il proprio successo avrebbero dovuto fare i conti con la tradizione musicale di casa propria senza rinnegarla ma affondando i piedi in essa e cercando, lì dove era possibile, di emularla. I Gomez, un gruppo che aveva iniziato la propria carriera in maniera giusta, con eclettismo e poliedricità, nel nuovo, quarto album “ Split the difference “ ( Virgin/Emi), spinti anche dall’ottima produzione di Tchad Blake ( ricordiamolo, ad esempio, con i Los Lobos ), rompono gli induci e pagano qui e lì tributi vari al beat inglese e più precisamente ai Kinks e ai Who di “ so sad about us”, al folk tardo anni sessanta e ad altro ancora ma lo fanno usando strumentazioni a tratti inusuali se pur sempre azzeccate.
La formazione è compatta in questo disco che parte alla grande con “Do One”, inglesissimo pop elegante ma non stucchevole per continuare con tanti buoni brani citiamo “ we don’t know where we are going “ operina con echi personalissimi di psichedelia e di manchester sound tardi anni ottanta. I cinque scrivono a pieno regime e “Split the difference” pare il risultato finale di una session senza limiti, della loro grande prolificità e di un buon lavoro corale. Ma il maggior pregio di questo nuovo disco del gruppo di Brighton è la compattezza di un ensemble nettamente in crescita, sopratutto dal punto di vista dell’ organicita compositiva e che visto dal vivo dal recensore 18 mesi fa in precedenza pareva un pò slegato, nonostante i molti plausi per il miracoloso esordio. Tra le 13 composizioni, tutte originali meno “Meet in the city “ di Junior Kimborough che sta lì a ricordarci che i Gomez sin dal primo disco non hanno mai nascosto il proprio amore il blues, svettano quelle che riportano più decisamente indietro alle stagioni d’oro del pop inglese in cui il gruppo non si fa sfuggire di mano il risultato finale del brano e la sua completezza.
In un panorama, quello britannico, che cerca di riproporre palesemente, coprendo con lo spettro più vasto di proposte, la propria migliore stagione evolutiva,1967 - 1974, i Gomez svettano per la propria volontà di raccogliere quell’essenza, farla propria e renderla attuale. In questo disco ci riescono meglio che nei due precedenti e lasciano intravedere una svolta.
Se i Gomez riusciranno a non farsi prendere la mano da una remota tentazione di diventare i nuovi Blur, non ci meraviglieremmo vederli diventare un gruppo di new prog con delle grandi canzoni nel cassetto da mettere in gioco al momento giusto, una via di mezzo fra i Moody Blues, i Procol Harum e i Wings di “band on the run” dei nostri giorni. Magari laggiù, nella loro Inghilterra, i cinque lanciano anatemi contro queste parole e preparano pozioni che li salvino da questa previsione ma, per come stanno le cose della musica pop oggi, meglio mai dire mai!.
Ernesto de Pascale
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